2022-02-28
La stampa riscopre eroi, patria e sovranità
Scordatevi le tirate contro il nazionalismo: adesso, gli editorialisti con l’elmetto inneggiano alla resistenza dei martiri ucraini. Che però, essendo in maggioranza renitenti al vaccino, se fossero in Italia non potrebbero nemmeno entrare alla mensa dei poveri. Può succedere, quando ci si allaccia l’elmetto troppo stretto, che il sangue fatichi a fluire, bloccando l’accesso di ossigeno al cervello, cosa che rende complicato se non impossibile il ragionamento. Osservando l’atteggiamento dei media italiani viene il sospetto che questo fenomeno di scarsa ossigenazione sia attualmente in corso un po’ ovunque. I commentatori più felpati e pensosi si sono all’improvviso convinti di essere reincarnazioni del generale Patton, gli editorialisti gallonati si guardano allo specchio rivedendosi volpi del deserto. E tutti, praticamente all’unisono, hanno assunto il tono bellicoso di chi vorrebbe spezzare la reni alla Grecia. Progressisti e moderati italiani si sono scoperti interventisti, dal calduccio dei loro tinelli si eccitano al pensiero delle trincee e si atteggiano a partigiani con le chiappe altrui. Da ogni dove trasuda la retorica patriottarda. Il Corriere della Sera celebra l’ingegnere che non ha mai sparato un colpo ma ora si «arruola per la patria», «la casalinga e l’insegnante che creano molto dalle birre», l’eroe Vitaly che si fa saltare in aria pur di abbattere un ponte. A Repubblica si strappano le mutande per l’esercito ucraino «che resiste» e gli onesti lavoratori immigrati che lasciano l’Italia per «tornare a casa a combattere». Tra gli eroi più celebrati c’è Vladimir, muratore di 47 anni che si è avviato a bordo di un furgoncino verso Boryslav, dove imbraccerà un fucile. I cacciatori di fake news alla Gianni Riotta s’affanno a smascherare la «propaganda russa», ma tradiscono eccitazione quando riportano le dubbie notizie sugli atti di coraggio ucraini: gli orgogliosi marinai dell’Isola dei Serpenti che mandano a farsi fottere le navi dello zar Putin; il già «leggendario» aviatore noto come «il Fantasma di Kiev» che avrebbe abbattuto ben sei velivoli nemici. Che goduria vivere la guerra come se fosse un film...Alla Stampa sono tutti in fregola per il popolo in armi che promette «nessuna pietà per gli invasori». Un po’ dappertutto si va in solluchero di fronte ai proclami della «resistenza ucraina», e non si capisce se nella mente dei cronisti il conflitto nell’Est si sovrapponga alle suggestioni di Bella ciao o all’ubriacatura militarista degli anni di piombo. L’esaltazione è tale da giustificare ogni sbandata. Qualche elegante collega s’affretta a costruire altarini in onore di Zelensky, dimenticando che mettere i mitra in mano ai comuni cittadini significa condurli al massacro e usarli come scudi umani. Altri riportano con compiacimento le veline del governo ucraino, e spiegano che a Kiev è pieno di «sabotatori» russi intenzionati a uccidere il povero «Volo», dunque bisogna segnalare chiunque resti in giro la sera o «sembri russo». E poco male se ci dovesse scappare un po’ di pulizia etnica per uno zigomo troppo marcato o un accento sospetto.I sinceri democratici intenzionati a battersi per la libertà e la democrazia sorvolano pure sul fatto che l’esercito ucraino sia accompagnato dai duri del battaglione Azov, che il Corriere descrive en passant come ispirato «da un nazionalismo fanatico e spesso intriso di venature neonaziste». Certo, se i camionisti canadesi espongono polemicamente una svastica per contestare quella che loro considerano «dittatura sanitaria» sono pazzi da rinchiudere; se i combattenti dell’Azov sventolano la croce uncinata per farsene ispirare, invece, nemmeno un fiato perché stanno dalla parte giusta. Intendiamoci: gli ucraini hanno tutto il diritto di combattere fino alla fine per la loro terra, e tanti sono senz’altro imbevuti di genuino eroismo. Dopo tutto, sono loro a presentarsi al fronte, loro a tenere le dita sul grilletto e sempre loro a rischiare la pelle per la bandiera: non si può non ammirarne la tempra. Allo stesso tempo, tuttavia, non si può non restare sconcertati annusando l’odore acre dell’ipocrisia italica.Gli stessi tromboni che oggi si innamorano della resistenza gialloazzurra fino a ieri consideravano il patriottismo una sfumatura del male assoluto. Quanti editoriali abbiamo letto sui confini «odioso retaggio del passato che solo un fascista potrebbe difendere»? Quanti dei nostri prodigiosi editorialisti ci hanno spiegato che il nazionalismo va osteggiato o rinnegato in nome dei valori transnazionali di accoglienza e multiculturalismo? Certi fenomeni sempre pronti a difendere i potentati stranieri e a svilire l’interesse italiano oggi si improvvisano custodi dei valori nazionali e tradizionali di un altro Stato, dimenticando - in aggiunta - che le contese internazionali sono regolate dai rapporti di potere e non dalla morale. Se ne stanno lì col petto gonfio, convinti che la linea del fronte passi sul loro divano, e tifano per le igieniche mitragliatrici di Kiev, forse pensando di riscattare così decenni di collaborazionismo anti italiano. Basta un minuscolo cortocircuito a smascherarne la malafede. In Ucraina il 70% circa della popolazione è composto da non vaccinati. In sostanza, i nostri cari progressisti invitano alla lotta mortale in nome della libertà per persone che, se fossero in Italia, non potrebbero salire sul bus o farsi servire un pasto caldo nella mensa di Sant’Egidio. E che verrebbero accusate, dai progressisti medesimi, di essere ignoranti, egoiste e responsabili del contagio. Ecco come agiscono i cantori nostrani della democrazia: disdegnano la libertà in casa loro, ma bramano i missili per imporla in casa d’altri. Forse perché a fare gli eroi con la vita altrui non si rischia nulla.