2018-12-31
Pure Mattarella è contro. Ma l'autonomia deve passare
Occhio. L'anno vecchio si chiude con un accordo sulla legge di bilancio e quello nuovo si apre con una guerra sull'autonomia regionale. Di che si tratta? Dell'applicazione non solo di principi costituzionali da sempre disattesi, in base ai quali una serie di funzioni svolte dallo Stato sono da attribuire alle Regioni, ma anche di un accordo firmato dal governo di Paolo Gentiloni un attimo prima di levar le tende. (...)(...) L'ex presidente del Consiglio, forse nella speranza di recuperare a destra i voti persi a sinistra, alla fine della scorsa legislatura sottoscrisse un patto con i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in base al quale si impegnava a dare attuazione a una serie di trasferimenti di poteri, sia nel campo dell'istruzione che in quello sanitario e perfino delle infrastrutture. Alla decisione Gentiloni non arrivò per caso, ma dopo che alcuni milioni di lombardi e veneti si espressero a favore di una maggiore autonomia. Nei due referendum popolari voluti da Roberto Maroni e Luca Zaia gli abitanti delle due regioni votarono in maniera chiara, autorizzando i governatori a una trattativa con il governo centrale. Richiesta a cui poi si accodò l'Emilia Romagna che, pur essendo amministrata dal Pd, evidentemente ha le stesse aspettative delle altre regioni del Nord.Fin qui le puntate precedenti, ma adesso, cioè con il 2019, viene il bello, cioè la traduzione in pratica dell'accordo preso da Gentiloni. E naturalmente cominciano i mal di pancia. Nella maggioranza innanzitutto. Perché se i leghisti non vedono l'ora di poter fare da soli, in Veneto e Lombardia, mettendo le mani su sanità, istruzione e cose pubbliche finora di competenza dello Stato, il M5s non ci pensa proprio a mollare il potere statale su certe materie, in particolare nelle regioni meridionali. Per alcuni di loro ne andrebbe addirittura dell'unità d'Italia, con un Sud condannato a fare da solo senza l'aiuto del Nord, dunque minacciano fuoco e fiamme qualora in Parlamento dovesse arrivare l'annunciata riforma. Fossero arrabbiati solo i grillini, si potrebbe pensare che alla fine una soluzione da tarallucci e vino si troverebbe, proprio come si è trovata sulla manovra e sul decreto sicurezza.Ma a mettersi di traverso non sono solo i ribelli pentastellati: ora a quanto pare ci prova pure Sergio Mattarella, il quale nel suo discorso di fine anno pretende di intervenire sulla materia con uno dei suoi soliti sermoni (e chissà perché invece stette zitto ai tempi di Gentiloni). Sta di fatto che quello dell'autonomia si preannuncia il nuovo fronte di scontro del 2019, anche perché i leghisti sono pronti a tutto pur di ottenerla, anche a far cadere il governo. A dirlo non siamo noi, che con la maggioranza abbiamo pochi contatti, ma un seguace di Matteo Salvini del calibro di Giancarlo Giorgetti, il quale poco prima di Natale si è lasciato sfuggire una frase da cui si capiva che il piatto della bilancia leghista pende dalla parte della maggiore autonomia. O la si ottiene o si va a casa.Vedremo quel che accadrà, se cioè davvero si arriverà a uno scontro o si troverà l'intesa, come finora si è trovata anche su altro. A noi preme solo una cosa, ovvero ribattere a chi prefigura un'Italia divisa in due, una con salute, istruzione e servizi di serie A e un'altra con prestazioni di serie B, se non C.Beh, cari signori che temete l'autonomia, sappiate che l'Italia è già divisa in due. Non a causa dell'autonomia invocata dal Nord, ma per l'inettitudine di una classe politica meridionale che i servizi pubblici non li ha usati per fornire ai propri cittadini salute, istruzione e infrastrutture, ma solo come merce di scambio. Se oggi migliaia di pazienti preferiscono le strutture sanitarie del Nord è perché non si fidano di quelle a gestione clientelare del Meridione. Lo stesso dicasi delle università: perché uno studente (e una famiglia) deve sobbarcarsi un trasferimento a centinaia di chilometri se a due passi ha un ateneo? Perché le università meridionali - a torto o a ragione - sono considerate meno prestigiose. Il parallelo potrebbe proseguire con le infrastrutture, le strade, gli aeroporti e il ragionamento non cambierebbe. La frattura tra le due Italie dunque esiste e non l'hanno prodotta i governatori del Nord oppure Salvini: è stata provocata da quella stessa classe politica che si lamenta e, capitanata da Vincenzo De Luca, ora marcia compatta contro l'autonomia, perché vede nel trasferimento di poteri la certificazione della propria incapacità di gestire servizi pubblici in favore dei cittadini e non delle clientele.Mattarella, da uomo del Sud, se avesse davvero a cuore le sorti dell'unità dell'Italia non dovrebbe schierarsi con costoro, ma restare fuori dalla contesa. Il rischio è di avere il presidente di una sola parte del Paese. Quella che non vuole cambiare.