
I governi incolpano le notizie false della loro perdita di consenso e arruolano un esercito di sedicenti esperti per combatterle. Ma verità e potere sono incompatibili. E il nostro sistema politico si fonda sul diritto di parola. Il punto dirimente della «lotta alle fake news» di cui si parla da anni in Italia (Ddl Gambaro) e in Europa è che, nella pratica quando non anche nella teoria, sembra rivolgersi solo alle informazioni diffuse «attraverso piattaforme informatiche» (ibi, articolo 1), cioè su Internet e i social network, facendo salvi i canali della stampa «accreditata» e delle istituzioni. Le notizie false, anche solo per distrazione o conformismo, sono però «democratiche» e trasversali: toccano tutti, dall'anonimo commentatore di Twitter alle segreterie di Stato. Le bufale della provetta di Colin Powell, dell'esecuzione dell'ex fidanzata di Kim Jong Un o della morte del giornalista e dissidente russo Arkadij Babchenko che hanno colpito rispettivamente i governi nemici dell'Iraq, della Corea del Nord e della Russia di Vladimir Putin o, ancora, le illazioni non provate sulla responsabilità del governo siriano in una serie di attacchi alla popolazione civile o di quello russo nell'attentato all'ex spia Sergej Skripal trovavano spazio anche su testate giornalistiche considerate autorevoli e prestigiose. Più recentemente Alberto Bagnai ha denunciato diversi casi in cui dati economici non veritieri diffusi in televisione e sui giornali sono poi stati sbugiardati dagli utenti dei social network (e dalla Verità, nel caso di Veronica de Romanis) al punto da costringere gli autori a scusarsene. Il senatore leghista dimostrava così che la gerarchia ad auctoritatem sottesa al paradigma delle fake news può essere ribaltata e che la pluralità delle voci, riflettendo una pluralità di interessi, costituisce la miglior polizza contro l'impunità del falso.Da una ricerca recentemente commissionata dall'agenzia Reuters all'università di Oxford è emerso che in Italia non più del 3,5% degli utenti internet ha consultato siti di «fake news» nel 2017, laddove, ad esempio, i siti di Repubblica e del Corriere della Sera raggiungevano rispettivamente il 50,9% e il 47,7% del pubblico. E ancora, che il tempo trascorso mensilmente sui siti internet identificati come «inaffidabili» da «fact checker indipendenti e altri osservatori» non superava i 7,5 milioni di minuti: l'1,7% di quelli spesi su Repubblica (443,5 milioni), il 2,5% di quelli spesi sul Corriere (296,6 milioni). Anche nei «bassifondi» di Facebook le interazioni con il sito di Repubblica superavano di ben 35 volte la media delle citazioni dei siti incriminati (14 volte nel caso del Corriere). Ora, è evidente che un'informazione errata cagiona danni tanto più gravi quanto è maggiore la sua diffusione e l'autorevolezza percepita di chi la produce. Sicché, se si volesse davvero arginare la piaga delle «fake news» sarebbe logico concentrare l'attenzione e la vis sanzionatoria sui più blasonati e popolari prodotti dell'industria mediatica e televisiva, non sulle periferie strampalate o carbonare del Web. Ma poiché ciò non avviene - e avviene anzi il contrario - è facile intuire l'effetto oppressivo di queste misure, al netto delle intenzioni di chi le promuove. Giacché tutti possono commettere errori, discriminarne le conseguenze fonda i presupposti di un monopolio del falso.Mentre i commentatori più lucidi denunciavano giustamente queste avanguardie censorie camuffate da morale di Stato, mi ha colpito il fatto che un rischio così enorme per l'equilibrio democratico delle nostre comunità sembra essere non solo scarsamente percepito dai fruitori dell'informazione, ma in certi casi addirittura invocato come una garanzia. L'ascesa propedeutica dei «cacciatori di bufale» sul Web - quasi sempre monotoni e prevedibili apologeti di una narrazione dominante in senso letterale, cioè «di chi domina» nei rapporti politici, economici e sociali - segnala un bisogno non tanto di verità, ma di identificare la verità con il potere in carica per realizzare l'«illusione fondamentale» della propria «credenza in un mondo giusto» (Melvin J. Lerner, 1980). Che questo bisogno si rinforzi e