2020-02-19
La stretta di Messina. Con il modello Ambroveneto addomestica i vecchi nemici
Scatta una riorganizzazione dell'intero sistema che ricorda le operazioni di Bazoli. Ne guadagneranno anche l'advisor Mediobanca, Unipol e Bper.Le loro quote saranno diluite ma è stata promessa una compensazione: incasseranno dividendi più alti.Lo speciale contiene due articoli«Non intendo, almeno per il momento, dare alcun commento, se non per precisare che io ho conosciuto la decisione di Intesa Sanpaolo ieri sera, al momento della comunicazione ai mercati, perché i responsabili della banca hanno ritenuto - credo correttamente, data la mia posizione e la mia storia - di non coinvolgermi in alcun modo nella decisione». Con questa nota stringata diffusa ieri mattina Giovanni Bazoli si è tirato fuori dall'operazione che coinvolge due banche a lui assai care. Intesa, che ha praticamente fondato e di cui è ancora presidente emerito, e Ubi, nata dalla fusione tra le due anime - quella bergamasca della Popolare di Bergamo e quella bresciana di Banca Lombarda - di cui il professore era stato ideatore e protagonista. Bazoli prende, dunque, le distanze mettendo così preventivamente a tacere le voci di una possibile sua regìa dell'operazione. Anche alla luce del suo coinvolgimento nell'inchiesta della procura di Bergamo per presunte irregolarità in tema di vigilanza (è stato rinviato a giudizio nell'aprile 2018 insieme, tra gli altri, con l'attuale ad di Ubi, Victor Massiah). Accuse da cui si è sempre difeso con forza. L'operazione Intesa-Ubi, dunque, è tutta farina del sacco di Carlo Messina. Eppure, agli appassionati di storia bancaria ieri è tornato in mente il «metodo Bazoli» e l'impronta che il professore ha lasciato in questi anni sugli assetti del sistema contribuendo a gettarne le fondamenta. Sin da quando negli anni Ottanta Beniamino Andreatta lo sceglie per rifondare il Banco Ambrosiano reduce dalla tempesta Calvi. Il primo passo sarà la fusione con la Banca cattolica del Veneto che darà vita all' Ambroveneto, ma è solo l'inizio di una completa trasformazione del sistema bancario italiano in cui l'opera diplomatica del professore bresciano si rivelerà decisiva. Da avvocato di provincia a «banchiere per caso», Bazoli diventerà l'artefice di un matrimonio dopo l'altro: prima tra l'Ambroveneto e la Cariplo, più tardi battezzata Banca Intesa, poi tra Intesa e Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, per culminare con l'acquisizione della Comit, la più prestigiosa tra le ex banche pubbliche italiane nonché la più importante banca laica del Paese. Un lungo percorso che porterà, dopo la fusione avvenuta nel 2006 fra Intesa e il Sanpaolo di Torino, alla nascita del big del credito. Il «metodo Bazoli» consiste nel procedere con aggregazioni amichevoli, perché «la prima regola in una trattativa è capire quello che vogliono gli altri», brandendo nello stesso tempo lo scudo contro le aggressioni ostili. Ogni volta il regista dell'aggressione sembra essere l'allora Grande vecchio della finanza laica nonché numero uno di Mediobanca: Enrico Cuccia.Ma i tempi cambiano. Oggi la vigilanza di tutte le banche europee è affidata alla Bce. Cuccia non c'è più, Mediobanca ha detto addio da tempo alla logica dei «salotti buoni», Unipol ha inglobato la Fondiaria Sai reduce dal crac dei Ligresti. Rotti gli equilibri, non ci sono più Don Camillo e Peppone. Bazoli lo ha capito e ha aperto il capitale agli investitori stranieri come Blackrock avviando quella che lui stesso ha definito qualche anno fa una transizione ordinata verso il futuro assetto del sistema bancario italiano, mettendo a frutto il proprio network di relazioni internazionali prima di ritirarsi dalla ribalta finanziaria. Con la sponda dell'amico Giuseppe Guzzetti, ex dominus delle fondazioni (intanto scese nel capitale delle banche), anch'egli ritiratosi dalla scena di Cariplo e Acri. Nel nuovo mondo gli schieramenti si decidono in base alle convenienze del momento e ai problemi da risolvere. Questo Messina lo ha imparato dal maestro. Tanto che nell'operazione annunciata lunedì notte sono coinvolti ex nemici o comunque soggetti non vicini alla galassia di Intesa. A cominciare proprio da Mediobanca che è stata assoldata come advisor finanziario unico nell'offerta pubblica di scambio sul 100% su Ubi. Un mandato ottenuto grazie ai buoni rapporti tessuti con Messina e Francesco Canzonieri, responsabile del corporate e investment banking del gruppo di Piazzetta Cuccia. E testato sul campo - allora però come controparte di Intesa - nelle operazioni Intrum, Nexi e Prelios. «Poi se mi chiedete chi scegliere tra Mediobanca e Banca Imi, è chiaro che rispondo che è meglio Imi, no way», ha detto con una battuta Messina durante la conferenza stampa di ieri pomeriggio alla quale hanno partecipato, schierati in prima fila, anche i vertici della banca di investimento di Intesa.Non solo. Gli