2019-07-08
Ladri di bambini
Dopo lo scandalo scoppiato in Val d'Enza, con i minori sottratti a genitori accusati falsamente di violenze, «La Verità» decide di dare voce alle famiglie distrutte, a mamme e papà cui hanno tolto i figli, che stanno passando pene indicibili e sono convinti di aver subito ingiustizie dai servizi sociali e dai tribunali. A monte degli affidi, a volte ci sono crisi di coppia, altre volte i piccoli vengono allontanati per cause socioeconomiche. Roma, Torino, Modena, Ancona: quattro storie per riflettere. Lo speciale contiene cinque articoli. Nessuno sa con certezza quanti bambini siano stati sottratti ai loro genitori per decisione di un tribunale. Alcune associazioni di avvocati sostengono che siano oltre 50.000. La Verità si era già occupata del business delle case famiglia (oltre 1 miliardo di euro) e dei conflitti d'interessi tra i gestori di quelle strutture e i giudici onorari, i consulenti dei tribunali, gli assistenti sociali e gli psicologi. Nei giorni in cui divampano le polemiche per l'inchiesta Angeli e demoni, che in Val d'Enza ha scoperchiato uno sconcertante mercimonio di bimbi, tolti a mamme e papà sulla base di accuse di maltrattamenti costruite a tavolino e affidati anche a coppie omosessuali per puro fanatismo ideologico, abbiamo deciso di raccontarvi alcune storie. Storie tremende, in cui al dolore si mescola però il coraggio dei genitori che continuano a combattere per riabbracciare i figli allontanati. Abbiamo deciso di ascoltare la versione delle famiglie. Di dare voce a chi voce non ne ha. Non possiamo stabilire se queste persone che, per tutelare i minori coinvolti, chiameremo con nomi di fantasia, abbiano ragione o torto. Sappiamo però che, a questo punto, è almeno lecito coltivare il dubbio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ladri-di-bambini-2639117980.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="il-padre-era-un-violento-e-ora-stanno-punendo-me" data-post-id="2639117980" data-published-at="1757412060" data-use-pagination="False"> «Il padre era un violento e ora stanno punendo me» Roma, anno 2013. Diana e il marito si sono lasciati. Da quel momento, l'uomo comincia a manifestare comportamenti violenti verso l'ex moglie, anche di fronte al figlio Giacomo. La separazione all'inizio è consensuale, ma il papà di Giacomo, a febbraio 2013, segnala alla Corte d'appello che la moglie e il bambino hanno dei problemi psicologici. Viene nominata una consulente che prescrive a tutti e tre una terapia (a pagamento, circa 100 euro a seduta) in una Onlus. Particolare da tenere a mente. In quella sede, gli assistenti sociali, sostiene Diana, arrivano ad alterare i resoconti di Giacomo. Lo obbligano a disegnare la pioggia per poi appigliarsi a questo particolare per sostenere che il bimbo è depresso. Nel 2014, l'ex di Diana ne tenta un'altra. Lei accompagna Giacomo al circolo tennis, lui manda i carabinieri, denunciandola per abbandono di minore e perché, a suo dire, gli impedisce di vedere il piccolo. La denuncia viene archiviata, ma a quel punto interviene il tribunale minorile. Cominciano gli incontri protetti tra Giacomo e suo papà. Diana ci ha fatto ascoltare alcune registrazioni di quei faccia a faccia strazianti: Giacomo urla, teme che «quello» (così chiama suo padre) possa picchiare di nuovo «mammina». A cavallo tra il 2014 e il 2015, il tribunale rispedisce i tre in terapia presso la stessa Onlus del 2013. Sempre a pagamento. È a quel punto che il legale di Diana scopre gli altarini: a vario titolo, all'associazione sono legati l'avvocato dell'ex marito, la consulente del tribunale e persino gli assistenti sociali che stavano seguendo la famiglia. Nel 2016, gli incontri protetti tra Giacomo e suo papà vengono sospesi. In una relazione, infatti, la