2019-01-29
Migranti sequestrati dalla Ong
Il porto più sicuro per la Sea Watch era nella vicina Tunisia. Invece la nave ha puntato la prua sull'Italia: un gesto politico teso a forzare la mano. Il fatto è che la linea del governo funziona, come dimostrano i numeri: sta strangolando un turpe business. E in Forza Italia volano gli stracci.Con un giorno di ritardo rispetto a Forza Italia, un gruppo di dem prende un gommone e va a visitare gli africani nonostante i divieti d'avvicinamento. Rientrati in porto annunciano: «Siamo sotto inchiesta».Una sessantina di toghe dell'Emilia Romagna ha siglato un appello pro immigrazione, con tanto di poema.Lo speciale contiene tre articoli.Sono molte le partite (politica, giuridica, internazionale) che si giocano sulla Sea Watch 3, la nave con 47 immigrati a bordo ancora bloccata a largo delle coste di Siracusa. Un'ordinanza firmata dal comandante della Capitaneria di porto di Siracusa, Luigi D'Aniello, ha proibito la navigazione nello specchio d'acqua all'interno della baia di Santa Panagia, per un raggio di mezzo miglio dall'imbarcazione dell'Ong tedesca. Lo scopo è chiaramente quello di evitare di trasformare la nave in una passerella per politici folgorati sulla via della solidarietà, sulla scia di quanto già fatto da Nicola Fratoianni, Riccardo Magi e Stefania Prestigiacomo, anche se il provvedimento non ha impedito ieri al Pd di replicare la performance. Sul primo blitz dei parlamentari si è nel frattempo abbattuta la condanna di Matteo Salvini, secondo cui i politici saliti a bordo «non hanno rispettato le norme igienico sanitarie. Possono portare a terra di tutto e di più». Il vicepremier ha anche ribadito che «sulla Sea Watch non ci sono donne e bambini». Un particolare, questo, su cui è interessante anche quanto detto dal Procuratore di Siracusa, Fabio Scavone, secondo cui «alcuni minorenni hanno un'età dubbia». La Procura ha aperto un fascicolo d'indagine senza reati né indagati, ma ci ha tenuto a precisare che il comandante dell'imbarcazione «non ha commesso alcun reato e non è stata neppure presa in considerazione al momento l'ipotesi di un eventuale sequestro della nave». Per Scavone Sea Watch «ha salvato i migranti e scelto quella che appariva la rotta più sicura in quel momento». Già, la rotta più sicura. È un altro dei livelli in cui si colloca la querelle, quello internazionale. L'Ong è tedesca, la nave batte bandiera olandese, i migranti sono stati avvistati in zona Sar libica, il porto sicuro più vicino è in Tunisia: perché devono sbarcare in Italia? È l'aspetto su cui spinge il governo italiano. L'Ong, dal canto suo, ha tentato di spiegare sul suo profilo Twitter come siano finiti a Lampedusa: lo scorso 23 gennaio, dopo aver previsto l'arrivo di una forte perturbazione da Nordovest, l'imbarcazione avrebbe avvisato il centro di coordinamento olandese e la Capitaneria di porto di Lampedusa. Una volta appresa l'impossibilità di attraccare sull'isola siciliana, il governo olandese ha cercato di mettersi in contatto con quello tunisino, ma senza successo. Sea Watch ha comunque sottolineato di non aver mai ricevuto dall'Olanda alcuna risposta in merito alla richiesta di un porto rifugio in Tunisia. «Per queste ragioni, il comandante della nave ha quindi optato per una rotta meno vessatoria, verso Nord», ha spiegato la Ong. Peccato che Lampedusa disti più del doppio rispetto a Zarzis, primo porto tunisino nei paraggi. Questo complicato intrigo di rimpalli e mezze verità nasconde una serie di responsabilità politiche. Prendiamo il governo olandese. Sì, quello salito al potere dopo le elezioni del marzo 2017 in cui, si disse, venne sconfitto il populismo e trionfarono i valori dell'Europa. Eppure è lo stesso esecutivo che, chiamato in ballo in queste ore, manda a dire di non voler «partecipare a misure ad hoc per lo sbarco». E puntualizza: «Quelli che non hanno diritto alla