True
2023-01-08
La tregua di Natale in Ucraina è un disastro
Vladimir Putin (Ansa)
Scambi di accuse e rimpalli di responsabilità. Come per tutti gli altri aspetti del conflitto, anche sul mancato rispetto della tregua natalizia ordinata da Vladimir Putin per la vigilia e il giorno del Natale ortodosso, Kiev e Mosca si addebitano a vicenda le colpe. Secondo il capo dell’amministrazione regionale di Lugansk, Sergei Gaidai, le truppe russe hanno continuato a condurre operazioni militari. «Come c’erano i bombardamenti, così restano, come pure i tentativi di attaccare le nostre posizioni», ha detto Gaidai. La parte russa ha invece accusato gli ucraini di avere bombardato Donetsk proprio mentre stava iniziando la tregua unilaterale. Le autorità separatiste dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, dichiarata annessa dalla Russia, hanno affermato che l’esercito ucraino ha lanciato sei razzi su Makiivka. L’ufficio stampa del servizio di frontiera statale dell’Ucraina riferisce invece che è stato sventato un attacco della fanteria russa a postazioni ucraine vicino a Bakhmut. Sarebbero stati uccisi un comandante e un mitragliere, il resto dell’unità di fanteria sarebbe fuggito. Inoltre Michail Ravzozhaev, il governatore di Sebastopoli, in Crimea, ha detto che nella notte tra il 6 e 7 gennaio i sistemi di difesa antiaerea hanno intercettato e abbattuto un drone sul porto che ospita la base della Flotta russa del Mar Nero.
Uno dei settori più duramente contesi continua a essere quello intorno alla città di Kreminna, nell’Oblast di Lugansk. Nelle ultime tre settimane, i combattimenti intorno a Kreminna si sono concentrati sul terreno boscoso a Ovest della città. «Con i boschi di conifere che forniscono una certa copertura dall’osservazione aerea anche in inverno, è probabile che entrambe le parti abbiano difficoltà a regolare con precisione il fuoco dell’artiglieria», spiega l’intelligence britannica, rilevando che i combattimenti si sono in gran parte ridotti a scontri di fanteria a piedi e a breve distanza. «È molto probabile che i comandanti russi considerino la pressione intorno a Kreminna come una minaccia al fianco destro del loro settore di Bakhmut, che considerano fondamentale per qualsiasi futura avanzata per occupare il resto dell’Oblast di Donetsk», rilevano ancora gli inglesi. Che nel frattempo annunciano una conferenza a Londra, a marzo, che indagherà sui presunti crimini di guerra in Ucraina.
La Russia però respinge tutte le accuse e il ministero della Difesa russo ha dichiarato che Mosca ha continuato «a osservare la tregua per il Natale in Ucraina, malgrado gli attacchi da parte di Kiev in violazione di essa». Secondo il portavoce della Difesa, Igor Konashenkov, «l’insieme delle truppe russe nell’area dell’operazione speciale dalle 12 del 6 gennaio osserva il cessate il fuoco lungo l’intera linea di contatto, mentre il regime di Kiev ha continuato a bombardare gli insediamenti e le posizioni russe il giorno precedente». Non è così per Kiev, che imputa a Mosca la morte di un pompiere e il ferimento di altri quattro dopo un bombardamento a una caserma dei vigili del fuoco a Kherson, poco prima del cessate il fuoco. L’amministrazione regionale di Yanushevych ha pubblicato un video che mostra veicoli dei servizi di emergenza danneggiati, una pozza di sangue e un corpo coperto. Non solo, secondo l’intelligence ucraina «la Russia si prepara a mobilitare altri 500.000 militari», come ha riportato il Guardian.
Intanto si allarga la frattura tra la Chiesa ortodossa ucraina e quella facente capo al Patriarcato di Mosca. «Dieci mesi di attacchi su vasta scala, uccisioni e torture di civili, di terribili atrocità e distruzione di intere città hanno dimostrato che non abbiamo motivo per fidarci delle dichiarazioni della Russia, né dell’esistenza di valori morali tra i suoi leader, compresi quelli ecclesiastici», ha affermato Epifanio I, il metropolita della Chiesa ortodossa di Kiev e di tutta l’Ucraina. Il presidente Zelensky ha confermato questa rottura sospendendo la cittadinanza a 13 sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina che fanno capo al Patriarcato di Mosca. Il decreto con cui si dispone la sospensione non è stato reso pubblico perché contiene informazioni personali, ma la motivazione dello stesso è che in alcune chiese sarebbe stato rinvenuto materiale propagandistico e passaporti russi. La decisione di Zelensky è stata definita dalla portavoce degli Esteri del Cremlino, Maria Zakharova, «satanismo». Secondo il Patriarca di Mosca, Kirill, russi e ucraini «sono una singola nazione» e la Chiesa deve fare «tutto il possibile perché non diventino nemici», mentre l’Ucraina sta «cercando di separare le due popolazioni».