ctu, ossia la consulente del tribunale, scrive che il contesto e «la qualità della relazione» tra i due sono «così deteriorati» da rendere gli incontri «inumani». Ma allo stesso tempo, la consulente si scaglia anche contro Diana, definendola una madre «simbiotica» ed evidenziando un «conflitto di lealtà» con Giacomo, che avrebbe con la donna un rapporto «fusionale», morboso. Pochi giorni dopo l'uscita di questo rapporto, nonostante sia il papà quello cui gli psicologi, durante gli incontri protetti, avevano già diagnosticato un «disturbo del pensiero», la tendenza a fare del male al figlio pur di far soffrire l'ex moglie, il giudice minorile emette un decreto d'urgenza. E colloca Giacomo in una casa famiglia. «Per portarlo in comunità», ci racconta Diana, «hanno fatto un blitz a scuola. Otto uomini delle forze dell'ordine che lo hanno preso di peso e lo hanno trascinato lì». Il calvario non è finito. Giacomo, infatti, è celiaco, ma nella casa famiglia gli viene somministrato cibo con glutine. Diana ci ha mostrato le tremende foto risalenti a quel periodo, con le mani e le giunture del piccolo coperte di piaghe. «La struttura consegnava sempre relazioni positive, diceva che mio figlio stava migliorando», ricorda la donna. «E invece, un'ispezione del Procuratore e poi di Nas e Asl ha accertato che gli stavano facendo mangiare cibo con glutine». Finalmente, Giacomo esce dalla casa famiglia e, nel 2017, viene collocato nella casa della madre di Diana. In Toscana. «Ma andava bene così. Potevo vederlo, almeno». Solo che l'assistente sociale scrive una relazione - «falsa», assicura Diana - in cui sostiene che la donna dava in escandescenze durante gli incontri, che apriva il frigorifero della madre e buttava per terra le pietanze incompatibili con la celiachia del bimbo. «Fa copia-incolla con il rapporto dei precedenti consulenti, tira fuori il conflitto di lealtà, dice che io destabilizzo Giacomo». Risultato? Da due anni, Diana può vedere il figlio, che oggi ha 13 anni, una volta ogni 15 giorni, per un'ora, videoregistrata e in presenza di un educatore. «Il padre, invece, può andare a prenderlo quando vuole e portarlo dove vuole». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ladri-di-bambini-2639117980.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="mia-moglie-non-ha-retto-si-e-lanciata-dal-balcone" data-post-id="2639117980" data-published-at="1757412060" data-use-pagination="False"> «Mia moglie non ha retto. Si è lanciata dal balcone» Patrizia vive a Torino, ha un marito con cui va d'amore e d'accordo e tre figli. Però, a 47 anni, è costretta a portare un apparecchio acustico. Ed è stata malata oncologica: ha dovuto lottare contro un tumore all'utero, uno alla bocca e un osteoma. Quei mali li ha sconfitti. È al sistema dei servizi sociali, invece, che è dovuta soccombere. Durante la malattia, Patrizia e il marito li avevano interpellati per chiedere un aiuto con i loro bambini: «Ma mi avevano risposto che non c'erano abbastanza fondi per mandarmi a casa qualcuno che mi desse una mano». Nel frattempo, però, parte la solita procedura: l'assistente sociale va a casa di Patrizia e scrive al giudice minorile che la donna abbandona i figli in cortile, passa la giornata a dormire («ci credo che mi riposavo, ero malata!», ci dice lei). E aggiungono che il marito conserva una collezione di film porno, che i figli, due maschi e una femmina, hanno trovato e si sono messi a guardare. «Era tutto falso», assicura Patrizia. Fatto sta che i suoi tre ragazzi vengono allontanati. È il 2013. Anche lei, proprio come Diana a Roma, racconta: «Sono andati a fare un blitz a scuola, li hanno prelevati lì. Quando l'ho saputo, mi sono messa in ginocchio davanti all'assistente sociale. La imploravo: “Ma perché l'hai fatto?"». A