protezione internazionale devono essere mandati indietro immediatamente al loro arrivo ai confini europei», come afferma il loro ministero della Giustizia. Siamo alla distinzione tra veri e falsi profughi, lo stesso concetto che, quando è espresso da Salvini, viene presentato dalla stampa di sinistra come l'anticamera delle selezioni razziali stile Auschwitz. Tutto da capire, poi, è il ruolo della Tunisia. Sul Paese nordafricano punta il dito il leghista Claudio Borghi, che in un post su Facebook scrive: «Alla Sea Watch ricordo che se è vero (come da loro video) che l'incontro con il gommone dei “migranti" è avvenuto al largo di Zuara, a pochissima distanza da lì c'è Djerba con un ottimo Club Med francese oppure se preferiscono qualcosa di tedesco c'è il lussuosissimo Tui». Insomma, per Borghi, «anche senza bisogno di chiedere al governo olandese se la Tunisia è sicura, basta documentarsi per sapere che l'anno scorso ci sono andati 8 milioni di turisti. Quindi se veramente vuoi “salvare dei naufraghi" allora basta riportarli a riva e lì non ci sono predoni ma gente che sta facendo i balli di gruppo e stappando champagne, se invece l'intento è portare a termine la rotta iniziata dagli scafisti allora il discorso è differente. Basta che non ci prendiamo in giro». Sorprende, in effetti, che ci si facciano tanti problemi circa la sicurezza di un Paese che, solo poche settimane fa, la prestigiosa rivista americana Travel and Leisure ha inserito tra le 50 migliori destinazioni al mondo da visitare nel 2019. L'anno scorso, le entrate finanziarie derivanti dal turismo nel Paese sono aumentate del 45% rispetto al 2017, il che significa che i porti tunisini funzionano e pure bene. E, per non farci mancare nulla, l'Unione europea ha appena annunciato un finanziamento alla Tunisia di 305 milioni di euro. Lo stipendio per pagare un centralinista della Guardia costiera, a occhio e croce, dovrebbe uscirci. Ma è di tutta evidenza che nessuno - tunisini, olandesi, tedeschi, attivisti delle Ong, euroburocrati, buonisti di casa nostra - ha interesse a far cadere il tabù dell'Italia «unico porto sicuro». Non foss'altro che per mettere in difficoltà Salvini. Che la questione sia più politica che «solidale» lo si capisce anche dallo sfrontato braccio di ferro dell'Ong: «Dovranno sbarcare tutti o nessuno», era scritto nel comunicato firmato dall'armatore e stilato da Giorgia Lunardi, portavoce dell'Ong. Il fatto è che l'Italia deve tornare a essere il campo profughi d'Europa. Anche a costo di continuare a giocare sulla pelle dei disperati. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-strategia-di-sea-watch-sfruttare-i-clandestini-con-una-rotta-senza-senso-2627345266.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-sfilata-del-pd-in-cerca-di-martirio-orfini-e-martina-indagati-in-coppia" data-post-id="2627345266" data-published-at="1761136499" data-use-pagination="False"> La sfilata del Pd in cerca di martirio. Orfini e Martina indagati in coppia Per lunghe e interminabili ore, il Pd ha temuto di non riuscire a perdere voti altrettanto velocemente di Forza Italia sulla vicenda Sea Watch. Ma ieri l'impegno indefesso di una pattuglia guidata dal segretario uscente Maurizio Martina ha forse scongiurato il rischio. Con una sorpresa finale: i membri della delegazione si sono pure lamentati di essersi beccati una denuncia. Riassunto delle puntate precedenti: domenica pomeriggio il Pd aveva solennemente proclamato la «staffetta democratica», annunciando la presenza a bordo dei parlamentari del Pd, a rotazione, «finché ai 47 migranti non sarà permesso di sbarcare in Italia». E per dar corpo alla promessa, la formazione schierata al porto di Siracusa contava - oltre a Martina - Matteo Orfini, Davide Faraone, Carmelo Miceli, Francesco Verducci e Fausto Raciti. Bruciati sul tempo dal trio Riccardo Magi (+Europa), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), e