Intanto il presidente russo, Vladimir Putin, ha assistito alla messa del Natale ortodosso nella Cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca. Il sito di opposizione bielorusso Nexta ha rilanciato le immagini in cui si vede Putin da solo in una sala con il celebrante. Nexta sottolinea la solitudine del presidente «uscito dal suo bunker». In Ucraina, invece, il Natale è stato celebrato dal metropolita Epifanio nella cattedrale della Santa Dormizione a Kiev.
«L’Ue manda aiuti nei posti sbagliati»
Anno nuovo, ma Unione europea di sempre. Chi sperava di vedere nel 2023 un’Europa più attenta e oculata nell’impiego delle risorse, rimarrà probabilmente deluso. Di sicuro, per dire, son rimasti delusi in Ucraina, dove si sono visti indirizzare aiuti agricoli, se non a casaccio, comunque non mirati; ma andiamo con ordine, riepilogando i fatti.
È notizia di appena tre giorni fa il finanziamento, da parte dell’Ue, di un progetto, attuato dall’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), per sostenere il funzionamento, il rafforzamento e il consolidamento del settore dell’agricoltura e della pesca e il loro adattamento alla guerra, le cui conseguenze sono state e sono, come si può immaginare, devastanti.
Secondo una recente indagine proprio della Fao, effettuata su un campione di 5.200 intervistati, gli effetti del conflitto hanno finora portato alla riduzione o all’azzeramento della produzione di un agricoltore su quattro. Di qui l’intervento europeo, con un programma di investimenti che sarà lanciato a partire dal prossimo marzo attraverso il Registro agrario statale dell’Ucraina. Complessivamente, si parla di uno stanziamento di aiuti per 15,5 milioni di dollari, pari a 14,6 milioni di euro.
«I fondi dell’Ue per questo progetto della Fao», ha dichiarato Christian Ben Hell, responsabile di settore per l’agricoltura presso la delegazione dell’Ue in Ucraina, «mirano a ristabilire o rafforzare la funzionalità a livello prebellico della filiera agricola». «Ciò è necessario per soddisfare le esigenze alimentari delle popolazioni locali e sfollate nell’Ovest», ha aggiunto Hell, «e affrontare l’insicurezza alimentare in altre parti del Paese, nell’immediato e nel breve termine. Sarà inoltre fondamentale per evitare una crisi alimentare nel 2023». In termini analoghi si è espresso, nel presentare questo fondo, anche Pierre Vauthier, capo dell’ufficio della Fao in Ucraina.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Infatti, per quanto le finalità del progetto siano valide - e per quanto la situazione della sicurezza alimentare in Ucraina, purtroppo, si sia rapidamente deteriorata in seguito allo scoppio della guerra - c’è il rischio che questi aiuti possano servire a poco. E per una ragione semplice: sono destinati alle aree sbagliate o, comunque, meno flagellate dal conflitto. Gli aiuti Ue andranno a finanziare infatti il rilancio della filiera agricola delle regioni occidentali di Leopoli, Ivano-Frankivska, Zakarpatska e parti dell’Oblast di Chernivetska. Piccolo problema: le aree maggiormente in sofferenza sono altre.
«Noto che questo progetto sta aiutando gli agricoltori dell’Ovest, ma non credo che siano loro quelli che hanno sofferto di più», ha fatto presente Nataliia Gordiichuk, a capo dell’Ufv - acronimo di Ukrainian food valley, organizzazione senza scopo di lucro per lo sviluppo dell’ecosistema agroalimentare - e proprietaria di un’azienda di distribuzione alimentare. A Euractiv.com Gordiichuk ha fatto inoltre presente come i 15,5 milioni di dollari di aiuti andranno a beneficio del Paesaggio collinare dell’Ucraina occidentale, dove «non ci sono vasti campi coltivabili, ma più che altro quella che chiamiamo un’attività di nicchia», con riferimento ad attività più prossime al turismo, che producono formaggio, vini e miele, e all’allevamento di animali come capre e pecore.
