2020-02-02
L'alleanza Eni-Enea per la fusione nucleare in Italia vale 600 milioni e 1.500 posti di lavoro
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Dietro l'alleanza tra il colosso energetico ed Enea ci sono un sacco di buone ragioni energetiche e strategiche. In ogni caso il DTT, acronimo di Divertor Tokamak Test è una buona notizia per il Paese, per i nostri ricercatori e per le aziende italiane che, sorpresa, in questo settore si fanno già onore nel mondo. E nel frattempo in Cina, Stati Uniti e Inghilterra non stanno a guardare.Anche l'Italia ha un suo progetto per andare verso l'energia del futuro quella da fusione nucleare che intorno al 2050 secondo le pianificazioni più realistiche sarà realtà per i paesi più avanzati che padroneggeranno questa tecnologia. Il 29 gennaio il Presidente di ENEA Federico Testa che, va detto, ha saputo tessere in silenzio e con grande abilità una tela fatta di ricerca di finanziamenti internazionali, consenso politico e alleanze industriali, ha firmato con l'Amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi una intesa molto importante, dando vita ad un polo scientifico il DTT Scarl - Eni avrà il 25%, ENEA il 74% e il Consorzio CREATE l'1% - per gestire il progetto italiano sulla fusione nucleare. Il DTT (Divertor Tokamak Test), questo il nome del progetto da 600 milioni, verrà realizzato nel Centro Ricerche ENEA di Frascati e non si tratta solo di una notizia buona per gli scienziati: le ricadute sul PIL italiano nei prossimi anni sono stimate in circa due miliardi di euro con la creazione di 1.500 nuovi posti di lavoro, dei quali i 500 diretti. Ma è solo la punta dell'iceberg. La fusione nucleare è stata accompagnata in passato, per le sfide tecnologiche e realizzative che sottende per diventare viabile da un punto di vista economico e industriale, da un certo scetticissimo. Ma i tempi stanno diventando maturi e c'è grande fermento intorno a questo metodo di produzione dell'energia che, sostanzialmente, tenta di replicare il sole dentro un "pentolone" ipertecnologico fatto di magneti superconduttivi che contengono il plasma, ad altissima temperatura, oltre 150 milioni di gradi centrigradi, aggregando nuclei di idrogeno e generando una energia in forma termica, convertibile poi in energia elettrica. Sembra complicato e lo è, ma è anche tutto molto sicuro, a differenza della fissione nucleare, e oggi l'evoluzione della conoscenza nell'utilizzo dei materiali, i sistemi di controllo, le conoscenze in campo fisico e ingegneristico consentono di essere ottimisti sul rispetto dei tempi dichiarati dai progetti. C'è chi sostiene, probabilmente a ragione, che senza la fusione nucleare non sarà possibile immaginare di avere energia sostenibile e sicura. Come dire, eolico e pannelli solari bene ma non bastano. Sarà un caso ma oltre ai grandi progetti del mondo della ricerca finanziata dagli Stati ci sono start up e iniziative legate alla fusione nucleare che da qualche anno fanno capolino in nazioni che, solitamente, non investono a caso. Basta una rapida ricerca su google per scoprire che negli USA ci sono numerose iniziative come Commonwealth Fusion System o la canadese General Fusion, che vede coinvolto tra gli investitori anche il Re di Amazon Jeff Bezos, che hanno raccolto centinaia di milioni di euro. Mentre di qui dall'atlantico, in UK, Boris Johnson non ha mancato di notare l'importanza di questa tecnologia visitando i laboratori della Atomic Energy Agency riuscendo come sempre a dividere le opinioni circa la reale o meno leadership inglese nel settore. Anche in Cina si stanno portando avanti: investono da decenni nella fusione e hanno anche loro dei Tokamak per iniziare a mettere il sole in una scatola ma non solo, sono anche tra i paesi contributori di ITER. Tornando alla firma dell'accordo di ieri a Frascati occorre registrare che De Scalzi ha parlato di una «collaborazione si inquadra nella visione strategica di Eni per la trasformazione del mondo dell'energia, nel quale la fusione a confinamento magnetico potrà giocare un ruolo essenziale». Ad oggi Eni è l'unica società dell'oil&gas integrata ad aver investito in questa tecnologia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lalleanza-eni-enea-per-la-fusione-nucleare-in-italia-vale-600-milioni-e-1-500-posti-di-lavoro-2644997588.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-progetto-dtt-e-la-fusione-nucleare-perche-sono-importanti-a-livello-scientifico-politico-e-industriale" data-post-id="2644997588" data-published-at="1764633248" data-use-pagination="False"> Il Progetto DTT e la fusione nucleare, perché sono importanti a livello scientifico, politico e industriale La fusione nucleare è una sfida tecnologica, industriale e organizzativa che coinvolge i paesi più industrializzati del mondo insieme a migliaia di scienziati, fisici, ingegneri e centinaia di aziende specializzate in settori di nicchia come magneti, camere da vuoto, criogenia oltre che di costruzione e opere civili. Il progetto più importante per dimensioni e investimenti, dovrebbe costare circa 20 miliardi di euro, si chiama ITER. La centrale è in costruzione a Cadarache nel sud della Francia e dovrebbe diventare operativa, dimostrando la fattibilità del processo di creazione di energia tramite fusione, dal 2025. Dopo ITER, se tutto andrà per il meglio, ci sarà DEMO ovvero il reattore su scala industriale. Un'altra centrale simile, gemella in piccolo di ITER è in costruzione in Giappone e si chiama JT60SA, anche per questo il progetto DTT è importante: l'Italia, già in prima linea nel progetto ITER che vede brillanti manager italiani come Sergio Orlandi in posizioni apicali, avrà una macchina per la fusione che attirerà ricercatori e scienziati di tutto il mondo ed eviterà almeno in parte la fuga di cervelli. Le ricadute si annunciano importanti sia per l'economia che per i posti di lavoro ma è di tutta evidenza che, in questa lunga corsa verso l'energia del futuro, mantenere competenze ed esperienze sul territorio, sono molte le aziende italiane che già lavorano sui principali progetti internazionali come ASG Superconductors, Criotec o Walter Tosto solo per citarne alcune, sarà un vantaggio competitivo di cui beneficeranno i nostri figli e nipoti quando, sperabilmente, la fusione sarà realtà.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)