Scoperto nelle acque egiziane il bacino di gas più grande del Mediterraneo: per i rapporti di forza nell'area è un vero terremoto. L'instabilità portata da Barack Obama e le tensioni del caso Regeni sono alle spalle, ora Roma ha una carta in più da giocare con Donald Trump.
Scoperto nelle acque egiziane il bacino di gas più grande del Mediterraneo: per i rapporti di forza nell'area è un vero terremoto. L'instabilità portata da Barack Obama e le tensioni del caso Regeni sono alle spalle, ora Roma ha una carta in più da giocare con Donald Trump.Sembra proprio che l'Eni abbia fatto bingo all'ombra delle piramidi. Fino a oggi, il cane a sei zampe ha investito nei giacimenti egiziani di gas di Zohr e Nooros circa 8,5 miliardi di dollari e prevede di portarli alla massima resa con altri 3 miliardi nel futuro prossimo. Ora Eni pare possa dirsi titolare anche del più grande giacimento di gas mai scoperto nel Mediterraneo, quello di Noor, appartenente alla concessione di Shorouk nel Nord del Sinai e per il quale il ministero per il Petrolio egiziano si è subito affrettato a stanziare 105 milioni di dollari per l'ampliamento dell'esplorazione. Per ora le conferme arrivano solo dal Paese arabo, mentre l'azienda italiana nicchia, ma il quadro sembra chiaro. Se i rilievi iniziali dovessero essere confermati, si parlerebbe di un giacimento tre volte superiore a quello di Zohr scoperto nel 2015 al largo delle coste egiziane e confinante con l'altro bacino di sviluppo parzialmente detenuto da Eni al largo delle coste cipriote. Gli idrocarburi disponibili a Zohr e Noor rappresenterebbero una quantità di gas pari a circa cinquanta anni di fabbisogno dell'Italia, ma soprattutto renderebbero l'Egitto un Paese autosufficiente ed esportatore, confermando la scelta industriale di Eni di smobilitare alcuni asset a favore della continuità negli investimenti, soprattutto quelli vicini in prossimità di infrastrutture già esistenti. Per continuare le operazioni a Shorouk, infatti, la società italiana aveva ceduto nel 2016 il 30% della proprietà ai russi di Rosneft mentre il rimanente 10% si trova in mano alla britannica Bp. Il bacino orientale del Mediterraneo si sta confermando il luogo che potrebbe portare alla realizzazione delle speranze di Enrico Mattei, il quale si augurava di poter vedere un giorno il «Mare nostrum» quale sorgente energetica per tutti i suoi Paesi limitrofi. I bacini individuati a Cipro, di fronte a Israele e l'Egitto stanno lentamente ridisegnando la geopolitica energetica della regione e il nostro campione nazionale ne è uno degli attori principali. L'Egitto è uno Stato in cui le leve del potere e dell'economia sono nelle mani dell'esercito e i suoi presidenti sono fin dai tempi di Gamal Abd El Nasser, nonostante la cortina fumogena degli anni di propaganda socialista del periodo dei non allineati, sempre amichevolmente consigliati da Washington. Nasser, con i soldi avanzati dal colpo di Stato fornitigli dal rappresentante della Cia Kim Roosevelt, fece perfino costruire la torre sull'isolotto del Cairo. Nonostante il periodo di caos del disorientamento geopolitico obamiano, che ha fatto saltare nella regione i saldi punti di riferimento del passato in Egitto, gli Usa hanno ben presto favorito la fine della cosiddetta primavera, reinstaurando al vertice del potere un militare vicino ai loro interessi. Nel 2011, durante le primissime ore dalla destituzione del presidente Hosni Mubarak, l'allora sconosciuto generale Abd Al Fattah Al Sisi, capo dei servizi segreti egiziani, volava di nascosto all'accademia militare americana di West Point per coordinare le mosse necessarie per riportare l'ordine desiderato da Washington al Cairo. Saranno necessari due anni, ma oggi Al Sisi rappresenta la continuità del passato con cui anche Eni è riuscita a instaurare un rapporto proficuo e da cui si attende nelle prossime settimane il prolungamento di diverse licenze chiave. All'interno di questo scenario è chiaro che il caso di Giulio Regeni è condannato a risolversi realpoliticamente con le parole del presidente egiziano che ha descritto la morte dello studente italiano come il tentativo di forze straniere di minare i buoni rapporti tra l'Italia e l'Egitto. Il Paese che maggiormente avrebbe tratto vantaggi da un a tensione irreversibile tra Roma ed il Cairo sarebbe stato il Regno Unito, dato che proprio la Bp è la socia di minoranza della fruttuosa concessione del Delta del Nilo di cui l'Eni possiede il 75% attraverso la sua controllata Ieoc Production Bv e la Bp il 25% e di tante altre licenze. Pare tuttavia che la politica estera dell'Italia guidata da Eni sia riuscita ad attraversare il maremoto mantenendo anche un buon legame con la diplomazia americana. Certamente non è un caso se la nostra presenza nel campo degli idrocarburi in Egitto continui ininterrottamente dal 1954, cioè da dopo il colpo di Stato di Nasser.Se Obama era riuscito a scatenare l'instabilità nella zona mediterranea definendola una regione di secondaria importanza, nonché sottovalutando la rilevanza politica di un'Italia alleata mediterranea di Washington, la strategia di Donald Trump è improntata al rinsaldamento delle vecchie amicizie. In tale contesto, Eni rappresenta la continuità che potrebbe anche divenire la cartina di tornasole di una ritrovata posizione italiana delicatamente favorita dagli Usa in seno all'Unione europea, in cui Trump non vede di buon occhio l'egemonia tedesca e alla parte centrale della quale vorrebbe fornire idrocarburi provenienti dal bacino orientale del Mediterraneo, e nel nord Africa in cui Egitto, Italia e Usa potrebbero riavvicinare i propri interessi ora divergenti in Libia. Qualora il nuovo governo italiano riuscisse a comprendere che lo scenario nordatlantico sarà ancora per molto a guida statunitense e che il sostegno geopolitico di Washington potrà favorire le varie richieste del Belpaese a livello internazionale, allora ci attenderebbero anni fruttuosi.
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