Peccato, ha aggiunto ancora la dirigente dell’Ufv, che le regioni che «forniscono la sicurezza alimentare» a Kiev, attraverso la produzione di grano e mais, siano altre, vale a dire quella centrale, orientale e meridionale del Paese. Dunque, ancora una volta l’Ue, in una fase economicamente delicata per tutti - per quanto resti fondamentale prestare aiuto alimentare all’Ucraina - dimostra di non azzeccarne una.
Continua a leggereRiduci
Resta alta la tensione in occasione del Natale ortodosso e della tregua mancata per le feste. Mentre le parti continuano ad accusarsi a vicenda. L’intelligence degli invasi assicura: «Mosca invierà altri 500.000 militari».«L’Ue manda aiuti nei posti sbagliati». Il nuovo piano da 15 milioni dell’Unione e della Fao per risollevare l’agricoltura ucraina fa discutere. Gli interessati protestano: «L’Ovest del Paese non è l’area più bisognosa».Lo speciale comprende due articoli.Scambi di accuse e rimpalli di responsabilità. Come per tutti gli altri aspetti del conflitto, anche sul mancato rispetto della tregua natalizia ordinata da Vladimir Putin per la vigilia e il giorno del Natale ortodosso, Kiev e Mosca si addebitano a vicenda le colpe. Secondo il capo dell’amministrazione regionale di Lugansk, Sergei Gaidai, le truppe russe hanno continuato a condurre operazioni militari. «Come c’erano i bombardamenti, così restano, come pure i tentativi di attaccare le nostre posizioni», ha detto Gaidai. La parte russa ha invece accusato gli ucraini di avere bombardato Donetsk proprio mentre stava iniziando la tregua unilaterale. Le autorità separatiste dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, dichiarata annessa dalla Russia, hanno affermato che l’esercito ucraino ha lanciato sei razzi su Makiivka. L’ufficio stampa del servizio di frontiera statale dell’Ucraina riferisce invece che è stato sventato un attacco della fanteria russa a postazioni ucraine vicino a Bakhmut. Sarebbero stati uccisi un comandante e un mitragliere, il resto dell’unità di fanteria sarebbe fuggito. Inoltre Michail Ravzozhaev, il governatore di Sebastopoli, in Crimea, ha detto che nella notte tra il 6 e 7 gennaio i sistemi di difesa antiaerea hanno intercettato e abbattuto un drone sul porto che ospita la base della Flotta russa del Mar Nero. Uno dei settori più duramente contesi continua a essere quello intorno alla città di Kreminna, nell’Oblast di Lugansk. Nelle ultime tre settimane, i combattimenti intorno a Kreminna si sono concentrati sul terreno boscoso a Ovest della città. «Con i boschi di conifere che forniscono una certa copertura dall’osservazione aerea anche in inverno, è probabile che entrambe le parti abbiano difficoltà a regolare con precisione il fuoco dell’artiglieria», spiega l’intelligence britannica, rilevando che i combattimenti si sono in gran parte ridotti a scontri di fanteria a piedi e a breve distanza. «È molto probabile che i comandanti russi considerino la pressione intorno a Kreminna come una minaccia al fianco destro del loro settore di Bakhmut, che considerano fondamentale per qualsiasi futura avanzata per occupare il resto dell’Oblast di Donetsk», rilevano ancora gli inglesi. Che nel frattempo annunciano una conferenza a Londra, a marzo, che indagherà sui presunti crimini di guerra in Ucraina. La Russia però respinge tutte le accuse e il ministero della Difesa russo ha dichiarato che Mosca ha continuato «a osservare la tregua per il Natale in Ucraina, malgrado gli attacchi da parte di Kiev in violazione di essa». Secondo il portavoce della Difesa, Igor Konashenkov, «l’insieme delle truppe russe nell’area dell’operazione speciale dalle 12 del 6 gennaio osserva il cessate il fuoco lungo l’intera linea di contatto, mentre il regime di Kiev ha continuato a bombardare gli insediamenti e le posizioni russe il giorno precedente». Non è così per Kiev, che imputa a Mosca la morte di un pompiere e il ferimento di altri quattro dopo un bombardamento a una caserma dei vigili del fuoco a Kherson, poco