2019-03-04
Erika Stefani: «L’Autonomia non toglie al Sud. Gli impone più responsabilità»
Il ministro: «A Veneto e Lombardia i nove decimi del loro gettito? Mai detto, va calcolato. Sulla sanità garantiti i livelli essenziali delle prestazioni. Le risorse restano immutate».Ministro Stefani, in queste ore, al centro della polemica, c'è il suo progetto di autonomia, cosa prova?(Sorriso). «Nulla. Faccio il mio lavoro, come sempre. Tra un'ora vado a spiegare come funziona in un incontro pubblico». È preoccupata? «Ma si figuri! Zero. Forse non mi conosce bene: solo la persona più serena del mondo». Si aspettava tutte queste polemiche sul suo testo base?«Cosa mi aspettassi è irrilevante. Le polemiche ci sono, ma nove decimi di quello che sento dire tra i critici e gli allarmisti è pretestuoso o irrilevante. Così, resto tranquilla». E come reagisce alle obiezioni? (Sorriso). «Con pazienza: come sto facendo con lei, spiego». Intanto molti osservatori dicono che proprio sull'autonomia cadrà il governo. «Vuole scommettere? Non accadrà nulla. Il progetto era nel contratto di governo. Tra poco, se mi fa spiegare, le faccio capire come funziona con il M5s».Erika Stefani è il ministro che ha in mano il dossier più delicato del governo gialloblù. Con una maggioranza politica che ha due radicamenti territoriali opposti - il M5s al Sud, la Lega al Nord - era ovvio che il tema delle autonomie sarebbe potuto diventare una potenziale mina che fa emergere interessi contrapposti. Polemiche e grida di allarme piovono in queste ore sul governo sia da destra che da sinistra, sia dall'interno della maggioranza che da fuori. Il Corriere della Sera di ieri indicava addirittura come due duellanti la stessa Stefani e la sua collega Barbara Lezzi (titolare del ministero per il Mezzogiorno), ma lei si mostra granitica: «Sono tutte tempeste in un bicchiere d'acqua. L'autonomia è una grande opportunità per l'Italia». Ministro, provi a spiegare cosa cambierebbe se domani il testo fosse immediatamente approvato. «Non si verificherebbe nulla di quello che dicono i nostri detrattori, in peggio. Accadrebbe tutto quello che diciamo noi, in meglio».Domanda: non si corre il rischio di divisione in due dello Stato? «Assolutamente no». Si rischia un terremoto istituzionale? «No. Approvata la legge tutto è trasferito a un tavolo negoziale dove inizia un percorso virtuoso». I suoi critici dicono: l'Italia si divide tra Nord e Sud. «Balle. Questa riforma non è un gioco di prestigio, è un processo. E l'unità dello Stato non viene messa in discussione». Gli allarmi sono strumentali? «Metà di quelli che parlano non hanno nemmeno letto il testo!». Dicono: con le autonomie le Regioni, soprattutto quelle del Nord, diventano macro Stati quasi indipendenti dal punto di vista economico e amministrativo. I poteri dello Stato centrale si svuotano. «Bisogna partire da questo assunto: dare competenze amministrative alle Regioni è previsto dalla Costituzione». È il famoso Titolo V.«Ricordo a tutti che si tratta di una riforma che fu votata dallo stesso centrosinistra che ci critica! Capisce che questo è una follia?». Altri dicono: il problema è economico. Lo Stato centrale non avrebbe più le risorse che gli servono per garantire la perequazione tra chi ha di più e chi ha di meno. «Errore grave. Sul territorio resterebbero le risorse che già si spendono per garantire i servizi di cui si parla. Come potrebbe avvenire questa sperequazione?». Aumentando le competenze, aumentano anche i fondi a disposizione di ogni Regione, però. «C'è quella che si chiama, tecnicamente, la “clausola di invarianza". Ovvero: non cambieranno le risorse che lo Stato stanzia e stanzierà alle Regioni».E quindi? «Se le Regioni avocano a sé quelle competenze, avocano a sé anche i fondi che servono per assicurare quegli stessi servizi». Ci spiega i primi effetti? «Ci provo. Vengono snellite le procedure, si accorcia la catena burocratica, chi decide è più vicino alle esigenze del territorio dove si realizzano gli effetti delle sue scelte, aumenta la responsabilità e l'efficienza di chi spende. Le pare che ci sia qualcosa di sbagliato?». Ma 23 richieste su 23 materie di competenza rivendicata, come nel caso del Veneto, non sono troppe? «Le rispondo come prima: se è previsto dalla Costituzione come può essere “troppo". Sono esattamente quelle che secondo il Parlamento che ha votato quel testo - non secondo la Lega! - sono richieste legittime». Qualcuno chiede più competenze e qualcuno meno: non è un paradosso che crea disomogeneità? «Le rispondo: e perché? Una Regione pensa di poter gestire meglio dei servizi per i suoi cittadini e se ne assume la responsabilità». E un'altra Regione non lo fa? «Esatto. Un'altra Regione ritiene di non doverlo fare e lascia queste competenze in carico allo Stato. Bene, chiedo, dove sta il problema?».Dicono: alcune Regioni rivendicano addirittura competenze in materia di politica estera. «Ecco, qui