2021-04-28
Le Camere votano il Piano a scatola chiusa
Fdi si astiene, Giorgia Meloni furiosa: «Rifiutiamo la formula del prendere o lasciare». Mario Draghi si giustifica: «Ho rispetto per l'assemblea, ma chi consegna prima il testo, riceve prima i fondi». Matteo Salvini incalza la sinistra: «Resto nella maggioranza, l'ha chiesto Sergio Mattarella».Via libera del Parlamento alla risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi in relazione al Recovery plan. Alla Camera, i voti a favore sono stati 442 (tutti i partiti di maggioranza); i contrari 19 (gli ex M5s confluiti nella componente L'alternativa c'è); gli astenuti 51 (Fratelli d'Italia). Tra oggi e domani, il Consiglio dei ministri licenzierà il testo, che sarà quindi inviato a Bruxelles rispettando la scadenza del 30 aprile. Proprio sulla scadenza dei termini, che ha comportato una compressione dei tempi a disposizione dei parlamentari per analizzare il testo, con conseguenti proteste da parte di Giorgia Meloni in particolare, si è concentrato Draghi all'inizio della sua replica, che è stata sostanzialmente identica sia alla Camera sia al Senato. Il Recovery plan, è bene ricordarlo, è il documento che illustra all'Unione europea il modo in cui l'Italia intende spendere i finanziamenti che arriveranno dal Next generation Eu, chiamato anche Recovery fund. Si tratta in totale di 221,1 miliardi di euro, di cui 191,5 miliardi dal Recovery (tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti a basso tasso d'interesse) e 30,6 miliardi di risorse interne, da impiegare entro il 2026. «Ribadisco», ha detto Draghi intervenendo a Montecitorio, «il profondo rispetto che il governo ed io abbiamo per il Parlamento: indubbiamente i tempi erano ristretti ma la scadenza del 30 aprile non è mediatica, è che se si arriva prima si avranno i fondi prima. La commissione andrà sui mercati a fare la provvista per il fondo a maggio, poi la finestra si chiuderà nell'estate: se si consegna il piano subito si avrà accesso alla prima provvista, sennò si andrà più avanti».Draghi si è soffermato sulla proroga del superbonus, l'agevolazione prevista dal decreto Rilancio che eleva al 110% l'aliquota di detrazione delle spese sostenute dal primo luglio 2020 al 30 giugno 2022, per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. Questa misura ha aperto due fronti di polemica: la prima legata alla richiesta del M5s di estenderla fino a tutto il 2023, la seconda relativa alle estenuanti procedure burocratiche che hanno finito per scoraggiare la gran parte dei cittadini. «Molti di voi», ha sottolineato Draghi, «hanno chiesto garanzie relativamente al superbonus. Ribadisco che per questa misura, tra Pnrr e Fondo complementare, sono previsti oltre 18 miliardi, le stesse risorse stanziate dal precedente governo. Per il futuro, il governo si impegna a inserire nel disegno di legge di bilancio per il 2022 una proroga dell'ecobonus per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021. Già con un dl a maggio», ha evidenziato il premier, «interveniamo con delle importanti semplificazioni per agevolare la sua effettiva fruizione». Non è mancato un passaggio sul fisco: «Per riformare il sistema fiscale», ha sottolineato Draghi, «è auspicabile una ampia condivisione politica. Il governo si è impegnato a presentare una legge delega entro il 31 luglio 2021. Il Parlamento sarà pienamente coinvolto e svolgerà un ruolo di primo piano. È presto», ha sottolineato il premier, «per dare risposte su quale sarà la riforma del fisco. È essenziale che il lavoro del Parlamento giunga a compimento e che vengano fornite indicazioni politiche quanto più condivise e puntuali possibili». Molto severo l'intervento in Aula di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d'Italia ha annunciato l'astensione del suo partito, ma non ha risparmiato critiche al governo: «La scelta di ignorare il Parlamento», ha detto la Meloni, «è stata una scelta politica. Voi», ha sottolineato la Meloni, rivolgendosi alla Lega, «non volevate trovarvi nella difficoltà di mettere insieme la vostra litigiosa maggioranza. Non si può fare. È questa l'unità nazionale che ci decantate? Tutti uniti nel non contare assolutamente nulla? Non mi pare una gran cosa. Il ruolo dei parlamentari della Repubblica italiana non è fare il pubblico pagato. Forse noi siamo gli unici che non sono costretti a dire che va tutto bene. Perché non va bene affatto. Un partito serio», ha aggiunto la Meloni, «non vota un documento così imponente e importante con la formula del prendere o lasciare. E Fdi è un partito serio. Per questo ci asteniamo ma quando il nostro giudizio sarà compiuto sarà libero e consapevole e non, come molti altri qui dentro, viziato dall'interesse, dalla poltrona o dalla viltà».Andrea Colletti, deputato della componente L'alternativa c'è, ha illustrato i motivo del voto contrario: «Questo è un piano dove il governo semplicemente si accontenta. Un piano che parla di crescita risibile e minima del Pil ma non parla di come risolvere concretamente i bisogni della popolazione». Al Senato è intervenuto il leader della Lega, Matteo Salvini: «Grazie», ha detto rivolgendosi a Draghi, «per l'autorevolezza che sta restituendo all'Italia. Il fatto che lei abbia alzato il telefono per chiedere rispetto mi ha reso orgoglioso parlamentare e cittadino di questo Paese. Se qualcuno pensa di buttarci fuori dal governo ha sbagliato a capire. Qui siamo e qui rimaniamo, orgogliosi e convinti, per aiutare il nostro Paese. La Lega c'è», ha sottolineato Salvini, «siamo alleati leali. Purtroppo, dice qualcuno a sinistra. Noi abbiamo risposto all'appello di Mattarella mettendo prima l'Italia rispetto all'interesse di partito».