prima del cessate il fuoco. L’amministrazione regionale di Yanushevych ha pubblicato un video che mostra veicoli dei servizi di emergenza danneggiati, una pozza di sangue e un corpo coperto. Non solo, secondo l’intelligence ucraina «la Russia si prepara a mobilitare altri 500.000 militari», come ha riportato il Guardian. Intanto si allarga la frattura tra la Chiesa ortodossa ucraina e quella facente capo al Patriarcato di Mosca. «Dieci mesi di attacchi su vasta scala, uccisioni e torture di civili, di terribili atrocità e distruzione di intere città hanno dimostrato che non abbiamo motivo per fidarci delle dichiarazioni della Russia, né dell’esistenza di valori morali tra i suoi leader, compresi quelli ecclesiastici», ha affermato Epifanio I, il metropolita della Chiesa ortodossa di Kiev e di tutta l’Ucraina. Il presidente Zelensky ha confermato questa rottura sospendendo la cittadinanza a 13 sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina che fanno capo al Patriarcato di Mosca. Il decreto con cui si dispone la sospensione non è stato reso pubblico perché contiene informazioni personali, ma la motivazione dello stesso è che in alcune chiese sarebbe stato rinvenuto materiale propagandistico e passaporti russi. La decisione di Zelensky è stata definita dalla portavoce degli Esteri del Cremlino, Maria Zakharova, «satanismo». Secondo il Patriarca di Mosca, Kirill, russi e ucraini «sono una singola nazione» e la Chiesa deve fare «tutto il possibile perché non diventino nemici», mentre l’Ucraina sta «cercando di separare le due popolazioni». Intanto il presidente russo, Vladimir Putin, ha assistito alla messa del Natale ortodosso nella Cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca. Il sito di opposizione bielorusso Nexta ha rilanciato le immagini in cui si vede Putin da solo in una sala con il celebrante. Nexta sottolinea la solitudine del presidente «uscito dal suo bunker». In Ucraina, invece, il Natale è stato celebrato dal metropolita Epifanio nella cattedrale della Santa Dormizione a Kiev. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-tregua-di-natale-in-ucraina-e-un-disastro-2659083966.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lue-manda-aiuti-nei-posti-sbagliati" data-post-id="2659083966" data-published-at="1673132272" data-use-pagination="False"> «L’Ue manda aiuti nei posti sbagliati» Anno nuovo, ma Unione europea di sempre. Chi sperava di vedere nel 2023 un’Europa più attenta e oculata nell’impiego delle risorse, rimarrà probabilmente deluso. Di sicuro, per dire, son rimasti delusi in Ucraina, dove si sono visti indirizzare aiuti agricoli, se non a casaccio, comunque non mirati; ma andiamo con ordine, riepilogando i fatti. È notizia di appena tre giorni fa il finanziamento, da parte dell’Ue, di un progetto, attuato dall’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), per sostenere il funzionamento, il rafforzamento e il consolidamento del settore dell’agricoltura e della pesca e il loro adattamento alla guerra, le cui conseguenze sono state e sono, come si può immaginare, devastanti. Secondo una recente indagine proprio della Fao, effettuata su un campione di 5.200 intervistati, gli effetti del conflitto hanno finora portato alla riduzione o all’azzeramento della produzione di un agricoltore su quattro. Di qui l’intervento europeo, con un programma di investimenti che sarà lanciato a partire dal prossimo marzo attraverso il Registro agrario statale dell’Ucraina. Complessivamente, si parla di uno stanziamento di aiuti per 15,5 milioni di dollari, pari a 14,6 milioni di euro. «I fondi dell’Ue per questo progetto della Fao», ha dichiarato Christian Ben Hell, responsabile di settore per l’agricoltura presso la delegazione dell’Ue in Ucraina, «mirano a ristabilire o rafforzare la funzionalità a livello prebellico della filiera agricola». «Ciò è necessario per soddisfare le esigenze alimentari delle popolazioni locali e sfollate nell’Ovest», ha aggiunto Hell, «e affrontare