L’agenzia europea Frontex era stata accusata dalla Ong Sea-Watch di aver mollato dei migranti durante un naufragio tra il 28 e il 29 luglio a largo della Libia. «Frontex ha sorvolato la barca in pericolo e se ne è andata», denunciava la Ong. Due bambini sono morti, una persona risulta dispersa e 97 migranti sono rimasti per ore a bordo del mercantile Port Fukoka. «Le affermazioni di Sea-Watch sono false», dichiara senza mezzi termini l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera: «Eravamo presenti prima, durante e dopo e abbiamo coordinato il soccorso». La ricostruzione ufficiale parte dal lunedì. Un aereo dell’Ong, il Seabird, avvista una piccola imbarcazione metallica, sovraffollata, in acque internazionali tra Libia e Tunisia. «Oltre 90 persone a bordo. Due già in mare», scrive Sea-Watch. Che lancia l’allarme. Ma, secondo l’Ong, «Frontex arriva dopo sei ore, osserva e poi si allontana. Martedì mattina la barca è ancora lì, abbandonata». Una versione che fa leva sulla suggestione, ma che rischia di non reggere al confronto con i dati di volo. Tant’è che l’Agenzia Ue dettaglia i movimenti: «Tre velivoli Frontex sono stati dispiegati. Lo Sparrow 2 ha individuato l’imbarcazione e monitorato la scena per ore. L’Eagle 2 ha assistito al capovolgimento durante il tentativo di soccorso da parte del mercantile Port Fukuoka. L’equipaggio ha lanciato una zattera di salvataggio direttamente in mare per assistere le persone in acqua, coordinando al contempo gli sforzi tra la nave e le altre risorse di soccorso. Infine, Eagle 6 ha fornito ulteriore supporto per cercare i sopravvissuti e monitorare la scena fino al completamento di tutte le operazioni di soccorso disponibili». In sostanza, mentre l’Ong gridava allo scandalo, tre equipaggi Frontex operavano nella zona del disastro. Ma Sea-Watch insiste: «La nostra nave Aurora era a sole quattro ore. Ma è bloccata dalle autorità italiane nel porto di Lampedusa con motivazioni infondate. Quelle persone potevano essere salvate». Sea-Watch, in questo caso, sembra più interessata alla polemica che al salvataggio. E, infatti, un attimo dopo attacca le istituzioni, denunciando un doppio silenzio: quello del governo italiano e quello delle autorità europee: «È in corso una vergognosa gestione politica. Il rischio è che la cosiddetta Guardia costiera libica sequestri i sopravvissuti e li riporti nei centri di detenzione». Ma la denuncia appare sempre più un copione ripetuto. Sempre lo stesso lessico, sempre le stesse accuse, indipendentemente dai fatti. E ha fatto sbottare Sara Kelany, deputata di Fratelli d’Italia: «Vergognoso il processo mediatico contro la Guardia costiera italiana, che non ha mai assunto il coordinamento di quell’evento perché nessuna autorità lo ha richiesto. Quell’imbarcazione era fuori dalla Sar italiana. E operare in acque non assegnate senza coordinamento internazionale è violazione del diritto». Poi aggiunge: «Nel 2024 l’Italia ha salvato oltre 35.000 vite. Accuse così servono solo a strumentalizzare le vittime». E mentre i migranti (tra cui tre donne incinte e una che proprio ieri ha rotto le acque) restano a bordo del Port Fukuoka, che non ha ancora ottenuto un porto sicuro per lo sbarco, la propaganda va avanti. In soccorso è giunta la Ocean Viking di Sos Mediterranée: «Le autorità competenti devono agire immediatamente. Finora la nave è rimasta senza istruzioni in questa tragica situazione». Per giustificare la sua presenza ha subito diramato un comunicato stampa.
L’ondata migratoria post natalizia ha portato a Lampedusa altri 791 migranti: 482 sono giunti lunedì dalle coste tunisine con 14 barconi, altri 333, anche loro salpati dai principali porti della Tunisia (Mahdia, Zuara e Sfax) sono approdati ieri con sette imbarcazioni di fortuna. L’hotspot di contrada Imbriacola ha così raggiunto quota 815. In 300 però già ieri sera hanno lasciato la struttura per raggiungere Porto Empedocle. Altri 24 migranti sono stati rintracciati sulla terraferma a Cala Maluk di Lampedusa. Appena approdati con un barchino di sette metri si erano allontanati dalla spiaggia.
