2024-11-30
Landini vaneggia sul governo e sobilla: «Rivoltiamo il Paese come un guanto»
Le bandiere della Cgil per le strade di Bologna (Ansa)
Il capo della Cgil parla di «svolta autoritaria» e alle piazze mezze vuote urla che l’esecutivo «non rappresenta la maggioranza dell’Italia». Un inno alla rivolta sociale e alla violenza, da cui Elly Schlein & C. non si dissociano.Per lui il Black Friday è arrivato in anticipo. Dopo essersi aumentato lo stipendio a 4.735 euro lordi al mese alla faccia della classe operaia, Maurizio Landini trotterella felice sul palco del comizio per lo sciopero generale nella comfort zone di Bologna, dove nessuno glielo fa notare. E inneggia alla rivolta sociale degli altri, quelli col salario minimo. Un surreale «armiamoci e partite» perché il segretario della Cgil è già a posto senza incrociare le braccia, quindi può lanciare il consueto invito a scatenare l’inferno come un Lev Trotzkij fuori dal tempo. «È arrivato il momento di rivoltare come un guanto questo Paese e per farlo c’è bisogno della partecipazione di tutte le persone. La rivolta sociale, per noi, significa proprio non voltarsi da un’altra parte di fronte alle ingiustizie». Urla, scandisce, va fuori giri con lo scopo di incendiare il Paese e con il rischio di veder spuntare il gesto della P38. Si agita secondo copione per provare a ricostruirsi l’immagine da duro dopo le figuracce in serie rimediate sul metallo pesante (questione Ilva) e sulla dismissione dell’automotive italiana (questione Stellantis) nelle quali si è comportato da travet di Confindustria. Il suo sciopero generale somiglia alla prima della Scala senza la fantasia di cambiare spartito: c’è tutti gli anni (siamo alla quarta replica), va in scena tra novembre e dicembre, diventa la passerella dell’opposizione ed è sostanzialmente un flop. Quest’ultima constatazione prende spunto dai numeri dati da lui riassumendo le presenze in 43 città: «Se mettiamo assieme i numeri di tutti quelli che sono scesi in piazza possiamo dire che più di 500.000 persone in tutta Italia hanno scelto di manifestare per difendere la libertà e i diritti di tutti». Ammesso che tutti i 500.000 siano dipendenti - sappiamo invece che le truppe cammellate sono composte da pensionati, studenti, disoccupati, vecchie zie - siamo al 2,5% di lavoratori su 24 milioni. Praticamente lo scenario di un disastro. E quando Landini tuona «il governo è delegittimato perché non rappresenta la maggioranza del Paese» non ha ben presente quanto sia poco legittimato lui a rappresentare chi si oppone all’esecutivo di Giorgia Meloni. Nonostante ciò, il segretario si percepisce federatore della sinistra in lotta e minaccia «rivolte sociali» contro palazzo Chigi perché «siamo di fronte al tentativo serio di una svolta autoritaria che mette in discussione la libertà di esistere e la libertà delle persone». Il suo obiettivo primario è il decreto Sicurezza che «vuole far diventare un reato lo sciopero, i blocchi stradali, l’occupazione delle fabbriche quando chiudono. Chiediamo che venga ritirato». Lo sciopero generale si sgonfia dopo qualche ora. L’Italia non si ferma, i disagi sono minimi (i metrò funzionano a Milano e Roma, perfino l’Atac è più puntuale del solito) e il fremito veterosocialista scalda solo i cuori dei nostalgici, fra bandiere rosse, slogan da modernariato rivoluzionario, vessilli pro-Pal, reggiseni bruciati e l’Arcigay: il solito minestrone della contestazione purchessia orchestrata dal Nazareno. Non per nulla a spalleggiare il ras cigiellino c’è Elly Schlein che sottolinea: «È uno sciopero su una manovra che taglia la sanità pubblica, che taglia la scuola, che ha mancato le promesse di aumento sulle pensioni, che non ha investimenti per il futuro». Quindi ammette di aver chiamato in piazza la gente per contestare una legge di bilancio che ancora non esiste. Sembra brutto dirlo, ma il vincitore del braccio di ferro nel Venerdì nero del sindacato dimezzato (la Cisl di Luigi Sbarra si è tenuta alla larga dalla trappola) è Matteo Salvini, che precettando con piglio reaganiano i lavoratori dei Trasporti ha fatto centro. Il Tar gli ha dato ragione e il vicepremier può dire: «Sono orgoglioso di avere garantito una giornata serena a milioni di italiani. È uno sciopero contro la manovra convocato prima di conoscere la manovra. Stiamo lavorando a una legge di bilancio che non piace a Landini ma piacerà a 15 milioni di italiani che dal primo gennaio avranno una busta paga più alta», per poi aggiungere un monito verso il sindacalista: «Deve essere più cauto quando parla perché poi qualcuno lo prende sul serio», riferendosi ai disordini a Torino. La risposta di Pierpaolo Bombardieri da Napoli (in corteo c’è anche la Uil) è piccata: «Salvini si è sprecato in insulti, ci ha detto che siamo estremisti e ridicoli. A lui ha risposto la piazza democratica». Il leader socialista non tiene conto delle minacce del suo collega, ciò che è scomodo non esiste. Scaramucce. Così tutto si annacqua e diventa fiction, un simulacro manierista di sciopero per accontentare l’ego di leader senza base, tesi solo alla legge del marketing politico. Rimane il precipitato di paura, con le foto bruciate di Meloni e Salvini. E quel «rivolteremo l’Italia come un guanto» (copiato da una frase di Piercamillo Davigo ai tempi cupi di Tangentopoli), con l’incitamento alla rivolta. Brutta scivolata, che merita la reazione di Antonio Tajani: «Landini ha utilizzato un linguaggio fondamentalista. Un sindacalista dovrebbe parlare dei diritti dei lavoratori, invece minaccia la rivolta sociale. Bisogna sempre usare buon senso e un linguaggio che serva a risolvere i problemi, non a incendiare le piazze». Ma il nuovo parolaio rosso, privo delle giacche di cachemire di Fausto Bertinotti, non si scompone. Lui un risultato alla fine lo ha raggiunto e uno stipendio lo ha aumentato. Il suo.