si fa davvero disinformazione. Rivendicare alcune competenze in materia di rapporti internazionali non significa affatto sostituirsi al governo nazionale».Mi faccia un esempio. «Tu, Regione, non potrai mai firmare un trattato internazionale! Se non altro perché su quello resta intatta la sovranità nazionale. Come su difesa, esercito, sicurezza». E cosa potrai fare allora? «Potrai, per esempio, siglare una intesa bilaterale economica con la Regione di un altro Paese europeo. E menomale, aggiungo io». Il tema più spinoso: non ci sarebbero più soldi per la sussidiarietà. «E non è affatto vero, una balla spropositata». Aumenterebbero le differenze economiche fra Nord e Sud. «Sbagliatissimo. Lo spazio, anche economico dell'autonomia inizia dopo che sono state assicurate le risorse necessarie a garantire i servizi primari dello Stato». Però il tema della disuguaglianza economica viene amplificato. «Le rispondo così: se oggi studio i dati economici, le differenze tra Nord e Sud sono purtroppo una realtà. Ma l'autonomia non c'era e quindi non le si può addebitare nessuna responsabilità». Ivan Cavicchi, di Federfarma, ha scritto un articolo per dimostrare che lo Stato non potrà più impostare una politica sanitaria comune. «Non capisco perché. Esistono diverse norme che assicurano queste garanzie. La prima, la garanzia costituzionale sulle prestazioni, è assicurata dalle intese che sono già il cardine della sanità di oggi: si chiamano Lea e non vengono messe in discussione». Si parla però di farmaci, di servizi, di prescrizioni. «Attualmente moltissime competenze sono già regionalizzate. E se c'è un terreno dove esistono sistemi disomogenei è proprio la sanità: pensi alla differenza tra il sistema lombardo e quello calabrese. Dove sarebbe lo standard nazionale che si perde? Noi vogliamo che tutte le Regioni si responsabilizzino e migliorino la loro efficienza». Il problema, però, potrebbe acuirsi. «Il Piano sanitario nazionale non è in discussione». Le Regioni povere avranno meno soldi? «Ma dove! Garantiremo i livelli essenziali delle prestazioni. E anche sui fabbisogni standard non inventiamo nulla: sono già previsti dalla legge 42». Ci sarà un impoverimento dei fondi di coesione? «Una balla. Non è che le autonomie possono togliere. Resteranno i soldi per garantire i servizi». E chi è che vigila in queste negoziazione?«Le istituzioni, il governo: il Mef non permetterebbe un impoverimento di alcune Regioni rispetto ad altre, io non lo permetterei!». Peró se Veneto e Lombardia mantenessero nove decimi del loro gettito fiscale, come rivendicano, il rischio esiste. «Il calcolo dei nove decimi è astratto». E quello giusto lei lo conosce?«No, perché oggi nessuno può indicare una cifra di questo tipo. Una volta riconosciute le competenze e quantificati i costi dei servizi, si otterrà la cifra che resta. Qualsiasi quantificazione, prima di questo processo è arbitraria». Il suo diventa il ministero più importante nella ripartizione dei costi e dei fondi.(Sorride). «No, io decido poco o nulla». Addirittura. «Sono solo un intermediario tra territori e Stato centrale: il mio grande lavoro, è di trattativa». Il mediatore spesso ha il potere più grande in una trattativa. «Io metto in relazione Regioni e presidenza del Consiglio». E sulla scuola? L'autonomia potrà produrre sistemi diversi con materie diverse, standard formativi diversi? «Su questo tema non posso entrare nel dettaglio perché è un capitolo che deve essere ancora discusso con i nostri alleati di governo». Che però sono in fibrillazione. «Quando abbiamo sottoscritto il contratto di governo abbiamo indicato l'attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, terzo comma, come riferimento». E perché me lo dice? «Do per scontato che quando hanno firmato lo avessero letto, quindi nulla cambia rispetto a quell'accordo». Sta richiamando il suo alleato all'ordine? «Al contrario: tutto quello che decidiamo deve essere fatto in un confronto con il M5s». Peró siete anche al governo nelle Regioni che aprono il negoziato con l'amministrazione centrale. «Io non sono del M5s, non so se loro quando hanno firmato avessero già letto il testo delle richieste di Veneto e Lombardia». Lei appoggia queste richieste? «Io, come le ho detto, medio. Ma ovviamente - per farle un esempio -parto dalla presa d'atto che esiste una drammatica richiesta di istruzione in Lombardia. E, come accadrebbe per qualsiasi altra richiesta, in qualsiasi altra Regione, vedo cosa si può fare per accoglierla». E l'accusa di aver tentato una fuga in avanti?«La trattativa tra Stato e Regioni l'abbiamo iniziata nel luglio scorso. I ministeri sono sempre stati coinvolti. Io non lavoro in solitario. Sul testo c'è anche un nulla osta del ministero delle Finanze sull'impianto generale. Questo testo è frutto di un lavoro di squadra».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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