2024-03-05
L’allarme sull’attacco russo a Ovest cancella la lezione della Guerra fredda
La foga con cui si dà ormai per assodato il punto di non ritorno sembra la perfetta giustificazione per la corsa al riarmo. Un contrappasso rispetto ai tempi dell’Urss, quando proprio il dispositivo bellico frenava l’escalation. Nella retorica bellicista imperversante tra i governanti europei a far tempo dal fallimento della famosa «controffensiva» che avrebbe dovuto portare l’Ucraina al recupero di tutti i territori, compresa la Crimea, attualmente occupati dalla Russia, c’è un elemento che desta particolare preoccupazione: quello, cioè, costituito dal fatto che viene dato praticamente per certo, in un arco di tempo che va dai tre ai dieci anni circa, un attacco della Russia ad uno o più dei Paesi facenti parte della Nato, con preferenza per le Repubbliche baltiche, qualora essa risultasse vittoriosa nel confronto con l’Ucraina. Di qui - si afferma, anche da parte americana - l’esigenza di continuare il sostegno all’Ucraina perché ciò non avvenga. Di fatto, però, la suddetta condizione può dirsi già realizzata, ben potendosi intendere come «vittoria» quella costituita dall’avvenuto e ormai apparentemente irreversibile conseguimento, da parte russa, del principale obiettivo della sua azione, costituito dal possesso delle regioni russofone dell’Ucraina. Se così è, la prosecuzione del sostegno militare all’Ucraina altra funzione non avrebbe se non quella di allontanare nel tempo, tenendo impegnata una parte consistente del dispositivo militare russo, il momento dell’attacco alla Nato. Ma è evidente che una tale situazione non potrebbe andare avanti all’infinito, per cui quell’attacco, date le premesse, sarebbe da considerare, ad un certo punto, inevitabile, nonostante le ripetute assicurazioni in contrario da parte di Mosca. Ciò segna una profonda differenza rispetto a quanto avveniva nel periodo della cosiddetta. «guerra fredda», in cui si dava invece per scontato che l’Urss, pur essendo il nemico potenziale della Nato, non avrebbe attaccato nessun Paese che ne faceva parte, purché lo stesso, da solo o insieme a tutta l’alleanza, fosse dotato di adeguata forza di dissuasione. E solo a tale ultimo fine si riteneva necessario che il dispositivo militare dell’alleanza fosse costantemente tenuto in condizioni tali da sconsigliare ogni eventuale azione aggressiva. In altri termini, lo scopo dichiarato ed effettivamente perseguito dalla Nato era solo ed esclusivamente il mantenimento della pace, sia pure sulla sola base di quello che veniva definito l’«equilibrio del terrore», determinato dal fatto che uno scontro tra le due «superpotenze» dell’epoca, Usa e Urss, entrambe dotate di armamento nucleare, avrebbe avuto come conseguenza la «mad» (mutual assured destruction). Il che consentiva di contrapporre ai pacifisti di allora, costantemente avversi alle spese militari, l’argomento (di per sé valido, anche se non sempre tale da convincere gli oppositori) che le stesse erano finalizzate non a fare la guerra ma, piuttosto, a garantire la pace. Del tutto diversa è la situazione di oggi, dal momento che l’aumento delle spese militari ed il conseguente rafforzamento della difesa comune, ritenuto necessario dai governi della maggior parte dei Paesi europei, oltre che dalla presidente della Commissione europea, Ursula Von del Leyen (stando a quanto da lei, anche ultimamente, dichiarato), dovrebbero avere soltanto lo scopo di far sì che, una volta avvenuto l’attacco russo, esso possa essere respinto, pur nell’ipotesi di un disimpegno da parte degli Usa, visto come possibile qualora le elezioni americane fossero vinte da Donald Trump. Il che implica, peraltro, la piena accettazione della terrificante prospettiva che l’Europa possa tornare ad essere, dopo 80 anni, teatro di un immane conflitto che, stavolta, la ridurrebbe tutta, ed irreversibilmente, in un ammasso di rovine popolate da pochi e disperati superstiti. Il che farebbe forse felici, se sopravvissuti, i fanatici sostenitori dell’esigenza di una drastica e rapida riduzione della popolazione mondiale, per la salvaguardia del pianeta Terra. La preoccupazione è, quindi, quella che, essendosi imposto alle popolazioni europee il grave peso di fondamentali (e dolorose) scelte politico-economiche basate sul presupposto della pressoché assoluta certezza di quell’attacco militare, si faccia comunque in modo che esso abbia, una volta o l’altra, a verificarsi perché, altrimenti, si correrebbe il pericolo di «perdere la faccia». Ed è noto quanto conti, per chi esercita un qualsiasi potere ad un qualsiasi livello, un tale pericolo, tanto da far passare in sottordine ogni e qualsiasi altra considerazione, ivi compresa quella della stessa vita di quanti a quel potere siano soggetti. Anche se non fosse vero sarebbe comunque ben trovato l’esempio offertoci dal Vangelo di Marco secondo cui il re Erode Antipa, proprio per non «perdere la faccia» davanti ai convitati in presenza dei quali aveva promesso a Salomè, dopo averla vista ballare, di soddisfare ogni suo desiderio, accolse la richiesta, suggeritale dalla madre Erodiade, di far decapitare san Giovanni Battista e far portare la sua testa, su di un bacile, nella sala del banchetto. Non potrebbe, quindi, del tutto escludersi che se la Russia, conformemente alle assicurazioni più volte pubblicamente fornite, si ostinasse a non porre in essere alcun attacco, qualche dottor Stranamore, magari attuando o pensando di attuare direttive superiori, si desse la briga di provocarlo, mediante la creazione di un apposito incidente, se non addirittura di simularne l’avvenuta effettuazione. Istruttivo, a tale ultimo proposito, potrebbe essere il precedente storico costituito dal falso attacco di truppe polacche al posto di frontiera tedesco di Gleiwitz, nella notte sul 1 settembre 1939, organizzato dalla Germania per far apparire giustificato il preteso «contrattacco» tedesco nei confronti della Polonia, che segnò l’inizio della Seconda guerra mondiale. E si trattò di una messa in scena così accurata che, per accrescerne la credibilità, non si esitò a farne pagare le spese a taluni degli ignari difensori del posto di frontiera, i quali, nel conflitto a fuoco con quelli che apparivano gli assalitori (ma erano, in realtà appartenenti alle SS in divisa polacca) ci rimisero la vita. Può darsi (ed è, anzi, ovviamente sperabile, con l’ausilio di appositi scongiuri) che prospettive come quelle anzidette siano prive di qualsivoglia fondamento e destinate, quindi, ad essere smentite dalla realtà. Ma, siccome la prudenza non è mai troppa, è comunque bene tenerle presenti perché sia chiaro in partenza che nessuna faccia, tra quelle dei «leader» politici di ogni paese, potrà mai meritare il sacrificio anche di una sola vita umana.
Ecco #DimmiLaVerità del 9 settembre 2025. Il deputato di Azione Fabrizio Benzinai commenta l'attacco di Israele a Doha, la vicenda di Flotilla e chiede sanzioni nei confronti dei ministri di Israele.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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