si coltivi in un contesto di chiara flessione della fiducia nelle istituzioni in senso ampio - politiche, ma anche economiche, culturali, scientifiche eccetera - si può spiegare in alto come un tentativo di dogmatizzare messaggi sempre più miseramente traditi dalla prova empirica, in basso come un denial psicologico per non dissipare gli investimenti, in primis emotivi e reputazionali, profusi nell'aderire a quei messaggi. Come nella fiaba del lupo di Fedro, i fallimenti della pars dominans si addebitano ai soccombenti che li denunciano: i «falsari» come i «fascisti», i «populisti», i «rancorosi» e gli «ignoranti» sono gli antagonisti di carta su cui dovrebbe misurarsi l'alta, difficile e sofferta missione dei dominatori, rinverginati perché alle prese con rischi rigorosamente «epocali».In punta di metodo, se è vero che la «lotta alle fake news» minaccia la democrazia, la sua accettazione segnala che quella minaccia si è già concretizzata a monte e sta già producendo i suoi effetti. Il fatto stesso che se ne debba discutere, che solo si prenda in considerazione l'idea di riservare ai forti il diritto di zittire i deboli, fa arretrare la linea dello scontro non già su chi attacca ma su chi, attaccato, si consegna al nemico. Perché la democrazia non prevede la massima disseminazione dei poteri, anche di parola e di critica, come una nota a margine, ma vi si fonda per intero affinché dalla contrapposizione degli interessi e delle idee emerga per correzione reciproca la migliore approssimazione di ciò che è «giusto» e «vero» per tutti.Sarebbe tuttavia poco limitare l'allarme al requisito democratico, perché l'arretramento sotteso a questi dibattiti è così rocambolesco e puerile da travolgere il buon senso politico, e non solo, degli ultimi due o tre millenni. L'incompatibilità tra verità e potere è ontologica: non perché i potenti mentano (lo fanno spesso, possono anche non farlo) ma perché la prima è un giudizio, il secondo un atto che, per la costruzione dei concetti, è sempre assoggettabile a un giudizio. In epoche remote quell'incompatibilità era talmente ovvia che anche il più dispotico dei monarchi ambiva ad assicurarsi, con alterne fortune, l'appoggio dell'autorità religiosa per accreditare i suoi messaggi: perché era inconcepibile che la verità si incarnasse negli uomini, tanto più se potenti e portatori di enormi, spesso inconfessabili interessi. Ciò a cui si assiste oggi è il tentativo farsesco di recuperare, svuotandolo, quel paradigma predemocratico sostituendo al certificatore celeste i certificandi governi e ai ministri divini le commissioni, gli osservatori «indipendenti» e i debunker assoldati dal principe. Così la coazione al «progresso» produce un regresso al cubo, un cortocircuito all'insegna di una teologia laica dove il governo degli uomini diventa il surrogato feticcio di un inquisitore senza dio, di un padre con la p minuscola e di un pastore del mondo «venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità» (Giovanni, 18,37). In questa illusione circolare, di consegnarsi legati al problema per liberarsi dal problema, il bisogno disperato di un'informazione veritiera diventerebbe sì, in modo certo e definitivo, senza speranza.
Un F-35 dell'aeronautica militare (Ansa)
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- Il ministro della Difesa italiano: «Dobbiamo poterci difendere». Il greco Kyriakos Mitsotakis sostiene il riarmo Ue, ma escludendo la Turchia. Rheinmetall si allarga alla marina militare acquisendo Nvl.
Lo speciale contiene due articoli
Matteo Ricci
Il documento conferma che la società che organizzò un evento dell’esponente dem prima delle Europee ’24 ha ricevuto dalla fondazione Pescheria (controllata dal Comune) proprio la parte mancante del conto.
Nelle Marche il governatore uscente spera nella conferma. Lo sfidante è alle prese con le indagini sul suo conto, che in Calabria, stando ai sondaggi, non danneggiano Occhiuto, dato davanti a Tridico. Per Campania, Puglia e Veneto, election day a novembre.
2025-09-16
Costa: «La Ue migliori la gestione delle frontiere per contrastare l'immigrazione illegale»
True
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.