l’insicurezza alimentare in altre parti del Paese, nell’immediato e nel breve termine. Sarà inoltre fondamentale per evitare una crisi alimentare nel 2023». In termini analoghi si è espresso, nel presentare questo fondo, anche Pierre Vauthier, capo dell’ufficio della Fao in Ucraina. Tutto bene, dunque? Non proprio. Infatti, per quanto le finalità del progetto siano valide - e per quanto la situazione della sicurezza alimentare in Ucraina, purtroppo, si sia rapidamente deteriorata in seguito allo scoppio della guerra - c’è il rischio che questi aiuti possano servire a poco. E per una ragione semplice: sono destinati alle aree sbagliate o, comunque, meno flagellate dal conflitto. Gli aiuti Ue andranno a finanziare infatti il rilancio della filiera agricola delle regioni occidentali di Leopoli, Ivano-Frankivska, Zakarpatska e parti dell’Oblast di Chernivetska. Piccolo problema: le aree maggiormente in sofferenza sono altre. «Noto che questo progetto sta aiutando gli agricoltori dell’Ovest, ma non credo che siano loro quelli che hanno sofferto di più», ha fatto presente Nataliia Gordiichuk, a capo dell’Ufv - acronimo di Ukrainian food valley, organizzazione senza scopo di lucro per lo sviluppo dell’ecosistema agroalimentare - e proprietaria di un’azienda di distribuzione alimentare. A Euractiv.com Gordiichuk ha fatto inoltre presente come i 15,5 milioni di dollari di aiuti andranno a beneficio del Paesaggio collinare dell’Ucraina occidentale, dove «non ci sono vasti campi coltivabili, ma più che altro quella che chiamiamo un’attività di nicchia», con riferimento ad attività più prossime al turismo, che producono formaggio, vini e miele, e all’allevamento di animali come capre e pecore. Peccato, ha aggiunto ancora la dirigente dell’Ufv, che le regioni che «forniscono la sicurezza alimentare» a Kiev, attraverso la produzione di grano e mais, siano altre, vale a dire quella centrale, orientale e meridionale del Paese. Dunque, ancora una volta l’Ue, in una fase economicamente delicata per tutti - per quanto resti fondamentale prestare aiuto alimentare all’Ucraina - dimostra di non azzeccarne una.
Galeazzo Bignami (Ansa)
Se per il giudice che l’ha condannato a 14 anni e 9 mesi di carcere (in primo grado la Corte d’Assise di Asti gliene aveva dati 17, senza riconoscere la legittima difesa), nonché a un risarcimento milionario ai familiari dei due rapinatori uccisi (con una provvisionale immediata di circa mezzo milione di euro e le richieste totali che potrebbero raggiungere milioni) c’è stata sproporzione tra difesa e offesa, la stessa sproporzione è stata applicata nella sentenza, tra l’atto compiuto e la pena smisurata che dovrà scontare Roggero. Confermare tale condanna equivarrebbe all’ergastolo per l’anziano, solo per aver difeso la sua famiglia e sé stesso.
Una severità che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica nonché esasperato gli animi del Parlamento. Ma la colpa è dei giudici o della legge? Giovedì sera a Diritto e Rovescio su Rete 4 è intervenuto il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, il quale alla Verità non ha timore nel ribadire che «qualsiasi legge si può sempre migliorare, per carità. Questa legge mette in campo tutti gli elementi che, se valutati correttamente, portano ad escludere pressoché sempre la responsabilità dell’aggredito, salvo casi esorbitanti. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e in questo caso il mare è la magistratura», spiega Bignami, «ci sono giudici che, comprendendo il disposto di legge e lo spirito della stessa, la applicano in maniera conforme alla ratio legis e giudici che, invece, pur comprendendola, preferiscono ignorarla. Siccome questa è una legge che si ispira sicuramente a valori di destra come la difesa della vita, della famiglia, della proprietà privata e che, come extrema ratio, consente anche una risposta immediata in presenza di un pericolo imminente, certi giudici la applicano con una prospettiva non coerente con la sua finalità».