In 54, invece, hanno rischiato grosso: il motore del barcone con il quale hanno viaggiato da Zuara è esploso durante la navigazione. Sono riusciti ad arrivare al largo della costa spinti dalla corrente. Una tragedia si è consumata invece su un peschereccio: un migrante è morto, probabilmente per un colpo partito da un’arma da fuoco, e uno è rimasto ferito a una gamba (il tutto sarebbe accaduto poco dopo la partenza da Zuara). A bordo c’erano 47 persone, tra egiziani e pakistani. Sono stati soccorsi da una motovedetta della Guardia di finanza. La Procura ha aperto un fascicolo e il barcone è stato sequestrato. È stata particolarmente frenetica anche l’attività dei taxi del mare.
La Sea Eye 4 viaggia per Brindisi, porto assegnato dalle autorità italiane dopo la mancata risposta del centro per i soccorsi in mare di Malta. Ha raccolto a bordo 106 migranti (tra i quali ci sono 40 minorenni) in due operazioni in zona Sar maltese. I due barconi erano partiti dalla Tunisia nella notte tra Natale e Santo Stefano. La nave dovrebbe raggiungere la città pugliese nel pomeriggio di venerdì. L’Ong Sea Eye ha già annunciato di prevedere di effettuare nove missioni nel nuovo anno, sottolineando che «le donazioni non sono ancora sufficienti». «Abbiamo una nave pronta a partire e una squadra forte a terra e in mare», fanno sapere da Sea Eye, «ora è solo questione di riuscire a finanziare tutte le missioni nel prossimo anno». «Siamo consapevoli dei crescenti venti contrari politici», ha detto Gorden Isler, presidente di Sea Eye, «tuttavia non ci arrenderemo, continueremo a fare affidamento sulla solidarietà dei nostri sostenitori». La Sea Watch 5, invece, arriverà oggi a Marina di Carrara con 119 passeggeri a bordo (26 dei quali minorenni). Il taxi del mare al momento sta risalendo il Mar Tirreno. È il nono approdo del 2023 di una nave Ong nello scalo di Marina di Carrara, per un totale di 1.100 sbarcati. «Non esistono pause o festività. Come sempre, Carrara si farà trovare pronta e darà il proprio contributo a tutte le operazioni coordinate dalla Prefettura», ha affermato ieri il sindaco Serena Arrighi. Dopo le belle parole sull’accoglienza, però, il sindaco si è lagnato per la scelta del governo e non ha perso l’occasione per farci politica: «Sottolineo come non abbia molto di umano costringere a un ulteriore viaggio in mare di oltre 1.100 chilometri 119 persone appena soccorse, tra cui donne e bambini. Una decisione incomprensibile». Sulla Sea Watch è intervenuto anche l’ex senatore pd, e attuale membro della direzione nazionale, Sandro Ruotolo che, sui social, ha scritto: «Cara Sea Watch, fai bene a polemizzare con il governo del mio Paese che fa di tutto per mettersi di traverso contro le Ong che salvano vite umane in mare. Mandarvi al porto di Marina di Carrara a 1.150 chilometri dal luogo dove avete salvato 119 immigrati è disumano». Arringa che però è stata duramente contestata dagli utenti. Ora a pattugliare il mare in cerca di migranti è rimasta solo la Geo Barents di Medici senza frontiere. Dopo una pausa abbastanza lunga, il mare calmo ha riattivato anche la rotta per la Sardegna. Tra la notte del 26 e ieri mattina sono approdati tre barconi con complessivamente 48 migranti. Il primo barcone è arrivato a Teulada, in località Perdalonga. I migranti, che hanno cercato subito di allontanarsi, sono stati rintracciati dalle forze dell’ordine e portati al centro di accoglienza di Monastir. Il secondo sbarco si è verificato a Porto Pino, nel territorio di Sant’Anna Arresi. In questo caso i migranti, invece, hanno trovato già sul posto carabinieri e polizia.
L’estate horror non è ancora finita: al lungo elenco di aggressioni sessuali bisogna aggiungere quella di mercoledì sera. Ancora una volta la scena del crimine è a Bologna.
Poco prima della mezzanotte, ai giardini Margherita, il parco pubblico bolognese più importante, una ragazzina straniera di 17 anni, che pare stesse rientrando nella struttura in cui vive, sarebbe stata aggredita da un coetaneo sconosciuto. Un ragazzo della sua età o poco più grande, presumibilmente di origini magrebine, con il quale aveva scambiato due chiacchiere durante una passeggiata, appena arrivati in un luogo appartato avrebbe preteso un rapporto sessuale. E al «no» della ragazza avrebbe tentato di violentarla. A dare l’allarme sarebbe stato un passante che, notando l’adolescente in difficoltà si è avvicinato per aiutarla.
Raccolto lo sfogo della ragazza, l’uomo ha contattato il 112: sul posto sono arrivati poco dopo i carabinieri del Nucleo radiomobile, che hanno chiamato l’emergenza-urgenza. La ragazza è stata soccorsa e portata in ospedale in condizioni definite «di media gravità». Nel frattempo i carabinieri hanno cominciato a raccogliere testimonianze e ritengono che ci siano ancora molti particolari da approfondire, visto che la denuncia della vittima fino a ieri non sarebbe stata formalizzata.
Gli investigatori però, oltre alla testimonianza del passante, hanno raccolto le prime dichiarazioni della ragazza direttamente sul luogo dell’aggressione. Ma, spiegano, si tratta di «una sommaria descrizione della dinamica» e di un identikit del presunto aggressore. I carabinieri hanno già riferito al pm di turno, Rossella Poggioli. Che ha disposto l’acquisizione degli indumenti indossati dalla ragazza. Potrebbe nascondersi lì l’unica prova utile per risalire all’aggressore, visto che le telecamere del parco si sono rivelate quasi tutte fuori uso. L’indagine, insomma, si sta rivelando più complicata del previsto. Soprattutto rispetto a quella per l’aggressione sessuale alla turista finlandese, avvenuta il 23 agosto scorso e ripresa in diretta, per la quale è stato arrestato un marocchino. Ma anche rispetto alla violenza subita lunedì all’alba in zona stazione da una ragazza di 25 anni. A finire in manette è stato un senegalese. A questi casi bisogna aggiungere il marocchino che il 5 settembre a Monza, in pieno giorno, ha cercato di violentare una ragazza che parlava a telefono con un’amica, e un egizianoche il giorno dopo a Piacenza (città ancora sotto choc per lo stupro della donna ucraina a fine agosto) è saltato addosso a una cameriera che stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro. Tutti i casi hanno in comune il tortuoso iter burocratico che ha permesso agli stranieri di restare in Italia anche quando non ne avevano diritto. Quasi tutti erano arrivati in Italia con il classico barcone e poi avevano cercato di regolarizzare la loro posizione.
Ieri intanto sono continuati gli sbarchi. A Taranto è stata mandata la Sea Eye 4 con 129 passeggeri. E non è l’unico taxi del mare ad assediare le coste. In totale ci sono 843 persone tra Sea Watch 3 e Humanity 1.
La Sea Watch 3, in particolare, sta cercando di forzare: «Dopo dieci richieste di Pos, la situazione non è più sostenibile. I rifornimenti si esauriranno entro domani, le persone e l’equipaggio sono esauste. Abbiamo dichiarato lo stato di necessità». La nave si trova al largo di Augusta (Siracusa) con 428 passeggeri a bordo e minaccia di scegliersi il porto da sola: «È stato chiesto alle autorità di fornirci l’assegnazione il prima possibile. In caso contrario, l’equipaggio sarà costretto a raggiungere un porto anche senza esplicita assegnazione per poter finalmente sbarcare».
E proprio ad Augusta ieri mattina ne sono sbarcati altri 89, recuperati in mare insieme ai 600 dirottati tra Pozzallo e Messina dopo essere stati agganciati da una nave militare a 20 miglia dal lido di Noto. Ennesimo sbarco anche in Calabria: ieri mattina al porto di Crotone sono scesi in 411. Tra loro c’erano 130 bambini. A trascinare al sicuro il barcone (in precarie condizioni di stabilità perché pieno di persone e già interessato da perdite d’acqua) è stato il pattugliatore militare Diciotti, che giovedì aveva portato a riva altre 379 persone (maggiormente nuclei familiari provenienti da Siria, Libano e Palestina, tranne 12 minori non accompagnati».
A Lampedusa quella di ieri è stata una giornata di pausa. L’hotspot, però, è rimasto a quota 1.200 (a fronte di 350 posti letto), con i soliti problemi di affollamento. «Dire che il Centro è al collasso ormai non fa più notizia, semplicemente perché è quasi sempre al collasso», commenta il segretario generale del Coisp Domenico Pianese, che spiega: «Gli ospiti dormono all’addiaccio e hanno a disposizione solo cinque bagni chimici; la rete fognaria e quella idrica sono in totale dissesto. Le condizioni igieniche sono pessime». Ma i disagi continuano anche per il personale di Polizia, «costretto a turni massacranti, anche di 16-18 ore al giorno», aggiunge Pianese. Un’attività che, secondo il sindacalista, starebbe «compromettendo anche il controllo del territorio, distraendo risorse dalla tutela della sicurezza in un’area, peraltro, nella morsa della criminalità organizzata». Infine, Pianese, per l’ennesima volta, si rivolge al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese: «È assolutamente necessario far fronte in maniera non più emergenziale, prevedendo l’invio di personale di rinforzo e rivalutando tutte quelle direttive che esonerano il personale dell’Arma e della guardia di finanza dai servizi di accompagnamento dei migranti».
Cinque porti concessi alle Ong in sette giorni, con due taxi del mare ancora nel mezzo del Mediterraneo ma, di certo, determinati a puntare sull’Italia. Ieri a Porto Empedocle è sbarcata la Sea watch 4 con 303 passeggeri, che la Prefettura sta cercando di smistare tra Caltanissetta e a Pozzallo; lunedì sono approdate a Lampedusa la barca a vela Nadir di Resqship con 19 a bordo e la Louise Michel - finanziata dall’artista Banksy - con 59; giovedì scorso è entrata nel porto di Augusta la Aita Mari con i suoi 112 e mercoledì a Messina era sbarcata la Sea Eye 4 con il carico più pesante: 476 passeggeri.
Mentre ieri al largo della Libia c’era la Ocean Viking con 156 passeggeri e al largo della Tunisia la Geo Barents con 71. Quest’ultima da qualche giorno gironzolava in una delle aree marine più battute nella rotta verso l’Italia. E ieri è intervenuta durante un naufragio, tirando a bordo 71 sopravvissuti. Ma il bilancio è tragico: 22 dispersi e tre feriti, tra cui alcuni bambini. Uno, in particolare, è stato salvato con un massaggio cardiaco. Una donna, invece, è morta quando era già a bordo. Erano tutti stipati su un gommone che imbarcava acqua. E che a un certo punto si sarebbe capovolto. Con i flussi migratori che spingono più che mai verso l’Italia si torna a morire in mare. A più partenze corrispondono più morti. Come dimostra la tragedia di ieri, non basta lasciare le Ong a pattugliare l’area per evitare le insidie del mare.
«Siamo stati testimoni dell’ennesima tragedia nel Mediterraneo», commentano da Medici senza frontiere, «decine di persone in acqua che lottavano per sopravvivere, due donne che hanno perso i loro figli in mare, un bambino soccorso privo di segni vitali è stato rianimato sulla nave. Decine di persone hanno lottato per sopravvivere in acqua. Tutti sono gravemente traumatizzati e scioccati». E c’è anche un altro Sos. Ieri Alarm Phone ha lanciato un nuovo allarme per una barca partita da Sfax, in Tunisia, della quale non si hanno più notizie: «Ci hanno allertato i parenti di circa 18 persone partite dalla Tunisia per Lampedusa. Hanno perso i contatti 30 ore fa e le autorità non hanno informazioni sui viaggiatori. Chiediamo per loro una missione di ricerca immediata». Ma gli incidenti non sono terminati: un gommone della Guardia di finanza ieri mattina ha soccorso sullo sperone di una roccia a largo di Lampedusa 11 tra egiziani e sudanesi che probabilmente erano stati scaricati lì da trafficanti di esseri umani che hanno poi ripreso il largo. A Siracusa, invece, sono stati fermati dagli investigatori della squadra mobile e della Guardia di finanza un ucraino e un russo che in nome degli affari legati all’immigrazione devono essere riusciti a superare le divisioni tra i loro Paesi. Sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per lo sbarco del 24 giugno scorso di 41 afghani e iraniani. Sono stati bloccati mentre cercavano di riprendere il largo. A bordo del veliero sono stati trovati anche 200 litri di carburante. Altri tre presunti scafisti, tutti turchi, sono stati fermati dalla squadra mobile a Crotone per l’approdo di lunedì con 79 persone a Isola Capo Rizzuto. I dati sui loro cellulari e alcune testimonianze raccolte tra gli sbarcati hanno indirizzato subito le indagini verso di loro. Mentre Roccella Jonica è stata di nuovo presa d’assalto l’altra notte, con due sbarchi nel giro di appena un’ora: 108 anime, in gran parte afghani, viaggiavano su due barche a vela che erano alla deriva. Sono stati soccorsi dalla Guardia di finanza e dalla Guardia costiera e sono finiti nella tensostruttura della Croce rossa.
«La Calabria è ormai in ginocchio dai migranti, una pressione a dir poco insostenibile per le nostre coste», ha commentato ieri il deputato leghista Domenico Furgiuele, che ha aggiunto: «Ci chiediamo dove sia il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e cosa intenda fare per questa emergenza a fronte della quale i calabresi non possono essere lasciati soli». Il numero di sbarchi nel tratto di costa della Locride dall’inizio dell’anno è salito di colpo a 28 (25dei quali solo a Roccella), con oltre 2.000 sbarcati. Il conto complessivo nazionale, invece, vede 26.922 stranieri arrivati via mare dall’inizio dell’anno. Nello stesso periodo del 2021 ne approdarono 19.893 mentre nel 2020 solo 6.715. Le nazionalità di provenienza fanno subito sfumare la possibilità che fuggano da una guerra: 4.606 sono bengalesi (17%), 4.155 egiziani (15%), 3.807 sono tunisini (14%). E siccome con le espulsioni la Lamorgese ha dimostrato di non saperci fare, rimarranno tutti a bighellonare in giro per le città italiane. «Alla maggior parte degli immigrati di solito viene consegnato l’obbligo di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni», conferma Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di polizia Coisp, «ovviamente non lo fanno e con il foglio di via in tasca vengono lasciati liberi di andare in giro per il Paese senza alcun tipo di ulteriore controllo».
- Davanti alle nostre coste tre navi delle Ong aspettano di poter sbarcare: Sea Eye 4 ne ha 474, Aita Mari 112 e Sea Watch 261. Sono tutte imbarcazioni straniere, ma vengono qui in automatico. Per non parlare degli scafisti che approdano a getto continuo.
- I numeri degli arrivi si impennano ma le redistribuzioni promesse restano sulla carta.
Lo speciale contiene due articoli.
Tre taxi del mare bussano alle porte dell’Italia con 850 passeggeri da scaricare, mentre il flusso sulle coste calabresi e siciliane, prese di punta dagli scafisti, non si arresta. Con gli hotspot che scoppiano il Viminale sembra non sapere che pesci prendere. E temporeggia.
A poco meno di 20 miglia da Pozzallo è ferma da tre giorni la tedesca Sea Eye 4 con 474 persone a bordo: «Alcuni hanno già trascorso sette notti in mare», avverte l’equipaggio, «un tempo troppo lungo per persone esauste, molte delle quali necessitano di cure a terra». E anche se in 18 sono stati evacuati perché le condizioni di salute si erano fatte gravi, la vicenda ricorda da vicino quella della Open Arms (agosto 2019), che ha prodotto un processo contro Matteo Salvini. In coda, subito dietro la Sea Eye 4, c’è la spagnola Aita Mari con 112 passeggeri a bordo da sei giorni. «Meritano un’attenzione dignitosa e una risposta rapida», affermano dalla Ong. Ce ne sono 261 sulla Sea Watch 4, che ha scelto Lampedusa: «Dopo quasi 24 ore di mancata assistenza da parte di Italia e Malta, la nave ha preso a bordo anche le 96 persone soccorse da un mercantile», accusa la Ong tedesca. E con le rotte totalmente incontrollate e i porti aperti c’è anche una barca dispersa tra Tunisia e Italia. Domenica sera Alarm Phone era stata allertata per un’imbarcazione partita dal porto tunisino di Sfax per raggiungere Lampedusa. Da allora è irrintracciabile.
Nel frattempo le Procure stanno cercando di contrastare le frenetiche attività degli scafisti. Ieri, a Siracusa, gli investigatori della Squadra mobile ne hanno fermati due, entrambi turchi, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché avrebbero portato a riva 83 tra egiziani e siriani il 18 giugno. Uno dei due fermati è stato trovato in possesso di armi e munizioni (21 cartucce di vario calibro e due coltelli a serramanico). Anche in Calabria ci sono due presunti scafisti fermati: hanno tentato di avvicinarsi alla costa della Locride con una barca a vela con a bordo ben 135 afghani. Sono un turco e un siriano. I sospetti sono emersi subito dopo lo sbarco dell’altro giorno a Roccella. Al momento c’è un’attività di polizia giudiziaria condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato di Siderno, ma non sono ancora stati emessi provvedimenti dall’autorità giudiziaria. E ieri, sempre a Roccella, ne sono arrivati altri 137, anche questi afghani. Viaggiavano su un veliero che è stato intercettato a largo della costa. Ora sono tutti nella tensostruttura fatta costruire lo scorso anno dal Viminale sul molo, che comincia a riempirsi. Come a Lampedusa, dove la Prefettura per cercare di alleggerire l’hotspot sta spedendo con degli autobus per l’Italia i richiedenti asilo.
«Il dato delle registrazioni in hotspot è tornato simile a quello del 2017, ma con una prevalenza di presenze a Lampedusa pari a quattro volte quella raggiunta in quell’anno», tuona il Garante dei diritti dei detenuti Mauro Palma, certificando l’agghiacciante ritorno al passato targato Draghi-Lamorgese. «Anche la composizione», spiega il Garante, «è stata simile al passato: la prevalenza è di persone tunisine, circa un terzo del totale, seguite da quelle egiziane».
Ma c’è un altro dato che fa franare miseramente la propaganda messa in campo dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese: «Nel 2021 meno della metà delle persone transitate nei Centri per il rimpatrio è stata effettivamente rimpatriata. L’inefficienza del sistema permane». E smentisce Lamorgese, che qualche giorno fa ha affermato che «l’accoglienza è un problema strutturale»: «Il tema», denuncia il Garante, «continua a essere affrontato in termini emergenziali e non strutturali, quasi fosse ancora un problema nuovo». «In Italia dopo due anni di pandemia gli immigrati clandestini non possono più sbarcare dalla mattina alla sera senza più controllo e con 5 milioni di italiani in povertà. Non possiamo vedere sbarchi senza limiti», ha detto ieri Salvini. «Con oltre 800 migranti su navi di Ong che sventolano bandiere non italiane a largo delle nostre coste, vorremmo sapere dove è finita la promessa di aiuto tanto sbandierata dall’Ue e salutata con toni trionfalistici da Lamorgese solo venerdì scorso», ha commentato il deputato di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha aggiunto: «Le promesse non mantenute sono la causa della continua pressione a cui è sottoposta l’Italia. Abbiamo chiesto in ogni modo il dettaglio del nuovo accordo annunciato ma evidentemente dopo la “sòla” degli accordi di Malta siamo di fronte all’ennesima beffa». E ha cercato di stanare il ministro: «Lamorgese ci dica a cosa è vincolata l’Italia e come intende rispondere alle richieste delle Ong. Di sicuro non può permettersi nuovi sbarchi, quei migranti dovrebbero essere dirottati altrove e magari proprio in quei Paesi che hanno la medesima bandiera delle navi che li trasportano». E anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è sulla stessa linea: «Basta scaricabarile, l’Italia non può permettersi un’estate di sbarchi».
L’Ue fischietta, il Viminale dorme. Qualcuno svegli la Lamorgese
Ha chiesto un «porto sicuro» per tre volte ma nessuno le ha risposto; la grande truffa dell’Europa si fonda sul silenzio. Quando la Sea Eye 4 ha lanciato l’emergenza la prima volta era ancora in acque libiche e aveva a bordo 370 migranti; nessun problema, si punta come al solito sull’Italia. La rotta porta a Lampedusa ed eventualmente ai porti siciliani di Marina di Ragusa e Pozzallo, il computer di bordo ce l’ha in memoria. Il giorno successivo altra richiesta in acque internazionali dalla nave baltica dell’Ong tedesca, e altro silenzio; nel frattempo i disperati erano diventati 488. Alla terza richiesta, ieri, non c’era neppure bisogno di rispondere: la prua solcava già acque italiane, ormai si va a Pozzallo in automatico. Formalismi e consuetudine rispettati; a questo punto basta sapere il numero della banchina d’ormeggio.
Il business dell’accoglienza comincia così e l’arrivo di oltre 850 clandestini in un giorno (ai 488 vanno aggiunti i 112 della spagnola Aita Mari e i 261 della Sea Watch 4) fa riesplodere il dramma di un’emergenza infinita, che nasce e si sviluppa senza una parola del Viminale. Il silenzio avalla la consuetudine e impedisce la redistribuzione. Tutto avviene come se si trattasse di shuttle o di traghetti, e allora sarebbe il caso di ufficializzare il tableau degli orari. Per Bruxelles è una manna, sembra che il problema neppure esista. Eppure il viaggio dei nuovi schiavi può essere monitorato ogni minuto grazie alle informazioni che le stesse Ong postano sui social in modo limpido e compulsivo. Nessuna imbarcazione che chiede asilo all’Italia viene dirottata a Malta, in Spagna, in Francia o in Grecia. Non esiste coordinamento e la solidarietà internazionale è un concetto privo di significato.
Il sistema è questo, la vergogna di un Paese senza sovranità territoriale è nei fatti. E Lampedusa è nuovamente al collasso: l’hotspot che può farsi carico di 350 persone ne ha più di 1.500. In questi casi la nave Diciotti ne imbarca una parte e li scarica ad Augusta, dove vengono stipati nei pullman. Destinazione (anche qui silenziosa), le altre regioni italiane per la felicità di associazioni e cooperative che hanno ricominciato a fatturare alla grande. E poi le periferie degradate, l’alta percentuale di miseria, l’impossibilità di assorbimento, la radicalizzazione, il rigetto talvolta violento nei confronti della società che crea emarginati. Infine casi come quello di Peschiera. Precisi a Saint-Denis a Parigi o al quartiere Ariane a Nizza 20 anni fa.
Uno scenario desolante che ha come responsabile principale il ministro Luciana Lamorgese, teorica dell’accoglienza diffusa (è la dottrina del Pd e di Sergio Mattarella). In tre anni e due governi non è riuscita a compiere neppure il primo passo verso il coinvolgimento politico dell’Europa al rispetto degli accordi di Malta. Fu lei a firmarli, fu ancora lei a sottolineare la svolta dopo la stagione dei porti chiusi del suo predecessore Matteo Salvini. I termini erano contenuti in due parole: redistribuzione (dei flussi in Europa) e rotazione (dei porti). Ora siamo alla beffa. Nessuna redistribuzione, tranne qualche pietoso e sporadico segnale di Portogallo, Francia e Germania. E nessuna rotazione, se non quella provocatoria fra Lampedusa, Siracusa, Pozzallo, Marina di Ragusa e Catania.
Due mesi fa a Venezia, nel summit fra i Paesi europei del Mediterraneo, Lamorgese ha ribadito: «Auspichiamo un adeguato meccanismo di redistribuzione che dovrà coinvolgere un numero ampio di Stati membri». Parole, le solite, mentre il silenzio delle istituzioni continua a coprire rotte percorse secondo automatismi collaudati. I numeri raddoppiano, triplicano e la ministra abbozza, alimentando una passività che non ha nulla di operativo. A questo punto è più comprensibile la posizione di Laura Boldrini, che con il suo «accogliamo tutti» ottiene almeno un dividendo elettorale. Il corto circuito è completo, ma adesso siamo «buoni» e facciamo finta che non esista il lungo tragitto degli schiavi. La nostra è una coscienza a forma di salvagente. Con il buco.