senza neanche poter sfoggiare la messa in piega della deputata forzista, il sestetto del Pd partiva in evidente svantaggio. Ma il vero dramma si è consumato quando, per 16-18 ore, ai sei democratici non è riuscita l'impresa di salire a bordo, superando il cordone sanitario stabilito dalle autorità. Gli account Twitter dei sei malcapitati dem hanno offerto una cronaca dettagliata, roba da «tutto il molo minuto per minuto». Ha cominciato Martina verso le 18 dell'altra sera: «Sono in partenza per Siracusa e in contatto con gli operatori della Sea Watch». Prima notazione interessante: nessuno sa se il Pd sia più in contatto con lavoratori e operai, ma in compenso Martina si messaggia con le Ong del mare. Poi, dopo le 22, l'arrivo e l'amara sorpresa: non lo fanno salire. «Ora a Siracusa. Denunciamo violazione di legge, lo sbarco non si può impedire». Poi nessuna notizia per 10 ore: presumiamo dedicate a vitto, alloggio e inevitabili esigenze fisiologiche. Martina ricompare ieri mattina: in edicola (sul Corriere della Sera), in tv (ad Agorà su Rai 3 e a L'aria che tira su La 7), e naturalmente su Twitter: «Chiediamo l'attracco immediato della Sea Watch. Non ci si può voltare dall'altra parte». E ancora: «È nostro dovere essere a Siracusa, come siamo stati a Catania nei giorni della Diciotti». A dar manforte sul molo e sui social ci pensa Matteo Orfini. Ecco il tweet delle 13 di ieri: «A Siracusa abbiamo appena incontrato gli operatori della Sea Watch. Prima che ascoltati vanno ringraziati. Sono un presidio coraggioso di umanità». Inenarrabili i commenti degli utenti, letteralmente imbestialiti verso la delegazione Pd: «Sono solo dei pirati»; «C'era pure Minniti?»; «È evidente che il 4 marzo non v'è bastato». Insomma, un disastro. Ma la valorosa pattuglia del Pd non si perde d'animo. Il più scatenato è Faraone che alle 13 tuona: «Stavamo per prendere un gommone e salire a bordo della Sea Watch e Salvini ha ordinato di non far salire nessuno. Ancora una volta ha violato la legge». Ma nulla può fermare i parlamentari democratici sulla strada delle telecamere (e della perdita di voti), e quindi i sei chiedono e ottengono un incontro con il prefetto e con la Capitaneria di porto. Alla fine, ricevono il sospirato via libera. È proprio Faraone ad annunciarlo trionfante: «Terminato l'incontro in Prefettura. La delegazione dei parlamentari del @pdnetwork salirà a bordo intorno alle 15.30 Finalmente!». Lo segue a ruota Orfini, altrettanto barricadero: «Stiamo salendo sulla Sea Watch. Finché il governo non aprirà il porto e li farà sbarcare, noi non arretreremo di un passo in questa battaglia di umanità». A fine giornata, la discesa, l'agognata passerella nei tg, con relativo lamento per l'ipotesi di denuncia. Il primo a riemergere è stato Orfini: «Io e Martina siamo appena rientrati in porto. Ora stiamo facendo l'elezione di domicilio perché a quanto pare siamo indagati per essere saliti sulla nave». Ma in rete non si è impietosito quasi nessuno, e uno gli ha subito risposto: «Lo sapevi anche prima». Estenuato e sofferente Martina: «Basta guardare negli occhi quelle persone per capire che è disumano quello che stanno facendo. Fateli sbarcare, fateli sbarcare, fateli sbarcare». Ma la polemica del Pd - a quanto pare - è contro Salvini, mica contro gli scafisti. Non si hanno notizie precise di come questo spettacolo sia stato seguito dai 47 immigrati a bordo della nave. Un sospetto lo avanza sempre su Twitter, con un commento fulminante, l'account @nonexpedit: «Se non li salvano quelli della Sea Watch, i deputati del Pd non li salva più nessuno». A noi resta un dubbio. Ma il Pd, negli anni in cui era al governo, non poteva dedicare altrettanta energia e passione agli sbancati dai crac bancari, ai disoccupati, ai terremotati, ai lavoratori anziani bersagliati dalla legge Fornero? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-strategia-di-sea-watch-sfruttare-i-clandestini-con-una-rotta-senza-senso-2627345266.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-magistrati-scrivono-sonetti-per-lo-sbarco" data-post-id="2627345266" data-published-at="1761136499" data-use-pagination="False"> I magistrati scrivono sonetti per lo sbarco Magistrati democratici, pro migranti e pure poeti. Sono 60 i togati dell'Emilia Romagna che, utilizzando questa volta una forma aulica, si sono pubblicamente allineati all'idea che bisogna «insorgere», contro la chiusura dei porti all'arrivo dei clandestini, voluta dal ministro dell'Interno Matteo Salvini. Lo hanno fatto sabato scorso, poco prima dell'inizio della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, sottoscrivendo un foglio in cui erano riportate le parole che don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, aveva pronunciato qualche giorno prima, schierandosi apertamente contro le politiche di governo in materia di immigrazione. «Dobbiamo insorgere quando vengono violati i più elementari diritti umani. Dobbiamo assumerci la nostra responsabilità come cittadini e come cristiani. Il primo grande naufragio è quello delle nostre coscienze», aveva sostenuto Ciotti qualche giorno fa in una intervista dopo l'esplosione del caso della Sea Watch 3. E se la massima del fondatore di Libera, vergata sul foglio, non fosse bastata per far capire da che parte stiano i giudici firmatari, ecco apparire, subito sotto, anche una poesia dedicata ai sedicenti profughi. A scriverla un magistrato di sorveglianza a Santa Maria Capua Vetere, Marco Puglia, che ha messo in versi le ipotetiche parole di un bambino che sta attraversando il mare a bordo di un gommone e, disperato, si rivolge alla madre: «Mamma perché nessuno ci viene ad aiutare? Ho freddo ed ho paura a restare qui nel mare», c'è scritto all'inizio del componimento, riportato sul manifesto. Nonostante la netta presa di posizione, ancora più forte ora che sul ministro dell'Interno pende la richiesta di un processo, per Magistratura Democratica che ha promosso la sottoscrizione, non c'è nessuna «questione ideologica» alla base del gesto. Secondo Carlo Sorgi, presidente di sezione del Tribunale del Lavoro di Bologna, nonché segretario regionale della corrente, a firmare il foglio sarebbero stati «magistrati dalle sensibilità trasversali», con la volontà di esprimere «non una posizione ideologica ma uno stato d'animo di profonda partecipazione agli attuali accadimenti». In altre parole, per i sottoscrittori, si sarebbe trattato semplicemente di un modo per «sensibilizzare su un tema in questo momento fondamentale, la tutela e la salvaguardia della vita umana», mentre la poesia «serve a richiamare l'attenzione su un principio indispensabile per qualsiasi consesso civile e che è al di sopra di tutto». A proposito di Magistratura Democratica, Nicola La Mantia, Sandra Levanti e Paolo Corda - i tre giudici del Tribunale dei ministri di Catania che hanno chiesto al Senato l'autorizzazione a procedere per Salvini - secondo quanto risulta sarebbero iscritti alla corrente di sinistra delle toghe, così come anche Luigi Patronaggio, il procuratore ad Agrigento da cui ha preso il via l'indagine sulla nave Diciotti (e che ha ipotizzato in prima battuta il sequestro a scopo di coazione a carico del leader leghista). Recentemente Magistratura Democratica, attraverso il sito Web di riferimento, si era espressa senza mezzi termini anche sulla vicenda di Riace, definendo quello messo in piedi dal sindaco, Mimmo Lucano, un «modello di integrazione e di pacifica convivenza», minato e poi distrutto «dal rifiuto dell'idea e del progetto di comunità che la nostra Costituzione costruisce sulla forza unificante dei principi di pari dignità, di eguaglianza e di solidarietà».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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