In questo caso la giustificazione di una reazione istintiva per proteggere la propria famiglia dai rapinatori non ha retto in aula. Ma oltre al rispetto della legge non è forse fondamentale anche l’etica nell’applicarla? «Su tante cose i giudici applicano le leggi sulla base delle proprie sensibilità, come in materia di immigrazione, per esempio», continua Bignami, «però ricordiamo che la legge deve essere ispirata da principi di astrattezza e generalità. Poi va applicata al caso concreto e lì vanno presi in esame tutti i fattori che connotano la condotta. L’articolo 52 parla di danno ingiusto, di pericolo attuale e proporzione tra difesa e offesa. Per pericolo attuale non si può intendere che sto lì con il cronometro a verificare se il rapinatore abbia finito di rapinarmi o se magari intenda tornare indietro con un fucile. Lo sai dopo se il pericolo è cessato e l’attualità non può essere valutata con il senno di poi. Ed anche il turbamento d’animo di chi viene aggredito non finisce con i rapinatori che escono dal negozio e chiudono la porta. Questo sentimento di turbamento è individuale e, secondo me, si riflette sulla proporzione. Vanno sempre valutate le condizioni soggettive e il vissuto della persona».
Merita ricordare, infatti, che Roggero aveva subito in passato altre 5 rapine oltre a quella in esame e che in una di quelle fu anche gonfiato di botte. La sua vita e quella della sua famiglia è compromessa, sia dal punto di vista psicologico che professionale. È imputato di omicidio volontario plurimo per aver ucciso i due rapinatori e tentato omicidio per aver ferito il terzo che faceva da palo. E sapete quanto si è preso quest’ultimo? Appena 4 anni e 10 mesi di reclusione.
La reazione emotiva del commerciante, la paura per l’incolumità dei familiari, sono attenuanti che non possono non essere considerate. Sono attimi di terrore tremendi. Se vedi tua figlia minacciata con una pistola, tua moglie trascinata e sequestrata, come minimo entri nel panico. «Intanto va detto quel che forse è così ovvio che qualcuno se n’è dimenticato: se i banditi fossero stati a casa loro, non sarebbe successo niente», prosegue Bignami, «poi penso che, se Roggero avesse avuto la certezza che quei banditi stavano fuggendo senza più tornare, non avrebbe reagito così. Lo ha fatto, come ha detto lui, perché non sapeva e non poteva immaginare se avessero davvero finito o se invece volessero tornare indietro. Facile fare previsioni a fatti già compiuti».
Ma anche i rapinatori hanno i loro diritti? «Per carità. Tutti i cittadini hanno i loro diritti ma se fai irruzione con un’arma in un negozio e minacci qualcuno, sei tu che decidi di mettere in discussione i tuoi diritti».
Sulla severità della pena e sul risarcimento faraonico, poi, Bignami è lapidario. «C’è una proposta di legge di Raffaele Speranzon, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, che propone di ridurre fino ad azzerare il risarcimento dovuto da chi è punito per eccesso colposo di legittima difesa».
Chi lavora e protegge la propria vita non può essere trattato come un criminale. La giustizia deve tornare a distinguere tra chi aggredisce e chi si difende.
Continua a leggereRiduci
Ansa
La dinamica, ricostruita nelle perizie, avrebbe confermato che l’azione della ruspa aveva compromesso la struttura dell’edificio. Ma oltre a trovarsi davanti quel «mezzo di irresistibile forza», così è stata giuridicamente valutata la ruspa, si era messa di traverso pure la Procura, che aveva chiesto ai giudici di condannarlo a 4 anni di carcere. Ma ieri Sandro Mugnai, artigiano aretino accusato di omicidio volontario per essersi difeso, mentre ascoltava le parole del presidente della Corte d’assise si è messo le mani sul volto ed è scoppiato a piangere. Il fatto non sussiste: fu legittima difesa. «Finalmente faremo un Natale sereno», ha detto poco dopo, aggiungendo: «Sono stati anni difficili, ma ho sempre avuto fiducia nella giustizia. La Corte ha agito per il meglio». E anche quando la pm Laura Taddei aveva tentato di riqualificare l’accusa in eccesso colposo di legittima difesa, è prevalsa la tesi della difesa: Mugnai sparò perché stava proteggendo la sua famiglia da una minaccia imminente, reale e concreta. Una minaccia che avanzava a bordo di una ruspa. La riqualificazione avrebbe attenuato la pena, ma comunque presupponeva una responsabilità