Morselli: «Le chiese non sono discoteche A Natale dirò la messa alle 24»

San Benedetto del Querceto è una località dell’Appennino al confine tra Emilia e Toscana. A pochi chilometri si trova Monghidoro, dove nacque Gianni Morandi. Il Querceto è invece la patria adottiva di un pugnace sacerdote, don Alfredo Maria Morselli, 62 anni, parroco, biblista, teologo, che da una delle mille periferie montane d’Italia si batte per difendere la tradizione della Chiesa e la storicità dei Vangeli. Bolognese, a 22 anni Morselli interruppe gli studi di medicina per entrare nel seminario di Massa, città dove è stato ordinato sacerdote. A 33 anni ha ottenuto la licenza in scienze bibliche al Pontificio istituto biblico di Roma: in seguito è rientrato nella sua diocesi di origine, dove è parroco e ha ricevuto, con altri sacerdoti, l’incarico di celebrare la messa in latino. Ha scritto alcuni libri e numerosi libri. Dal 2018 dirige il sito Internet Dogmatv.it, collegato all’omonimo canale Youtube, in cui, assieme a validi collaboratori e studiosi, offre video e articoli di buona teologia.
Da sabato, con le messe vespertine della prima domenica d’Avvento, nelle chiese italiane si recita la nuova traduzione del Padre nostro. È una versione che le piace?
«Non è più la preghiera che Gesù ci ha insegnato. Gli studiosi più seri, ad esempio il biblista francese Jean Carmignac, hanno cercato di tradurre la parola aramaica che sta alla base di “non ci indurre” e hanno dimostrato che significa: “Fa’ sì, che, una volta tentati, non entriamo nella trappola della tentazione”. Quindi, ammesso e non concesso che il popolo cristiano fosse fuorviato da “non ci indurre”, la Cei non avrebbe dovuto imporre una traduzione sbagliata. Inoltre, sono caduti dalla padella nella brace, perché se è vero che Dio non spinge verso la tentazione, è ancor più vero che Dio non abbandona nessuno. Come può Dio abbandonarci alla tentazione? Come è assurdo anche chiederglielo?».
Perché bisogna rifarsi alle parole aramaiche quando i Vangeli sono in greco?
«Gesù ha insegnato il “Pater” in aramaico o ebraico, e poi gli evangelisti l’hanno parafrasato in greco».
Nelle sue messe farà recitare la nuova formula?
«Già da tempo ho abituato i miei parrocchiani cantare il “Pater” in latino, cosa permessa dalle rubriche, onde evitare un “Padre nostro” adulterato».
Cambia anche il “Gloria”: perché non va più bene auspicare la pace in terra «agli uomini di buona volontà»?
«Vede, la nuova traduzione deriva dall’influenza delle principali traduzioni in lingua moderna, che sono opera di protestanti: per gli evangelici, che negano il libero arbitrio, la buona volontà non conta niente rispetto alla predestinazione unilaterale di Dio. E ciò incontra il plauso dei neo-modernisti e di tutti i numerosi “infernovuotisti”, secondo i quali il giudizio universale finirà a tarallucci e vino. Quelli che, per dirla con Sant’Alfonso, “per fare Dio misericordioso, lo fanno bugiardo”».
Invece?
«Al contrario, San Luca afferma chiaramente che la pace richiede la risposta dell’uomo, altrimenti essa se ne ritorna da dove è venuta. Prenda il capitolo 10, versetti 3-6 dell’evangelista: “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi… In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”».
E gli altri cambiamenti al rito della messa, come l’invocazione alla «rugiada dello Spirito», sono necessari?
«I cambiamenti che sarebbero stati necessari, ad esempio la corretta traduzione di “non sum dignus ut intres sub tectum meum”, non li hanno fatti. La versione “Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto”, cioè nella mia anima e nel mio cuore, avrebbe proclamato troppo chiaramente la presenza reale di Gesù nell’eucarestia, a discapito del nuovo rito che vuole spingere fuori dalla Chiesa la rinnovazione sacramentale del Sacrificio, e che insiste unilateralmente sulla “mensa”, in cui il cibo è un pane di cui ognuno crede quello che vuole».
Lei è anche contrario a distribuire la comunione sulla mano.
«La santa comunione in mano, imposta a-scientificamente come unico modo per riceverla senza pericolo di contrarre il virus, l’abbandono del piattello, il mancato rispetto verso i frammenti eucaristici, le cattive traduzioni… Tutto l’insieme costituisce un terribile attacco al dogma della transustanziazione».
Da ieri bisogna anche proclamare: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho peccato». Il politicamente corretto entra nelle chiese?
«E meno male che non hanno messo l’asterisco finale, secondo la nuova ortografia Lgbtq eccetera. Se c’è un transessuale alla messa, come gli chiediamo perdono?».
Che cosa succede se un celebrante volesse restare fedele alle attuali formulazioni?