esperti di Piazzetta Cuccia cureranno anche l'aumento di capitale di Bper da 1 miliardo per rilevare i 400/500 sportelli in eccesso che Intesa ha stimato di dover dismettere per superare le criticità di concentrazione con la rete di Ubi. Candidata a rilevare attività assicurative nell'ambito dell'operazione è poi Unipol (che di Bper è primo azionista con il 20%), altro soggetto in buoni rapporti con Mediobanca da quando la compagnia è stata aiutata a realizzare la fusione con Sai. Messina ha dunque fatto di necessità virtù. Per tutti. Perché la compagnia bolognese guidata da Carlo Cimbri aumenterà la propria influenza e Bper accrescerà significativamente le proprie dimensioni diventando il quarto gruppo bancario nazionale, alle spalle di Intesa, Unicredit e Banco Bpm. E Mediobanca che - dimenticate le vecchie ruggini e anche quelle più recenti emerse nel 2017 durante il tentato blitz di Intesa sulle Generali - è pronta a guidare le prossime mosse del valzer delle fusioni inaugurato da Messina.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-stretta-di-messina-con-il-modello-ambroveneto-addomestica-i-vecchi-nemici-2645188809.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-le-fondazioni-stavolta-non-toccano-palla" data-post-id="2645188809" data-published-at="1758010323" data-use-pagination="False"> E le fondazioni stavolta non toccano palla Il progetto Ubi non è stato condiviso dalle fondazioni, la cui presenza nel capitale di Intesa resta comunque «un elemento strategico per l'Italia», ha detto ieri l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Assicurando che «la diluizione dei nostri azionisti sarà minima, parliamo del 10% delle loro azioni. Rimarranno più o meno nella posizione di oggi». Secondo i calcoli degli analisti di Equita, l'offerta è subordinata al raggiungimento di una quota del 67% del capitale di Ubi, propedeutico al controllo dell'assemblea straordinaria. Le fondazioni azioniste di Intesa subirebbero una diluizione molto limitata nel nuovo soggetto bancario (da 14,8% a 13,1%), mentre gli azionisti di controllo di Ubi (Fondazioni e imprenditori, ora al 16%) scenderebbero al 2%», sottolineano gli analisti. Resta però il fatto che prima del cda di lunedì sera che ha dato il via all'operazione annunciata poi nella notte, né la Compagnia Sanpaolo né la Fondazione Cariplo - azionisti storici di Intesa rispettivamente con il 6,7% e il 4,3% - sarebbero state al conoscenza del piano messo a punto dal banchiere. Qualcuno ha del resto notato lo scarso tempismo con cui proprio ieri mattina è comparsa sulle pagine del Sole 24 Ore una lunga intervista del presidente della Cariplo, Giovanni Fosti: «Stiamo vivendo un momento di equilibrio, perché toccarlo?», ha risposto riferendosi alla possibile revisione della quota nel capitale della banca. Quasi ignaro della notizia che sarebbe stata diffusa dall'istituto. Di certo, però, ieri l'operazione Ubi ha ricevuto la benedizione del predecessore di Fosti ed ex dominus dell'Acri, Giuseppe Guzzetti: «Va nella direzione del rafforzamento del sistema bancario italiano. Conoscendo la competenza e la serietà di Messina, dei suoi collaboratori e del cda, se hanno elaborato questa proposta avranno valutato tutti gli elementi sulla positività dell'operazione», ha commentato all'agenzia Radiocor. Aggiungendo che la direzione è quella «auspicata» anche dai regolatori «ed è da ritenere che sia fatta con tutti gli elementi positivi sia per Intesa Sanpaolo che per Ubi. Questa operazione consente un ulteriore rafforzamento sul territorio e coinvolge due banche che negli ultimi tempi sono molto impegnate nel sociale». Brinda anche il presidente della Compagnia di San Paolo, Francesco Profumo, che la definisce un'operazione «meravigliosa» confermando la «grandissima fiducia nel management di Intesa Sanpaolo, in quello che ha fatto e in quello che farà». Quanto alle fondazioni azioniste di Ubi (tra cui Caricuneo, primo socio con il 5,9% del capitale), l'ad Messina ha rivolto un invito a «partecipare alla creazione di un campione italiano che rimane italiano», promettendo un flusso stabile e crescente di dividendi. In attesa che il cda di Ubi si esprima, per ora a parlare sono solo i grandi soci della banca riuniti nel patto Car, che definiscono l'istituto «centrale per l'Italia e il suo sistema bancario» ma chiedono «tempo» per valutare l'offerta. Proprio al patto che ha quasi il 20% di Ubi potrebbero aprirsi spazi nella governance della nuova realtà. In casa di Intesa c'è comunque fiducia che l'ops vada in porto, confidando su un premio considerato alto, nella difficile possibilità che si materializzino delle controfferte e sul fatto che il 60-70% del capitale è in mano ai fondi internazionali. Messina è poi fiducioso sul via libera della Bce perché la «mossa è in linea con le aspettative della Vigilanza».
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