2020-05-21
Le chat dei magistrati su Salvini: «Ha ragione, però va attaccato»
Nei messaggi sul dl Sicurezza, Bianca Ferramosca (Anm) se la prende con i colleghi poco anti leghisti: «Cordata pericolosissima». E pure la cena con Matteo diventa un guaio.«Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c'entri la Procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico al di là del lato politico. Tienilo per te ma sbaglio?». Confidando nella segretezza di Whatsapp così ragionava non un ultrà leghista, ma il capo della Procura di Viterbo, Paolo Auriemma. A rispondergli Luca Palamara, oggi indagato a Perugia per corruzione: «No hai ragione... Ma ora bisogna attaccarlo». Le loro - e tante altre - chat sono agli atti dell'inchiesta umbra che ha terremotato il Csm. Auriemma (non indagato) dissente però dalla pugnace proposta del boss di Unicost, siamo nell'agosto 2018, e replica a sua volta: «Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso perché tutti la pensano come lui... E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti...». Auriemma teme che la difesa dell'immigrazione a opera della magistratura possa prosciugarne l'«appoggio sociale». E anche su Matteo Salvini, finito nel mirino dei pm siciliani, è tranchant: «Indagato per non aver permesso l'ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili». Lo sbarco della nave Diciotti è al centro pure dello scambio di battute con Renato Panvino, all'epoca capocentro della Direzione investigativa antimafia di Catania, citato nelle carte dell'inchiesta perugina (non indagato) per l'acquisto di un anello da regalare a un'amica di Palamara. Lui e il pm discutono della competenza delle Procure di Agrigento e Catania, e Palamara confessa che «è una cosa complessa... Sarà comunque un casino». Al che Panvino chiosa: «Io credo che rafforzano Salvini così», incassando analogo convincimento dal suo interlocutore: «Lo temo anche io».Palamara, che per anni è stato idolatrato dai magistrati di sinistra per le sue pose progressiste (ma oggi ci risulta che la sua delusione per come è stato scaricato dai vecchi compagni di ventura sia forte e il pentimento altrettanto pungente) nelle chat non nascondeva il suo disagio in presenza del leader del Carroccio e in più occasioni ha evitato di incrociarlo. Ne parla sia con l'ex presidente dell'Anm, Francesco Minisci («C'è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto») sia con il consigliere del Csm, Nicola Clivio («Cazzo ho Salvini davanti»). Nel gruppo Whatsapp di famiglia, avvisa addirittura la mamma mentre è in coda all'aeroporto: «Salvini davanti a me controlli se ci inquadrano sarebbe la fine». La donna risponde: «Lo sarebbe per te!». Poco dopo, Palamara - che intanto è salito a bordo - le segnala: «Salvini sul mio stesso aereo posti a metà aereo bisogna riconoscere che su questo sono imbattibili». La signora gli dà ragione: «Lo so». Palamara si interessa anche dei destini della Lega Nord, e in una chiacchierata col consigliere di Cassazione Giovanni Ariolli (non indagato) si fa inviare, tramite messaggini, i pdf delle sentenze del processo a Umberto Bossi e Francesco Belsito. Non replica nulla, però, quando - forse un po' imprudentemente - il general manager della Nazionale di calcio attori, Livio Lozzi, gli scrive a bruciapelo: «Arginiamo Salvini». Il leghista spunta pure nei dialoghi con l'ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, indagato a Perugia per rivelazione di segreto. È il 15 gennaio 2018, e l'ermellino discute con Palamara dell'incontro conviviale che l'associazione «Fino a prova contraria» della giornalista Annalisa Chirico ha organizzato per quella sera con imprenditori, politici, giornalisti e toghe illustri. Palamara invia all'amico un articolo intitolato «I pm stiano lontani da quelle cene». Fuzio vorrebbe andare. «Io ci rifletterei», lo sconsiglia Palamara. «Io non vado. Le scrivo». Fuzio invia un link: «In tv forte polemica per Di Maio che chiede a Salvini di non andare a “quella" cena». «Appunto», risponde il pm sotto inchiesta. Alla fine anche Fuzio diserterà.Il rapporto conflittuale con il centrodestra è stato il collante che ha tenuto insieme per dieci anni Palamara e le toghe rosse di Area. Tanto che, in un'intercettazione di Perugia, il pm indagato confida a un amico che «io dovevo andare contro Berlusconi» all'epoca in cui divideva il vertice dell'Anm con Giuseppe Cascini (oggi consigliere di Area). Battaglia peraltro rivendicata pure da quest'ultimo, nella sua nota sulla mailing list dell'Anm: «Io e Palamara abbiamo gestito insieme per quattro anni (dal 2008 al 2012) lui come presidente e io come segretario, la giunta dell'Anm. Erano anni difficili, quelli del governo Berlusconi, degli scontri con la magistratura, delle norme ad personam, della riforma costituzionale sulla giustizia. Insieme abbiamo difeso l'indipendenza della magistratura e ci siamo battuti per un'autoriforma del sistema giudiziario».Si fa ancora cenno a Salvini nella chat tra Palamara e Bianca Ferramosca, componente della giunta esecutiva dell'Associazione, che il 25 novembre 2018 si rivolge tutta allarmata a «Luca mio» per segnalare che nel parlamentino delle toghe qualcuno ha osato addirittura dare ragione al leader leghista. È il caso di Antonio Sangermano, uno degli inquirenti del processo Ruby e per questo difficilmente tacciabile di simpatia destrorsa. Racconta la Ferramosca: «Oggi Sangermano ha fatto intervento in Cdc (comitato direttivo centrale dell'Anm, ndr) praticamente contro di me perorando una linea filogovernativa su dl Sicurezza». Un fatto ai suoi occhi assolutamente censurabile tant'è che poi aggiunge, quasi sollevata: «In separata sede ma davanti a tutti quelli del gruppo ho posto la questione e ho avuto l'appoggio di una buona parte di noi». La sua condanna è senza appello: «La cordata Sangermano Saraco (Antonio Saraco, dimessosi nel dicembre 2019 dall'Anm proprio in polemica con la gestione del caso Palamara, ndr) è pericolosissima». Su Sangermano si era soffermato in precedenza pure Nicola Di Grazia, giudice a Tivoli ed esponente del cartello progressista di Area. In particolare commentando l'intervista che il magistrato milanese aveva rilasciato nel luglio 2017 al Giornale in cui accusava Piercamillo Davigo di «populismo giudiziario» e difendeva Berlusconi sull'applicazione retroattiva della legge Severino che lo aveva espulso dal Senato. Di Grazia era preoccupato dalle dichiarazioni del collega: «Guarda che questo ci scappa di mano: sta cercando visibilità politica personale». E Palamara lo tranquillizzava: «Oggi gli ho dato altolà... O chiarisce lui oppure gli chiedo io chiarimenti... Non è linea politica del gruppo».
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)