2024-03-20
La transizione impossibile. Così la Ue e i grandi media hanno creato le bugie green
La propaganda presenta ogni decisione come inevitabile perché «tecnica». E occulta le contraddizioni, indicando la salvezza nella tecnologia benché sia ultra energivora.Mentre la legislatura europea volge al termine, restano gli ultimi cascami del Green deal da approvare, così che la Commissione europea possa considerare concluso il suo programma politico. Lunedì 18 marzo il Consiglio ha approvato la strategia sulle materie prime critiche (il Critical Raw Materials Act, Crma), ossia un tentativo (piuttosto misero) di ridurre la dipendenza dell’Unione europea dalla Cina su molti elementi necessari alla transizione energetica, dal cobalto al litio. Un altro scalpo che Ursula von der Leyen può appendere alla cintura.Il Green deal si è rivelato essere un enorme piano di una quarantina tra direttive, regolamenti, comunicazioni, norme varie, la gran parte delle quali pessime. La Direttiva sulle cosiddette case green o il Regolamento sugli imballaggi sono solo una piccola parte del tutto. Dopo i primi anni in cui ben pochi (La Verità tra questi) hanno sollevato l’attenzione sui danni perpetrati dal Green deal, è solo con la crisi energetica del 2022 che l’opinione pubblica ha iniziato a rendersi conto sulla propria pelle del suicidio economico, sociale e geopolitico verso cui Bruxelles stava spingendo l’Europa.Ciononostante, dopo la crisi dei prezzi dell’energia, la Commissione a guida Von der Leyen ha proseguito con pervicacia nell’attuazione del proprio programma, facendo leva su argomenti ideologici e meccanismi di influenza dell’opinione pubblica. Vi è infatti un’ampia pubblicistica che tende a raccontare le politiche messe in atto da Bruxelles con toni da palingenesi, necessari a creare consenso.Innanzitutto, le politiche economiche imposte in nome della lotta al cambiamento climatico vengono sostenute attraverso la colpevolizzazione del singolo. Si cerca di far passare l’idea che siano i comportamenti antisociali dell’uomo occidentale ad aver provocato il cambiamento climatico. Se i ghiacci al polo si sciolgono e le isole Maldive rischiano di essere sommerse è a causa delle schiere di utilitarie con motore a scoppio che affollano le autostrade europee. È colpa nostra. Dunque, per salvare vite innocenti occorre passare all’auto elettrica. Secondo tale versione della storia, la libera scelta che ci ha portato ad utilizzare le automobili a benzina non è più un valore, perché ci porta alla distruzione del pianeta. Dunque, occorre una volontà superiore, la legge, che imponga un comportamento diverso. Il fatto che sia stata l’industria di massa, cioè in definitiva il capitale, ad averci dotato di quest’arma di distruzione a quattro ruote viene accuratamente occultato dietro una cortina di colpevolizzazione dell’uomo occidentale in quanto tale, colpevole di avidità ed egoismo. Su questo livello si innesta il racconto dello scontro generazionale, teso a creare una faglia tra «giovani preoccupati» e «anziani egoisti». Greta Thunberg è stata la prima e più nota paladina del giovanilismo militante in nome del clima, su cui poi si è innestata l’azione di gruppi come Ultima generazione.Poiché però l’Unione europea si racconta come paladina del libero mercato («economia sociale di mercato fortemente competitiva», recita il Trattato sull’Unione europea), deve restare nel racconto pubblico l’idea che siano le scelte individuali a salvare la situazione. Quindi si maschera l’imposizione con la possibilità di scelta: si può «scegliere» quale modello di auto elettrica, si può «scegliere» di andare in bicicletta, o in treno, oppure di abitare in zone in cui l’automobile non sia necessaria. Questo ventaglio di false scelte è strettamente funzionale all’imposizione di una tecnologia per la mobilità privata che di fatto amputa la libertà di movimento. Il secondo aspetto su cui punta il racconto della transizione è che al cambiamento climatico si può porre rimedio nell’ambito dei rapporti di produzione esistenti, producendo e comprando «altro» rispetto a quanto fatto sinora. Se sono le scelte individuali dei consumatori ad averci portato qui, è attraverso un cambio di ciò che viene prodotto e consumato (e come) che si può uscire dalla crisi climatica. Un argomento semplice, teso a creare nuovi mercati, che normalmente non sarebbero mai nati, in una economia in cui i rendimenti decrescenti scatenano la finanza mondiale a caccia di nuovi profitti.Il terzo argomento nel romanzo della transizione è che il cambiamento climatico è apolitico e riguarda tutto il mondo, dunque le scelte di governo devono essere depoliticizzate ad affidate ai tecnici, alla scienza. È l’ennesimo tentativo di svuotare le democrazie nazionali, non solo spostando il livello delle decisioni in un ambito sovranazionale, dunque fuori dal controllo politico degli elettori, ma anche sottraendolo ai politici di professione. Un’operazione abbastanza semplice, data l’opera ultradecennale di delegittimazione della politica. Il quarto argomento è che la tecnologia ci salverà. Dobbiamo fare le cose in modo diverso ed è solo la tecnologia che può aiutarci a farlo. Un elemento, questo, strettamente connesso al precedente, che assegna ai guru della tecnologia un ruolo salvifico e trasforma il progresso in un motore sociale inarrestabile, rendendoci partecipi di un cambiamento ineluttabile al grido di «indietro non si torna!».Il romanzo della transizione si sposa qui con il romanzo della tecnologia, che oggi si veste di intelligenza artificiale. L’Ia ci salverà, ed il fatto che solo per istruire ChatGpt serva l’energia di diverse centrali elettriche da migliaia di megawatt di potenza viene mascherato da incidente necessario, come l’effetto collaterale di una medicina buona in sé.Il tutto, condito da racconti. Servono storie da trasformare in paradigmi comportamentali, perché possano istruire e conformare l’opinione pubblica. In sintesi, è Von der Leyen che traccia il solco, ma sono i media che lo difendono.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)