Una relazione del Mef prova che non c’è nesso tra pagamenti con carta e lotta all’evasione. E la Commissione incaricata di indagare sul sommerso ha verificato che la minor propensione a evitare l’Iva c’è stata quando il tetto al contante è stato innalzato a 3.000 euro.
Una relazione del Mef prova che non c’è nesso tra pagamenti con carta e lotta all’evasione. E la Commissione incaricata di indagare sul sommerso ha verificato che la minor propensione a evitare l’Iva c’è stata quando il tetto al contante è stato innalzato a 3.000 euro.Prosegue, senza esclusione di colpi, il dibattito intorno alla proposta del governo di aumentare la soglia per pagamenti in contanti e quella oltre la quale sanzionare l’esercente che dovesse non accettare il pagamento con carta.Ieri è stata la volta dell’economista della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, in audizione presso le commissioni Bilancio riunite per l’esame della legge di bilancio 2023.A lui dobbiamo il merito di aver tolto dal tavolo almeno uno dei due tormentoni di questi giorni: ha ribadito che le proposte del governo su contante e soglia per il Pos, almeno formalmente, non costituiscono violazione degli impegni presi con la Ue nell’ambito del Pnrr. Con Bruxelles ci siamo impegnati ad adottare «efficaci sanzioni amministrative in caso di rifiuto del Pos» e, anche con la soglia a 60 euro, l’efficacia resta. Rimane sul tavolo l’altro tema, quello della correlazione tra riduzione nell’uso del contante ed evasione fiscale. Tale nesso assume particolare importanza in relazione all’altro impegno presente nel Pnrr, che è quello di ridurre la propensione all’evasione (tax gap) di 2,8 punti percentuali rispetto al 2019 entro il 2024. Sul punto, da via Nazionale si sottolinea che «c’è inoltre evidenza che l’uso dei pagamenti elettronici, permettendo il tracciamento delle transazioni, ridurrebbe l’evasione fiscale». Tale affermazione è fondata su uno studio del febbraio 2022 in cui gli economisti di Bankitalia hanno rilevato, durante l’anno della pandemia, una significativa correlazione tra l’aumento della quota di pagamenti elettronici e la riduzione della propensione all’evasione dell’Iva. In particolare un aumento di un punto nella quota di pagamenti con carta, pare generi un aumento dello 0,4% del gettito Iva.Questa affermazione di Bankitalia è puntualmente e, con notevole maggiore approfondimento, confutata da almeno due autorevoli fonti: da un lato abbiamo la «Relazione per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione», redatta dai tecnici del Mef a dicembre 2021 e costituente un obiettivo del Pnrr; insomma le linee d’azione lungo le quali il governo (Draghi, si badi bene) si è impegnato ad agire per conseguire l’obiettivo di riduzione dell’evasione. Dall’altro lato, l’autorevole Commissione che la legge ha incaricato di osservare l’economia sommersa e l’evasione fiscale e contributiva e che ogni anno redige una corposa relazione - allegata alla Nota di aggiornamento al Def - per dare conto dei risultati conseguiti. Ed è proprio la prima relazione a smontare in pezzi, con robuste evidenze empiriche, il nesso causale tra potenziamento dei pagamenti elettronici e risultati sul fronte dell’evasione. I tecnici del Mef riconoscono che incentivare le carte è «in linea teorica, un’utile precondizione per il contrasto all’omessa fatturazione». Tuttavia le esperienze concrete dimostrano che - al di là del costo per lo Stato connesso con l’incentivazione - il deterrente per l’evasore è «la probabilità percepita di un controllo». La mera disponibilità di una ingente massa di informazioni sui pagamenti elettronici non è immediatamente disponibile per orientare l’attività di controllo ed è solo una complessa attività di gestione del rischio di conformità che riesce a colpire l’evasione. Insomma al Mef non sanno che farsene di tanti dati. Per mettere la leva dei pagamenti elettronici in fondo alla cassetta degli attrezzi, dal Mef fanno un’accurata analisi dell’esperienza del «cashback», che ha incentivato i consumatori all’uso delle carte. In effetti, l’aumento della quota delle transazioni elettroniche c’è stato, ma «non sembra aver conseguito effetti significativi sul recupero dell’evasione». Questo a prescindere dal costo sostenuto, che ha reso la misura un vero bagno di sangue per le casse statali. Partendo da queste evidenze, dal Mef suggeriscono tutta un’articolata serie di azioni basate su una raffinata analisi del rischio, in cui delle soglie del contante non c’è proprio traccia.Ancora più netta è la seconda relazione che, non a caso, a settembre ha ripreso parola per parola la relazione del Mef inviata alla Ue, enfatizzando proprio la mancanza di risultati sul fronte dell’evasione in conseguenza dell’aumento della quota di pagamenti elettronici. Si demolisce pure la tesi di Bankitalia sul «miracolo» del 2020, in gran parte attribuibile all’anomalia della diversa composizione dei panieri di spesa dei consumatori.Inoltre, nel commentare la significativa riduzione della propensione all’evasione (totale e Iva in particolare) si rileva che la vera discontinuità è arrivata a partire dal 2017 - poco dopo l’aumento della soglia del contante a 3.000 euro (!) - con strumenti come lo split payment, lo spesometro (di cui la fattura elettronica ha sfruttato la scia) e lo scontrino elettronico. Paradossalmente, gli esperti accendono un faro sull’economia digitale - dove pure è tutto tracciato - da cui «i fenomeni di evasione totale stanno traendo nuova linfa».Allora, se ridurre il contante non serve per contrastare l’evasione, serve ad altro. Serve a comprimere ulteriormente lo spazio di libertà del cittadino di acquistare beni e servizi con l’unica moneta avente corso legale e immediato effetto liberatorio, senza alcun intermediario che potrebbe gestire a propria discrezione la sua libertà e i suoi dati. Una libertà che i greci apprezzarono quando nel 2015 gli chiusero le banche con un click.
Ansa
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.
È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.
2025-11-26
Dimmi La Verità | Daniele Ruvinetti: «Dettagli e retroscena del piano di pace per l'Ucraina»
Ecco #DimmiLaVerità del 26 novembre 2025. L'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti rivela dettagli e retroscena del piano di pace per l'Ucraina.
- Il Paese è diventato un gigante da 100 milioni di abitanti ed è in costante crescita economica. Riferimento dell'industria manifatturiera, è partner commerciale privilegiato degli Usa come alternativa a Pechino. Dal giugno 2025 è membro dei Brics e punta a crescere ancora.
- I francesi portarono in Vietnam l'industria della gomma commettendo gravi errori e senza pensare alle conseguenze politiche e sociali che portarono i comunisti al potere. La storia delle grandi piantagioni di caucciù che furono alla base della rivolta anticolonialista.
Lo speciale contiene due articoli.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex procuratore nazionale antimafia, sentito dai pm che indagano su Laudati e il finanziere, fa muro: «Non sapevo nulla».
Il 20 maggio 2025 Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia ora parlamentare pentastellato, varca le porte della Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo che ricostruisce la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. E che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Un funambolico de Raho risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Falco e della pm Giulia Guccione. Sessantadue pagine in cui l’ex procuratore nazionale antimafia ripete sempre lo stesso schema. Che in più punti appare come uno scaricabarile in piena regola. E con una trentina di chiodi (quelli piantati con i vari «non ricordo, non avevamo questa possibilità, lo escludo») tutti nella stessa direzione: la difesa della sua estraneità. Tutti utili a puntellare ogni snodo critico emerso dall’ufficio che guidava e che, nella sua narrazione, gli è passato accanto senza mai toccarlo.





