2021-04-15
L’acqua di Fukushima si diluirà nell’oceano. Allarmisti da social fatevene una ragione
(DigitalGlobe via Getty Images via Getty Images)
Riparte il vespaio per la scelta giapponese di smaltire in mare il liquido usato sui reattori danneggiati. Ma non c'è alternativa.«Aiuto! I giapponesi vogliono inquinare il mondo riversando in mare l'acqua radioattiva della centrale nucleare di Fukushima, ferma dal 2011 per la fusione del “nocciolo" di tre reattori causa blocco degli impianti di raffreddamento colpiti dallo tsunami». Signori e signore, ecco a voi l'allarme di giornata che degenera, grazie a Internet e all'indignados dei social, in allarmismo. Peccato che la notizia sia «inedita» come quella dell'ennesimo rilancio del Pd.Personalmente è la terza volta che annoto il «clamore» sulla vicenda. La prima è stata nel 2017. La Tepco, la società che gestisce l'impianto, annunciò - per bocca del suo presidente Takashi Kawamura, che la presentò come «una decisione già presa» - la volontà di scaricare nell'Oceano Pacifico acqua contaminata con il trizio radioattivo come parte della sua operazione di bonifica. Visto che l'incidente nucleare del 2011 era stato classificato «il secondo più grave della storia dopo Chernobyl», volli approfondire. Scoprii così che a Fukushima l'acqua era stata «trattata» con successo, con tutti gli elementi radioattivi rimossi, ad eccezione del trizio. Che è un isotopo radioattivo dell'idrogeno rilasciato nell'ambiente dalla maggior parte delle centrali nucleari del mondo, con emissioni controllate in modo tale da diffonderlo con gradualità, in concentrazioni definite sicure. A differenza dello stronzio e del cesio, il trizio è considerato relativamente innocuo: contribuisce in modo pressoché trascurabile alle radiazioni di fondo cui siamo normalmente esposti, la maggior parte delle quali provenienti da fonti naturali, come il sole e le stelle, senza dimenticare quelle indotte (banalmente, tipo le radiografie e i viaggi in aereo).Passano due anni, e aridanga!, riparte il vespaio. «Il mondo trattiene il fiato» per le parole del ministro dell'Ambiente giapponese, Yoshiaki Harada, null'altro che la conferma della dichiarazione di Kawamura: l'acqua radioattiva sarà dispersa in mare. «Molto rumore per nulla, allora come oggi», spiega a La Verità il fisico Marco Casolino, ricercatore all'Istituto nazionale di fisica nucleare all'Università di Roma Tor Vergata, che da anni collabora con l'istituto Riken in Giappone. «Harada espresse un'osservazione ovvia: sta finendo lo spazio per stoccare l'acqua e prima o poi bisognerà smaltirla nell'oceano, cosa che si sapeva già dal 2013». Casolino era in Giappone nel 2011 quando il terremoto e il conseguente tsunami hanno distrutto Fukushima, e ha partecipato alle indagini sulle fuoriuscite radioattive. «Il punto che deve essere messo in chiaro è che con la diluizione in mare del trizio, la contaminazione sarà irrilevante: fatte le proporzioni, a ogni 6 milioni di particelle radioattive già presenti nel Pacifico se ne aggiungerà una», calcola Casolino. Ma di quanta acqua «nuclearizzata» stiamo parlando? Di 1.250.000 tonnellate. Un'enormità. Accumulatasi in un decennio. I reattori danneggiati, in attesa di essere smantellati, andavano tenuti «freddi». Con l'impiego continuo di acqua recuperata, purificata (dagli elementi radioattivi) e rimessa in circolo. Il fatto è che a tale acqua pompata si aggiungeva quella filtrante dal sottosuolo, con un surplus da eliminare e stoccare quotidianamente. «Stocca oggi, stocca domani», rileva Casolino, siamo arrivati alla saturazione dei contenitori, 1.062 serbatoi speciali in acciaio inox. Con il trizio che, in quanto isotopo radioattivo dell'idrogeno, fa parte dell'acqua stessa e risulta molto oneroso da separare.E che dell'acqua ci si debba liberare non è solo indotto dall'esaurimento dello spazio fisico di stoccaggio: è necessario intervenire anche perché, continua Casolino, «lasciarla lì non è una buona idea: se arrivano nuovi terremoti, cicloni o alluvioni si può disperdere. È già successo col terreno radioattivo rimosso dalla superficie per decontaminare l'area. L'hanno accatastato in giganteschi sacchi di iuta, ma qualche anno fa è arrivato un tifone che ne ha trascinato via una parte, disperdendolo di nuovo nell'ambiente».Quindi: il rilascio delle acque di bonifica radioattive, non a riva ma in alto mare, è la soluzione più sicura. Non modificherebbe di fatto i livelli naturali di radioattività (anche perché l'operazione sarà portata a compimento entro il 2051) e non porterebbe a un assorbimento di quantità significative nella fauna ittica. Attesta un report dell'organizzazione no profit Science media center: «Il trizio sarà diluito in una quantità pari a 1/7 di quella indicata nelle linee guida dell'Oms per l'acqua potabile. In termini numerici, la concentrazione finale raggiunta nel Pacifico sarà almeno cento milioni di volte inferiore a quella dell'acqua che beviamo».Si può stare tranquilli? È sempre una questione di rapporto tra rischi e benefici. Tutti vogliamo un mondo più pulito e «sano». Ma non esistono pasti gratis: cambiamo di continuo pc, tablet e smartphone? Be', da qualche parte i modelli abbandonati vanno smaltiti. Vogliamo auto elettriche per tutti? Ottimo. Ricordandosi però che si nutrono di energia prodotta da centrali che hanno bisogno di combustibile, ottenuto da gas, petrolio o energia nucleare. Sipario.
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