penale dell’imputato. Il caso, fin dall’inizio, era stato definito dai giuristi «legittima difesa da manuale». Una formula tanto scolastica quanto raramente facile da dimostrare in un’aula di Tribunale. La giurisprudenza richiede il rispetto di criteri stringenti: attualità del pericolo, necessità della reazione e proporzione. La sentenza mette un punto a un procedimento che ha riletto, passo dopo passo, la notte in cui l’albanese entrò nel piazzale di casa Mugnai mentre la famiglia era riunita per la cena dell’Epifania. Prima sfogò la ruspa sulle auto parcheggiate, poi diresse il mezzo contro l’abitazione, sfondando una parte della parete. La Procura ha sostenuto che, pur di fronte a un’aggressione reale e grave, l’esito mortale «poteva essere evitato». Il nodo centrale era se Mugnai avesse alternative non letali. Per la pm Taddei, quella reazione, scaturita da «banali ruggini» con il vicino, aveva superato il limite della proporzione. I difensori, gli avvocati Piero Melani Graverini e Marzia Lelli, invece, hanno martellato sul concetto di piena legittima difesa, richiamando il contesto: buio, zona isolata, panico dentro casa, il tutto precipitato «in soli sei minuti» nei quali, secondo gli avvocati, «non esisteva alcuna alternativa per proteggere i propri cari». Durante le udienze si è battuto molto sul fattore tempo ed è stata dimostrata l’impossibilità di fuga. Nel dibattimento sono stati ascoltati anche i familiari della vittima, costituiti parte civile e rappresentati dall’avvocato Francesca Cotani, che aveva chiesto la condanna dell’imputato. In aula c’era molta gente e anche la politica ha fatto sentire la sua presenza: la deputata della Lega Tiziana Nisini e Cristiano Romani, esponente del movimento Il Mondo al contrario del generale Roberto Vannacci. Entrambi si erano schierati pubblicamente con Mugnai. Nel paese c’erano anche state fiaccolate e manifestazioni di solidarietà per l’artigiano. Il fascicolo era passato attraverso momenti tortuosi: un primo giudice non aveva accolto la richiesta di condanna a 2 anni e 8 mesi e aveva disposto ulteriori accertamenti sull’ipotesi di omicidio volontario. Poi è stata disposta la scarcerazione di Mugnai. La fase iniziale è stata caratterizzata da incertezza e oscillazioni interpretative. E, così, alla lettura della sentenza l’aula è esplosa: lacrime, abbracci e applausi. Mugnai, commosso, ha detto: «Ho sparato per salvare la pelle a me e ai miei cari. Non potrò dimenticare quello che è successo, ora spero che possa cominciare una vita diversa. Tre anni difficili, pesanti». Detenzione preventiva compresa. «Oggi è un giorno di giustizia. Ma la battaglia non è finita», commenta Vannacci: «Mugnai ha fatto ciò che qualunque padre, marito, figlio farebbe davanti a un’aggressione brutale. È una vittoria di buon senso, ma anche un segnale, perché in Italia c’è ancora troppo da fare per difendere le vere vittime, quelle finite sotto processo solo perché hanno scelto di salvarsi la vita. E mentre oggi festeggiamo questo risultato, non possiamo dimenticare chi non ha avuto la stessa sorte: penso a casi come quello di Mario Roggero, il gioielliere piemontese condannato a 15 anni per aver difeso la propria attività da una rapina». «La difesa è sempre legittima e anche in questo caso, grazie a una legge fortemente voluta e approvata dalla Lega, una persona perbene che ha difeso se stesso e la sua famiglia non andrà in carcere, bene così», rivendica il segretario del Carroccio Matteo Salvini. «Questa sentenza dimostra come la norma sulla legittima difesa tuteli i cittadini che si trovano costretti a reagire di fronte a minacce reali e gravi», ha precisato il senatore leghista (componente della commissione Giustizia) Manfredi Potenti. La vita di Sandro Mugnai ricomincia adesso, fuori dall’aula. Ma con la consapevolezza che, per salvare se stesso e la sua famiglia, ha dovuto sparare e poi aspettare quasi tre anni perché qualcuno glielo riconoscesse.
Continua a leggereRiduci
Carlo Melato continua a dialogare con il critico musicale Alberto Mattioli, aspettando la Prima del 7 dicembre del teatro alla Scala di Milano. Tra i misteri più affascinanti del capolavoro di Shostakovich c’è sicuramente il motivo profondo per il quale il dittatore comunista fece sparire questo titolo dai cartelloni dell’Unione sovietica dopo due anni di incredibili successi.