«Dice le preghiere in latino, cosa permessa dalle rubriche, e non sanzionabile, almeno in teoria: ma oltre all’accorgimento pratico, bisogna studiare la buona teologia e saper spiegare al popolo di Dio l’assurdità di certi cambiamenti».
Perché la Chiesa italiana ha sentito il bisogno di cambiare una formula che traduce letteralmente la Vulgata di San Girolamo?
«Le riporto una frase del filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher (1768-1834), che è tra i principali ispiratori del modernismo: “Non ha religione colui che crede in una Sacra scrittura, ma chi non ne abbisogna di alcuna e può farsene una per conto suo”. Oggi l’orgoglio modernista non sopporta più l’umile sottomissione a un testo oggettivo non deciso da lui stesso. Nel medioevo c’erano le glosse, dove il testo biblico era posto tipograficamente al centro, e intorno c’erano le spiegazioni: si capiva chiaramente che cosa è parola di Dio e che cosa è commento umano. E sono fatte così anche le bibbie rabbiniche, e anche le rare edizioni del Corano con commenti marginali. Nessuno che abbia un po’ di senno si permette di cambiare un testo che ritiene sacro».
Il ministro Francesco Boccia ha detto che «non è un’eresia fare nascere Gesù due ore prima», in modo da anticipare le messe nella notte di Natale e rispettare il coprifuoco. Lei che dice?
«Si vede che all’ultima messa a cui è andato, avendo ascoltato certi canti, in una chiesa di recentissima costruzione, Boccia può avere inconsciamente accostato l’edificio di culto alle più pericolose discoteche».
A che ora lei celebrerà la messa di Natale?
«Alle 24 (santa messa della notte), alle 5 (santa messa dell’aurora), alle 11 (santa messa del giorno)».
Ha letto l’ultima enciclica di papa Francesco Fratelli tutti?
«Se vogliamo essere fratelli senza il Padre comune, o la mamma è vedova, oppure poco onesta. Per non parlare di San Francesco taroccato, ritinteggiato in verde-ecumenismo».
Ne apprezza i contenuti?
«È un testo che contiene tante condanne. Mi domando perché non sia stata scritta una parola contro la tirannide più feroce della storia, il comunismo, e il Paese in cui esso è tuttora crudelmente realizzato, cioè la Cina. Ma si vede che i poveri fratelli cinesi, traditi e svenduti, sono meno fratelli di altri».
Si sta riscrivendo anche la dottrina sociale della Chiesa, o la nuova enciclica ne è un approfondimento?
«Si sta sovvertendo la dottrina sociale, altro che! Vede, la dottrina sociale attinge da quella parte della Rivelazione che è anche conoscibile dalla ragione. Il modernismo, che fonda la fede solo sul sentimento religioso, aborrisce la filosofia naturale e cristiana: come si può proporre la vera dottrina sociale senza parlare di legge naturale?».
Che intende?
«Quando siamo così contrari all’aborto, al divorzio, al riconoscimento delle coppie omosessuali come soggetto di diritto, lo facciamo non perché vogliamo imporre un credo religioso, ma perché ciò è contrario al bene comune, conoscibile da tutti gli uomini alla luce della retta ragione. La fede certamente illumina e facilita questa conoscenza, ma non è strettamente indispensabile per capire certe cose. E siccome i modernisti non credono più né nella ragione, né nella possibilità di una conoscenza oggettiva, da un lato hanno paura ad affrontare certi temi; dall’altro si rifugiano in un fideismo che il compianto cardinale Carlo Caffarra chiamava “fede esclamata”».
A che cosa si riferiva il defunto arcivescovo di Bologna?
«Le faccio un esempio: “Ah i migranti, ah gli emarginati, ah i poveri divorziati feriti eccetera”, dove la prudenza e la ricerca del giusto mezzo virtuoso sono esorcizzate. Solo così si spiega l’incredibile appoggio al super-abortista Biden, le simpatie verso la Bonino, i miagolii appena sussurrati di finta opposizione alla legge Zan-Scalfarotto, le suore che ritirano fuori il velo dalla naftalina e se lo mettono per farsi fotografare ai seggi delle primarie del Pd…».
Che cosa sta accadendo nella Chiesa oggi? Ci si sta allontanando da un insegnamento bimillenario?
«Stiamo vivendo l’inferno della Chiesa. La Madonna a Fatima ha parlato di tre inferni: quello dei singoli (il mare di fuoco), quello delle nazioni (il comunismo), e quello della Chiesa. Tra tante altre sofferenze, il papato è colpito da frecce, cioè l’arma dei traditori che colpiscono appostati di nascosto. Attraverso un diluvio di sangue, trionferà presto il Cuore immacolato di Maria».
Perché dice che le frecce trafiggono il papato e non il Papa?
«Perché è l’istituto del papato che potrebbe essere ferito, in ipotesi, dallo stesso Papa».






