
La diversità dai territori, ognuno forte della propria identità senza per questo mettere in discussione l'unità nazionale, strapperà la camicia di forza che la classe politica ha imposto al Paese? È il primo passo per evitare l'imbarbarimento.tradizioni, bisogni. Sono loro ad offrirci oggi l'occasione del cambiamento e se la cogliamo saranno loro a strappare la camicia di forza in cui la classe politica dominante ha immobilizzato da decenni il Paese, cambiando così la storia d'Italia nei prossimi anni. E non per fare un'opposizione regionalistica all'unità nazionale, che non è mai stata seriamente in questione. Ma piuttosto risvegliando nuove forze, nutrite dalla molteplicità delle diverse storie locali con le rispettive vocazioni, capacità, ricchezze naturali, culturali e spirituali. Costringendo così il potere politico a smettere con le chiacchiere e rispondere finalmente alle sfide poste da un'epoca che oggi, anche grazie al dannatissimo Covid-19 e ai disastri da esso provocati, sembra terminata. Potrebbe così finalmente finire l'epoca dei discorsi astratti, riferiti a vecchie ideologie che poi gli attuali politici neppure ben conoscono (l'ultima a cadere fu quella comunista, trent'anni fa), e dei sistemi di partiti e di governo che ad esse fingevano di ispirarsi, per occupare intanto un potere che non sapevano gestire, godendone però personalmente i vantaggi. In questo tempo infinito l'Italia è stata sequestrata da bande di usurpatori della sovranità popolare prevista dalla Costituzione, oggi ormai smascherati sia dalla personale pochezza dimostrata, che dall'urgenza dei problemi nel frattempo accumulatisi. A cominciare da quello dell'estinzione degli italiani.Come è noto e documentato dalle statistiche, il nostro popolo sta finendo, assieme alla sua ricchezza creativa, la cui storia tuttavia continua a ispirare il mondo intero. Non si fanno più bambini a sufficienza per tenere in vita la Nazione, e quei pochi che riescono a nascere vengono spinti fin dall'età scolare alle droghe leggere come primo assaggio e invito a quelle che seguiranno. Il processo di estinzione è nel frattempo rafforzato da tutta una serie di interventi degli usurpatori del potere politico per arrivare il prima possibile alla parola fine. Si va dalla liberalizzazione degli sbarchi disordinati di clandestini da barchini e barconi, a quella della loro permanenza sul territorio, anche se senza lavoro e tra diversi reati (del resto non così facilmente evitabili). Intanto si cerca di liberalizzare le adozioni internazionali di bambini concepiti su commissione e comprati all'estero da coppie omosessuali, e di intervenire sulle normali insicurezze di genere dell'adolescente per ottenere dichiarazioni precoci di omosessualità nelle quali ingessare poi ogni successivo e diverso sviluppo dell'identità sessuale. Lo scopo complessivo di questi molteplici interventi contro la vitalità naturale del popolo parrebbe essere direttamente antropologico: la rottura del rapporto d'amore e generazione tra uomo e donna e la trasformazione del Bel Paese in una landa desolata e imbarbarita (problema peraltro presente, anche se con minore violenza e velocità, anche in altri Paesi occidentali). I territori però, Regioni, città, terre, imprese, sono ancora vitali. E gli usurpatori della sovranità popolare sono destinati a cadere come vecchi frutti di una pianta ormai esaurita davanti alla concretezza imposta dall'Italia che ancora vuole invece vivere, crescere e svilupparsi. Meglio finiscano loro e i loro partiti che l'Italia. Ai loro discorsi astratti manca la consistenza della carne e del sangue. Quelli, invece, li forniscono i territori. Non elucubrazioni spettacolari sui viaggi per Marte, ma programmi precisi sulla messa in sicurezza dei fiumi, dei laghi, delle montagne, sulla valorizzazione e difesa delle terre e dei loro prodotti. Anche il Covid-19 d'altra parte, ha dato un colpo decisivo alle vaghezze confuse della globalizzazione, lasciata finora libera, assieme alle immigrazioni disordinate, di dissolvere ogni «orizzonte familiare» (come lo chiamava il filosofo Husserl, presagendo i disastri che poi vennero) e alle sue sicurezze e ideali. In giro per il mondo sarà sempre possibile, per tutti, fare ottimi affari. Tuttavia la persona umana per stare bene e riconoscere i propri autentici bisogni e desideri ha bisogno di confini, così come il suo corpo ha bisogno della pelle per mantenere una forma e comunicare con l'esterno senza disfarsi. In tutto il mondo si è così sviluppata una spinta (rafforzata dopo la pandemia) a ritrovare i propri orizzonti familiari e locali e farne un primo momento di autoriconoscimento identitario e progettuale. Uno degli ambiti in cui ciò è avvenuto con più precisione - soprattutto negli ultimi mesi- è stato proprio quello messo più a prova dalla crisi: la sanità. In Italia (come in tutto il mondo) si sono manifestate forti tensioni tra le autorità locali e quelle nazionali e internazionali sia sulla natura dell'epidemia che sulla sua gestione. Dappertutto la forza delle resistenze e proposte dei territori sulla gestione della malattia ha stupito per l'interesse delle proposte e il contributo fornito dalle esperienze cliniche; come quelle del veneto, ormai internazionalmente riconosciute. Non si tratta soltanto il ritorno alla fiducia nel medico di quartiere o di paese, ma la scoperta della debolezza di protocolli di cura pseudo-universali nei confronti di fenomeni che presentano volti diversi a seconda delle condizioni ambientali, cui vanno quindi riconosciuti dignità e trattamenti anche autonomi. Ad esempio il non capire che il rischio e le possibilità sono diversi in zone con ampi spazi agricoli e naturali (come ha l'Italia), rispetto a quelle delle città è stato riconosciuto da subito come uno degli errori più evidenti del governo statale nella gestione dell'epidemia. Così come il fingere di nulla di fronte all'ormai nota relazione tra Covid-19 e inquinamento dell'aria e non attivarsi per la sua depurazione (ormai richiesta persino dalla presidente della Ue nel suo discorso di Bruxelles) dimostra un'arroganza e un passatismo insopportabili. Le burocrazie possono soddisfarsi con i guadagni e il potere ma i territori, realtà organiche di corpi, terra, sangue e spirito, vogliono vivere, e continuare la propria storia. Aiutiamoli a farlo.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.