
Ancora un punto segnato da Angela Merkel, che salvaguarda così le imprese tedesche.Fumata bianca per l'accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina. A dare la notizia è stata ieri la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha twittato: «Oggi l'Ue e la Cina hanno concluso in linea di principio i negoziati per un accordo sugli investimenti. Per opportunità commerciali e di business più equilibrate». Dopo aver sottolineato che sarà possibile un maggiore accesso al mercato cinese, ha inoltre precisato: «Questo accordo sosterrà i nostri interessi e promuoverà i nostri valori fondamentali. Ci fornisce una leva per sradicare il lavoro forzato». Proprio la questione del lavoro forzato aveva del resto rappresentato uno dei principali ostacoli alla conclusione dell'intesa: non soltanto svariati europarlamentari avevano mostrato preoccupazioni sul tema, ma anche alcuni Stati membri (come Francia, Belgio e Paesi Bassi). A tal proposito, martedì Politico ha riportato che Pechino si sarebbe impegnata a vietare il lavoro forzato: non è tuttavia chiaro se si tratti di una promessa sincera o di uno stratagemma per sbloccare dei negoziati, per un'intesa che Valdis Dombrovskis si è spinto a definire «una pietra miliare per l'economia». Come che sia, è stato alla fine il pragmatismo di Angela Merkel a trionfare: notoriamente la cancelliera tedesca è stata la principale sponsor di questo accordo. Un accordo finalizzato a tutelare il business delle aziende teutoniche in Cina e che si era trasformato per lei in una partita politica decisiva. Salvando l'intesa da un possibile naufragio, la cancelliera ha ribadito la propria influenza ai vertici di Bruxelles, utilizzando (ancora una volta) le strutture dell'Unione europea come scudo per l'interesse nazionale tedesco. Una vittoria significativa per la Merkel, che ha incassato il risultato a pochi giorni dallo scadere del turno tedesco di presidenza europea. Frattanto l'asse carolingio sembra essersi ricompattato, con Emmanuel Macron che ha preconizzato ieri un ulteriore rafforzamento dei rapporti tra Bruxelles e Pechino. Tuttavia, se la cancelliera festeggia, per l'Unione europea nel suo complesso questa intesa può rivelarsi problematica. Non soltanto per la questione dei diritti umani, ma anche per i rapporti transatlantici. Non è infatti un mistero che l'amministrazione americana entrante non veda troppo di buon occhio la convergenza tra Bruxelles e Pechino. È in questo senso che, la scorsa settimana, si era del resto espresso il consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan. Ora, la linea della Merkel rischia di creare ulteriori fratture tra Washington e Bruxelles. Non esattamente una novità: è dai tempi di Barack Obama che la cancelliera si trova difatti spesso a spingere l'Ue in attrito con gli Stati Uniti. Non è un caso che la Polonia si fosse mostrata scettica verso l'accordo, auspicando un maggiore coinvolgimento degli americani per evitare un'eccessiva influenza cinese (e tedesca) sul Vecchio Continente. Pechino, dal canto suo, ha fatto il possibile per evitare che l'intesa potesse saltare all'ultimo momento. Il presidente cinese, Xi Jinping, cercava infatti urgentemente una sponda economica che potesse ampliare il margine di manovra della Repubblica popolare nelle sue turbolenze commerciali con Washington. Non a caso il Global Times - organo del Partito comunista cinese - ha salutato ieri l'accordo come «epico». Il senso geopolitico della convergenza di Bruxelles con Pechino è chiaro. Che cosa c'entri tutto questo con i valori dell'Occidente, è onestamente un po' più difficile da capire.
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.