un certo punto, uno dei tre bambini, Fabrizio, 8 anni, viene trasferito in una casa famiglia di Asti. Ai genitori viene proibito di vederlo. Ma Patrizia, che ha retto a tre cancri e alla sordità, non s'arrende. Riesce a mettersi in contatto con una mamma, ospite della struttura insieme al proprio figlio. Questa signora riferisce a Patrizia che Fabrizio viene minacciato, insultato e umiliato dagli operatori della comunità. «E a un certo punto sono venuta a sapere anche che si era messo a fumare. A 8 anni». Patrizia si ribella: «Ho fatto un bordello, ho denunciato tutti», riferisce. Da quel momento, ai genitori viene finalmente consentito di rivedere Fabrizia. «Quando l'ho riabbracciato, l'ho trovato sporco e trascurato. Poi, per fortuna, lo hanno trasferito in un'altra struttura a Moncalieri, dove Fabrizio si è trovato benissimo. I suoi fratelli me li hanno restituiti nel 2016, lui lo scorso anno. E quando il giudice ha conosciuto me e mio marito, mi ha detto: “Signora, ma io non sapevo che lei fosse malata". Capito? Nessuno gli aveva detto che ero una paziente oncologica. Ma se togliete i figli alla gente, almeno informatevi prima!». Ben più tragico il destino di un'amica di Patrizia, Mara. Suo marito ci racconta che la donna «aveva dei disturbi. Era bipolare. Aveva alti e bassi. Ma amava sua figlia. Non le avrebbe mai fatto del male. Finché una sera, nel 2013, io e lei litighiamo di brutto, in assenza della piccola Alice. I vicini forse si spaventano, chiamano i carabinieri e loro, quasi seduta stante, ci tolgono Alice. Ci hanno anche detto che il nostro era l'unico caso di allontanamento richiesto dalle forze dell'ordine. E invece dopo abbiamo scoperto che i servizi sociali ci monitoravano già da due anni, perché per nostra figlia avevamo chiesto l'aiuto di un educatore una volta a settimana». La situazione precipita. Alice resta in comunità per 6 anni. «E intanto, i servizi sociali costringono me e mia moglie a vivere separati e fanno relazioni pesantissime su Mara. Un giorno, uno psicologo le ha detto: “Signora, lei è malata, non doveva nemmeno diventare madre"... Ma vi rendete conto?». Mara, che ha già le sue fragilità, non regge: nel 2017 si è gettata dal balcone della casa di sua madre. «È morta dopo 65 giorni di agonia. Aveva 40 anni ed era una ragazza bellissima. Nemmeno tre mesi dopo, arriva la relazione dei servizi sociali: problema risolto, mia figlia Alice può tornare a casa. Capito? Il “problema" era mia moglie. Morta lei, per loro era tutto a posto». Oggi Alice ha 16 anni. E questo dolore se lo porterà dentro per sempre. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ladri-di-bambini-2639117980.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="noi-accusati-di-non-averle-dato-da-bere-siamo-lontani-da-5-anni" data-post-id="2639117980" data-published-at="1757412060" data-use-pagination="False"> «Noi accusati di non averle dato da bere. Siamo lontani da 5 anni» Elisa e Marcello vivono nel Modenese, nella zona del terremoto del 2012. È l'area che fu già investita dallo scandalo dell'inchiesta Veleno: l'invenzione, a fine anni Novanta, di numerosi casi di abusi, omicidi e riti satanici commessi sui figli da decine di famiglie della Bassa Modenese. Mamme e papà distrutti per nulla, una vergogna denunciata dal giornalista Pablo Trincia e che costituisce, a tutti gli effetti, un precedente di Angeli e demoni. Torniamo a Elisa e Marcello, due persone educatissime, dignitose, afflitte purtroppo da alcune malattie che si sono tradotte, per la donna, nel riconoscimento del 50% di invalidità e, per il marito, dell'85%. «Nostra figlia, Angela, nacque prematura», ci raccontano. «Un mese dopo il parto, le fu diagnosticata l'epilessia. Perciò, la bimba doveva stare costantemente in terapia. Poi, superata