2021-08-28
        Le lacrime di coccodrillo di Biden mostrano un’America senza leader
    
 
Il presidente Usa piange sul sangue versato in Afghanistan e promette una vendetta del tutto velleitaria. La realtà è che ha combinato un disastro che l'intero Occidente è destinato a pagare per i prossimi anni.Joe Biden piange sul sangue versato, ma le sue sono lacrime di coccodrillo. Di quello che sta succedendo in Afghanistan non gli importa nulla, se non delle ricadute che potrà avere sul suo consenso interno, l'unica cosa che gli preme. Falsa suona anche la promessa di vendetta. «Non perdoneremo, vi daremo la caccia», ha detto il presidente con voce commossa per apparire più credibile. Ma la minaccia non pare destinata ad avere un gran seguito. Che cosa possono fare di concreto gli Stati Uniti ora, dopo che hanno abbandonato precipitosamente Kabul e le persone che avevano creduto alle promesse americane? Possono forse tornare sui loro passi e rioccupare il Paese fino a che avranno debellato l'Isis e i talebani? Ovvio che no: possono solo scappare più in fretta, cercando di riportare a casa i soldati e i civili che ancora sono in Afghanistan. Sperando che l'aeroporto resti aperto, che gli «studenti coranici» concedano loro una dilazione di qualche giorno rispetto al 31 agosto, data fissata dai talebani per la conclusione delle operazioni di trasferimento delle truppe. Pregando che nessun missile, nessun bazooka, nessuna granata Rpg colpisca un aereo mentre decolla carico di militari e profughi da Kabul. Ecco, dopo il disastro dell'addio alle armi in un Paese dominato per vent'anni con le armi, queste sono le sole cose possibili per Biden e la sua amministrazione. Oh, sì: la Cia e i servizi di intelligence cercheranno di scoprire gli autori dell'attentato di giovedì all'aeroporto e probabilmente risaliranno alla cellula che ha messo a punto l'attacco. Forse scopriranno anche dove si nascondono i capi dell'organizzazione terroristica e li colpiranno con un drone o con un blitz, come quello con cui il 2 maggio di dieci anni fa, ad Abbottabad, in Pakistan, eliminarono Osama Bin Laden. Ma uccidere la mente dell'agguato e qualche suo collaboratore servirà a poco, perché in quella regione, in quella fucina di terroristi, si è perso un Paese e, soprattutto, si è persa ogni credibilità. Sì, gli Stati Uniti a volte sono stati costretti ad ammettere che la guerra era perduta, come quando lasciarono precipitosamente Saigon o quando si rassegnarono a una Corea divisa in due. Ma ciò che è successo a Kabul è molto peggio in quanto, se in Vietnam il conflitto si risolse con la vittoria di Ho Chi Minh e non si allargò al resto del mondo, in Afghanistan le conseguenze internazionali potrebbero trascinarsi per anni. I talebani hanno già annunciato l'instaurazione di un Emirato islamico, dunque vedremo un Paese dove verrà imposta la sharia e i diritti umani tanto cari agli occidentali saranno spazzati via, compresi quelli delle donne. Ma questo è niente. Come abbiamo scoperto nel 2001, con l'attacco alle Twin towers, un Paese canaglia, che campa sul commercio dell'oppio e inonda di eroina il resto del mondo, può diventare la culla del terrorismo, anzi dei terrorismi, perché può dare asilo a ogni movimento integralista. È ciò che è successo con Al Qaeda, che costrinse gli americani all'intervento del 2001, dopo l'11 settembre. Che la situazione instabile di un Paese islamico offra un luogo dove il terrorismo può mettere radici lo si è visto anche in Siria e in Iraq, dove i disastri diplomatici del trio Obama, Biden e Clinton hanno consentito la nascita dello Stato islamico. L'America dei democratici voleva esportare la democrazia in Siria, strappando il Paese all'influenza russa. Il risultato della primavera araba che tanto piaceva al sottosegretario di Stato Hillary Clinton è stata una guerra sanguinosa, l'espansione dell'Isis e la diffusione di cellule terroristiche in Europa. Tralascio gli errori compiuti in Libia e nel Medioriente nel suo complesso, con l'aiuto fondamentale di Nicolas Sarkozy.Oggi, a distanza di anni, Biden ha di fronte a sé i risultati di una politica velleitaria e inconcludente. I morti di giovedì, all'aeroporto di Kabul, sono il frutto di una politica che crede che con gli assassini si possa scendere a patti, che con loro si possa raggiungere un'intesa di pace. Gli integralisti islamici perseguono la jihad, la guerra santa. È il loro obiettivo: la conquista del mondo per sottometterlo ad Allah. Che pace si può raggiungere con costoro? Ci si può fidare della loro parola? Ovvio che no: per vincere la battaglia contro gli infedeli, Maometto autorizza la takiya, ossia la dissimulazione. Pur di sottomettere i crociati si può mentire, si può promettere di essere cambiati, di voler rispettare i diritti delle donne e pure che non ci saranno vendette. Di quanto ci fosse da fidarsi lo abbiamo visto, ma temo che vedremo molto altro. Non so se Trump, che per primo avviò i negoziati a Doha con i talebani, avrebbe fatto meglio. Forse no. Di certo, Biden completa l'opera avviata da Obama e da Hillary Clinton, dimostrando - se ce ne fosse stato bisogno - di non essere un Commander in chief, ma solo Sleepy Joe. La sua presidenza, sebbene appena cominciata, passerà alla storia per le immagini di Kabul, per la sottovalutazione di quel che sarebbe accaduto, per l'appannamento definitivo del ruolo internazionale detenuto dagli Usa. La debolezza di Biden dovrà fare i conti con il terrorismo, l'islamismo e la sempre maggior influenza cinese in politica e in economia. E la caduta di Kabul non promette niente di buono, né per l'America né per noi.
        Foto Pluralia
    
La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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        Matteo Del Fante, ad di Poste Italiane (Ansa)
    
«Non esiste al mondo un prodotto così diffuso e delle dimensioni del risparmio postale», ha dichiarato Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste Italiane, a margine dell’evento «Risparmio Postale: da 150 anni la forza che fa crescere l’Italia», a cui ha presenziato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Come l’ha definito il Presidente della Repubblica, si tratta di un risparmio circolare: sono 27 milioni i risparmiatori postali», ha spiegato ai giornalisti Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti.