2023-09-01
La star della pandemia ora si butta sul green
Il virologo Anthony Fauci prova a riconquistare la popolarità perduta con la fine dell’emergenza riciclandosi come santone del cambiamento climatico. Ma la stampa conservatrice lo attacca: «Non ha competenze per parlare, la sua epoca è finita».Dopo più di tre anni di pesanti interventi sul fronte Covid, Anthony Fauci tenta di riacquistare visibilità discettando di clima. Il virologo, ex consigliere della Casa Bianca, non ha certo abbandonato le tematiche virus, infatti ora va in giro snocciolando il decalogo post pandemia, ma l’attraente vetrina in cui pavoneggiarsi è diventata l’emergenza ambientale.L’ex direttore del Niaid, il National institute of allergy and infectious diseases, ha affermato che «la lotta al cambiamento climatico deve provenire da un impegno internazionale» e che il cambiamento climatico è responsabile del «clima pazzesco che stiamo vivendo in questo Paese». Dal tragico incendio alle Hawaii, (in realtà, la contea di Maui ha accusato la Hawaiian Electric, principale fornitore di elettricità dell’arcipelago, di non aver previsto che i forti venti avrebbero «rovesciato i pali delle utenze, abbattuto le linee elettriche e incendiato la vegetazione»), al Texas «che ha avuto 75 giorni consecutivi con oltre 95 gradi» fahrenheit, l’equivalente dei nostri 35 gradi centigradi, Fauci attribuisce ogni evento alla trascuratezza climatica. Però in Texas 35 gradi d’estate sono una temperatura normale, come hanno osservato diversi americani commentando l’intervento del virologo. «La mediocre analisi di Fauci può essere criticata di per sé, ma qui c’è un’altra domanda: perché l’opinione di Anthony Fauci sul cambiamento climatico ha un peso?», si è chiesta la testata conservatrice Washington Examiner. Per poi aggiungere: «Se “fidarsi della scienza” è l’unica cosa che conta, perché dovremmo ascoltare Fauci, la cui esperienza è nelle malattie infettive?». Il ragionamento non fa una piega. Colloca nella giusta luce tanti predicatori dell’emergenza (prima pandemica, adesso climatica), che anche in Italia continuano ad avere spazio mediatico. «Fauci non dovrebbe più avere alcuna influenza. In nessun ambito della vita pubblica», sostiene il Washington Examiner. Invece, l’ex direttore del Niaid continua a trovare credito spaziando dal green ai virus. Lo scorso aprile, a Washington, partecipando a una conferenza del Consortium of universities for global health (Cugh), per la condivisione dei loro programmi di salute globale, ripropose una diapositiva che aveva mostrato nel 1984 al Congresso, per evidenziare la minaccia emergente dell’Hiv.«Ha poi mostrato la sua versione finale della diapositiva, che pullula di linee e punti che indicano più di 50 malattie, dal virus Akhmeta al virus Zika e, ovviamente, al Covid-19», riporta Globalhealthnow, forum di notizie e informazioni per la comunità sanitaria globale. Il suo intervento si concluse con questa dichiarazione: «Le infezioni emergenti sono una sfida perpetua. E l’unico modo per affrontare una sfida perpetua è attraverso la reattività e la preparazione perpetua alla pandemia». L’ha ribadito a Roma, quando il 19 giugno è stato invitato a una conferenza all’Accademia dei Lincei, elencando le dieci lezioni che dovremmo ricavare dalla pandemia. Il decalogo è stato ripreso ieri da Repubblica salute, con tanto di cupe previsioni. «Nessuno può sapere con certezza cosa accadrà nei prossimi mesi: potrebbe, e non so con quale probabilità, arrivare una nuova variante che spiazza tutti. Bisogna stare con gli occhi aperti», ha detto Fauci. Tra le regole da rispettare, a suo avviso, per non ritrovarsi impreparati in una nuova pandemia, «va contrastata la disinformazione». Quella che ha messo in dubbio l’efficacia dei vaccini e fornito «conteggi di decessi falsificati». Bel coraggio ha, l’uomo diventato il più potente d’America in epoca Covid attraverso ripetute falsità e smentite di verità scientifiche. Ovviamente non poteva mancare l’appello ambientalista, con l’invito a «ridurre la deforestazione, regolare i mercati». In risposta anche a Fauci, è arrivato un video di Donald Trump, postato sul profilo Twitter del suo Team E con l’appello: «Ascolta le mie parole: non rispetteremo». L’ex presidente dichiara: «I pazzi di sinistra stanno facendo di tutto per riportare in auge i blocchi e gli obblighi del Covid con la loro improvvisa paura per le nuove varianti». Aggiunge: «Vogliono resuscitare l’isteria del Covid per giustificare altre chiusure, altre censure, altre caselle di posta illegali, altri voti assenti e trilioni di dollari di tangenti ai loro alleati politici prima delle elezioni del 2024». Per Trump, «queste sono persone malvagie, si tratta di persone malate», ma promette: «Non ci sottometteremo. Non chiuderemo le nostre scuole, non accetteremo le vostre chiusure, di dover indossare le mascherine e non tollereremo le vostre vaccinazioni obbligatorie». Ha promesso che quando tornerà alla Casa Bianca, userà ogni potere disponibile «per tagliare i fondi federali a qualsiasi scuola, università, compagnia aerea o trasporto pubblico che imponga un obbligo di mascheramento o di vaccinazione». Farneticazioni alla Trump? Tre milioni di visualizzazioni in poche ore confermano che le parole dell’ex presidente toccano nervi scoperti in molte persone.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)