l'epilessia, sono cominciate le gastroenteriti ricorrenti». Elisa e Marcello erano costretti ad assentarsi spesso dal lavoro per stare vicini alla loro piccola. Finché quel lavoro non l'hanno perso: «Siamo stati licenziati. Così, ci siamo rivolti al Comune per un aiuto». E da lì scatta la trafila dei servizi sociali. La famiglia inizia a essere monitorata. Alla fine, succede l'imponderabile. «Faccio una premessa», spiega papà Marcello: «Aavevamo insegnato ad Angela, che aveva circa tre anni, come andare al rubinetto con la brocchetta dell'acqua per prendersi da bere. Un sabato», prosegue l'uomo, «mia figlia dice: “Papà, ho sete, prendimi l'acqua". E io: “Su Angela, prendila da sola: ora sei capace". Una cosa normale, un padre che spinge la figlioletta a rendersi autonoma. Solo che, tre mesi dopo, Angela aveva avuto un nuovo attacco di gastroenterite. Si era disidratata ed era finita in ospedale. Leggendo i referti, è partita l'accusa dell'assistente sociale a me e mia moglie: “Voi non le date da bere". In pratica, questo psicologo ha collegato una disidratazione dovuta alla gastroenterite e al vomito, con il fatto che noi chiedevamo ad Angela di versarsi l'acqua da sola». Di lì all'ingresso in casa famiglia, il passo è breve. Anche perché, come ha illustrato alla Verità l'avvocato Marco Meliti, esperto dei casi di allontanamento dei minori, «per collocare un bimbo in una comunità ci vuole poco. I servizi sociali segnalano l'emergenza e il tribunale di solito si attiene alla segnalazione con un decreto d'urgenza. Per i ricorsi dei genitori, invece, i tempi sono quelli di un processo vero e proprio. E, intanto, il danno è fatto: i figli trascorrono mesi nelle case famiglia». Undici mesi, per l'esattezza, nel caso di Angela. Che non è mai più tornata a casa: «Al termine di quel periodo, nostra figlia è stata dichiarata adottabile», ci riferiscono Elisa e Marcello. «Eppure, ci eravamo rimessi in carreggiata. Abbiamo ricominciato a lavorare in un negozietto di famiglia». D'altro canto, «se due genitori hanno problemi economici, non è meglio aiutarli, piuttosto che togliere loro i figli?», ci dice l'avvocato Cristina Franceschini, dell'associazione Finalmente liberi, da anni in trincea per restituire i bambini «rubati» a mamme e papà. «Certo», ammette Marcello, «nel nostro caso c'è stato l'errore della sorella di mia moglie, con la quale infatti abbiamo troncato i rapporti: lei, forse per paura della responsabilità, ha rifiutato di adottare Angela, che quindi è finita in una famiglia di estranei. Sono passati 5 anni dall'ultima volta che abbiamo visto la bimba». Elisa e Marcello si sentono traditi dalle istituzioni: «In Appello, l'avvocato del Comune ci ha trattati come fossimo Bonnie e Clyde. Ci è stata negata una ctu. Ci hanno praticamente accusati di essere degli svitati, perché ci siamo sposati in abiti rinascimentali, peraltro elogiati dal Comune stesso per aver voluto inscenare la rievocazione storica. Vi prego», conclude Marcello, cui fa eco la moglie: «Voi giornalisti scavate nel mondo marcio degli affidi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ladri-di-bambini-2639117980.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lho-visto-lultima-volta-3-anni-fa-la-sua-e-unadozione-mascherata" data-post-id="2639117980" data-published-at="1757412060" data-use-pagination="False"> «L’ho visto l’ultima volta 3 anni fa. La sua è un’adozione mascherata» Una premessa: Marta, una ragazza che risiede nell'Anconetano, ha vissuto il dramma dell'allontanamento dalla famiglia due volte. Prima, da piccola: lei e i suoi fratelli furono sottratti ai genitori biologici. Anni dopo, la decisione del tribunale fu dichiarata illegittima. Il danno, però, era fatto: lei ormai era maggiorenne, i fratelli erano stati