2022-05-31
«Le donne di oggi impongano la libertà di essere madri»
Cristina Comencini (Ansa)
La regista Cristina Comencini, femminista e di sinistra, parla del diritto di avere figli. Aprendo una crepa nel muro del pensiero unico.In tempi particolarmente confusi accade a volte che si creino inaspettate convergenze, e che i recinti delle ideologie tradizionali vengano abbattuti per edificare spazi politici nuovi. Uno di questi spazi è stato aperto ieri, su Repubblica, da Cristina Comencini, artista con un evidente retroterra femminista che ormai da qualche anno ci ha abituato a prese di posizione forti, spesso sorprendenti, e difficilmente banali. Intendiamoci: non è interessante che una donna evidentemente di sinistra esprima pensieri che, in qualche modo, coincidono con i nostri. Piuttosto, è entusiasmante notare come, da punti di partenza diversi (che più diversi non si potrebbe), si possa arrivare a certezze condivise. Come è possibile che accada, che gli opposti trovino una conciliazione? Beh, forse succede perché il punto di incontro, l’idea che unisce, poggia su un robusto sostrato di verità. È assolutamente vero, come dice la nota regista, che le donne, oggi, dovrebbero poter godere della libertà di essere madri. Apparentemente, questa libertà già esiste, ma nella realtà le cose vanno in maniera differente. «C’è ancora un legame tra l’amore, il sesso e il bambino? Esiste ancora un rapporto tra il reciproco desiderio dell’uomo e della donna e il desiderio di generare?», si chiede la Comencini. E giustamente risponde: «Secondo me esiste ancora (le indagini Istat lo confermano), potente ma inespresso, castrato, negato da numerosi imperativi sociali, culturali, estetici. L’idea errata che la maternità sia quella di prima, quella delle donne nel privato, quella di sempre, ne impedisce la trasformazione in un sentimento nuovo, libero, moderno, bello e utile alla comunità». La sua analisi è difficilmente confutabile: «Le giovani donne hanno paura di dover rinunciare alla carriera, paura di partorire (aumento vertiginoso dei cesarei) quando il parto indolore è ormai pratica, hanno paura di perdere il loro corpo di ragazze, hanno paura di non essere all’altezza, hanno paura di essere sole», spiega. «E tutto questo viene loro confermato ogni giorno, nessuno dice loro che è proprio l’inverso: che procreare è importante come lavorare, che si fa in due, che le società private e pubbliche dovrebbero avere al primo posto questo valore perché una donna e un uomo genitori assicurano molte cose in più di una popolazione senza figli. La maternità nuova deve diventare un problema politico, dello Stato, e devono essere messe in pratica tutte le azioni non solo per «assistere» le donne (siamo sempre in attesa), ma per mettere al centro dell’agenda politica la procreazione, che non è più un tema privato delle donne ma una questione di tutti, portata dalle donne libere a tutta la società». Sentire parole simili è una boccata d’ossigeno, soprattutto perché il pensiero prevalente si muove in senso ostinatamente contrario. I nuovi ecologisti sostenitori del taglio delle emissioni di Co2 teorizzano la necessità di smettere di fare figli. Le attiviste «transfemministe» di ultima generazione propongono addirittura di creare surrogati della maternità. Intellettuali come Donna Haraway e Adele Clarke, per esempio, sono convinte che bisognerebbe iniziare a «fare parentele in modo non biologico». Secondo costoro, si può diventare parenti «condividendo esperienze e generando un senso di appartenenza». In fondo, per questo genere di pensatori anche la genitorialità rientra fra i «costrutti sociali», dunque è possibile smontarla e ricostruirla a piacimento. Peccato solo che tutte queste presunte alternative, finora, abbiano prodotto un solo frutto: un drammatico calo demografico. Paradossalmente, gli unici a cui il sistema attualmente dominante intenda concedere il «diritto» di diventare genitori sono i membri della cosiddetta comunità Lgbt, in prevalenza maschi. A loro, dicono i «Buoni» e i «Saggi» al potere, deve essere concesso di fare figli, pure se si li comprano sul mercato delle madri surrogate. Quanto alle donne, queste ultime possono serenamente rinunciare al potere di dare la vita, che da sempre le contraddistingue e le rende uniche. Ecco allora che, di nuovo, ha ragione la Comencini quando scrive che «le giovani donne di oggi dovrebbero imporre a gran voce, come un tempo la generazione precedente ha imposto la libertà sessuale, la loro libertà di essere madri, di desiderare un corpo anche per fare nascere un’altra, un altro». Pur non condividendo integralmente l’imposizione culturale della Comencini, condividiamo pienamente il suo appello, e ci auguriamo che attorno a questa proposta si crei presto un fronte comune, di pensiero e politico, che sia capace di superare le antiche diffidenze e gli inutili pregiudizi (in parte esiste già, questo fronte, ma va rafforzato). Ci permettiamo di aggiungere un contributo alla riflessione. Se si vuole riportare la procreazione al centro dell’agenda, si deve allargare appena la visuale, e considerare che essa non riguarda soltanto la donna, ma anche l’uomo. Non può esistere ritorno delle nascite, e dunque ritorno della madre, se parallelamente non si dà spazio anche al ritorno del padre. Il nuovo libro del nostro Claudio Risé si intitola proprio così, Il ritorno del padre, e mette sul piatto una marea di riflessioni fondamentali. Ne citiamo giusto un paio. Risé ricorda, per cominciare, che «molte meno donne ricorrerebbero all’aborto se ci fossero più uomini che si prendono le loro responsabilità di fronte al bambino che hanno generato». Ciò significa che esiste un enorme bisogno di ricostruire un equilibrio fra maschio e femmina: il padre deve essere partecipe, condividere, riprendere almeno parte della scena. Risé mostra che tanti maschi di oggi sono disposti a farsi carico di questo compito. Anzi, sarebbero felicissimi di farlo. «Il nuovo padre ancora in formazione è un uomo che sa bene (avendo vissuto questa situazione da bambino) che non avrà vero affetto, piacere, sicurezza, se non sarà capace di assumersi la responsabilità dell’amore per i suoi figli, e della sicurezza necessaria al benessere famigliare». Come dice Cristina Comencini, bisogna lottare in ogni modo perché le donne possano sentirsi «libere di essere madri». E questa libertà sarà maggiore, forse totale, quando gli uomini saranno di nuovo liberi di essere padri. Liberi non di esercitare narcisisticamente un diritto, ma di godere con gioia di un dono meraviglioso.
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)