adottati da altre famiglie e avevano pure cambiato cognome. Uno di loro, oggi, non vuole neppure rivolgerle parola. La seconda volta è successo quando è diventata madre. Nel 2008, ha avuto un primo figlio, Marco, da un compagno violento e perciò è finita in una comunità per donne vittime di abusi. Poi, un nuovo amore. Una nuova gravidanza: una bambina. «Ma forse non so scegliermi gli uomini», ci dice come se provasse vergogna. Perché anche il suo secondo compagno la picchia. E, «forse per liberarsi di un bambino che non era il suo», o per rovinarle la vita, nel 2014 la denuncia. Sostiene che Marta, in quel momento incinta di 7 mesi, ha maltrattato il figlio avuto dall'ex. «L'assistente sociale non s'è neppure preoccupata di verificare le accuse. Mi ha detto: “Mica sono una poliziotta...". A quel punto, io ho chiesto di entrare in casa famiglia con i miei figli». Ma in comunità, il bimbo Marco viene malmenato dagli ospiti più grandicelli «e forse anche da un assistente sociale. Nel referto del medico sugli ultimi lividi, c'era scritto che quelli di Marco erano “segni di contenimento". Chi altro poteva farglieli se non uno degli educatori?». Dopo circa un anno, nel 2015, Marta, Marco e la sua bambina, Lucia, stanno per uscire dalla casa famiglia. Ma all'improvviso arriva un decreto del tribunale, che colloca il figlio presso una famiglia estranea e la bimba con il papà. L'affido dovrebbe essere temporaneo. Ma «è dal 24 agosto del 2016 che non vedo il mio Marco», ci riferisce Marta. «A un certo punto, gli assistenti sociali hanno interrotto gli incontri protetti. Io avevo fatto ricorso, ma la consulente del tribunale, che a me diceva “stai tranquilla, sei una mamma positiva e stimolante per tuo figlio, dirò al giudice di tenerne conto", in realtà aveva presentato una relazione negativa». Quella di Marco, secondo la madre, è «un'adozione mascherata. Lui è stato affidato a una famiglia molto nota in zona, che in passato ha già adottato altri bambini». Ed è qui che sorgono gli atroci sospetti di Marta, alla quale abbiamo chiesto perché, a suo parere, gli assistenti sociali si siano tanto accaniti contro di lei. «Io penso che Marco fosse stato già “promesso" a quella famiglia...», che, stando a quanto racconta, di ragazzini ne ha avuti già sei o sette. Con i relativi contributi economici. Anche per questo, Marta ammette: «Mi sento sfiduciata. Non credo che riabbraccerò mai più Marco». Ecco. Così si consuma il destino beffardo di una donna che, bambina, fu strappata dai suoi genitori. E, adulta, rivive il dramma di un figlio che insieme a lei ha sofferto le pene dell'inferno, il rapporto deteriorato con l'ex marito di Marta, il periodo in casa famiglia, le botte dei bulli e ora l'adozione «mascherata». Una prassi che, come ha spiegato alla Verità un avvocato combattivo, che opera soprattutto nel tribunale minorile di Bologna, Francesco Miraglia, «è estremamente diffusa in Italia. Basta digitare su Google per rendersene conto». Noi l'abbiamo fatto: i risultati di una rapidissima ricerca superano il milione e 300.000 tra articoli e report. Oggi, a Marta rimane solo la figlia più piccola. Ma anche con quest'ultima non mancano i problemi, perché la custodia della bambina la condivide con il suo ex compagno. Difatti, tra un non detto e un silenzio che restituisce il senso di orrore che sta provando, ci rendiamo conto che Marta sospetta che il padre abusi della ragazzina. «Sono attenzioni non dovute, oppure è qualcosa di più?», proviamo chiedere a questa donna provata, quasi atterrata dai patimenti di una vita sfortunata. «Stiamo parlando di genitali arrossati...», dice con un filo di voce. Anche su questi episodi sono in corso accertamenti da parte di un consulente del tribunale. Anche per Lucia potrebbe cominciare un calvario.