2022-08-21
La società dei selfie ha ammazzato il viaggio
Dapprima la televisione e infine Internet: ormai giriamo il mondo senza alzare il sedere dal divano, e non viviamo esperienze. L’unica cosa che conta è condividere fotografie, spesso illusorie, per ricalcare la realtà che i media ci avevano propinato.Siamo stati a Corfù, ma credo che quel che ho da dirne valga per ogni altro paradiso delle vacanze. Era la nostra prima volta sull’isola e abbiamo fatto l’errore di fidarci di informazioni reperite in rete. Abbiamo scelto una struttura alberghiera a quattro stelle, che si presentava con splendide immagini di interni lussuosi e spiagge incontaminate; non abbiamo prestato attenzione al fatto che si parlava di un «tutto compreso»; del resto, in una zona in cui una cena di pesce per due, con una bottiglia di vino, costa mediamente 50/60 euro, i 300 euro al giorno che pagavamo avrebbero anche potuto coprire i pasti. Ci è sembrato un po’ strano che la reception pretendesse il pagamento completo all’arrivo, all’atto della consegna della chiave; ma abbiamo continuato a concedere il beneficio del dubbio. Per qualche minuto, almeno: fin quando non abbiamo potuto toccare con mano la qualità dell’offerta. La stanza che ci era stata destinata aveva dimensioni modeste, era arredata con mobili dozzinali e scompagnati, e soprattutto era sporca. Il pavimento e il bagno non erano stati lavati da tempo ed erano costellati da macchie sospette. Dopo ripetute proteste, siamo riusciti a ottenere maggiore pulizia, ma abbiamo anche scambiato quattro chiacchiere con la signora che ne era responsabile e siamo venuti a sapere che cinque sole donne devono rigovernare 75 camere, tutte le aree comuni e la piscina, e sono costantemente spronate a fare presto. Per forza se la cavano con un colpo di scopa e via. Gli anonimi investitori che incassano i nostri quattrini e realizzano presumibilmente cospicui profitti non hanno intenzione di investirne una parte assumendo personale in misura adeguata. Come non hanno intenzione di investirne nella manutenzione della struttura. Che ricorda una scadente edilizia popolare. Superfici scrostate e consunte, crepe ovunque, materiali chiaramente di infimo livello che si disfano al sole e all’aria salsa del mare senza che nessuno pensi di porvi rimedio. Non c’è una spiaggia privata e quella pubblica è una discarica di rifiuti. Quando la prima sera ci siamo affacciati al «ristorante» del «tutto compreso», ci siamo resi conto che si tratta di un buffet stile mensa aziendale, in cui quella sera, nel bel mezzo di una universale offerta locale di seafood, il piatto forte era costituito da cannelloni con il ragù. Si dirà che siamo stati sfigati, e parecchio stupidi; e non avremmo in proposito niente da obiettare. Ma non è di questo che voglio parlare; ciò che ho detto finora è servito solo a introdurre il tema. Quando ci siamo (ripetutamente) lamentati della sporcizia della nostra camera, e prima di passare a proteste più vibranti ed efficaci, ci è stato fatto notare che nessuno se ne era mai lamentato prima. Potrebbe essere un’esagerazione, ma tendo a supporre che in generale sia vero. Dalla mattina alla sera, gli ospiti dell’albergo si allineano in modo uniforme, sdraiati intorno alla piscina, e quelli che non dormono maneggiano il telefonino. Con il quale, ne sono convinto, mandano agli amici vicini e lontani dei maledetti social commenti entusiasti sull’esperienza che stanno vivendo, corredati da immagini non dissimili da quelle che in rete avevano tratto in inganno noi. E così arriviamo al punto. C’era una volta il viaggio. Era avventura, era rischio, ed era anche scoperta. Spiazzava, costringeva a fare appello alle proprie risorse, e a crescere nel farlo. In Tristi tropici, Claude Lévi-Strauss dice che, quando sono finiti i viaggi, sono cominciati i libri di viaggio. Il libro fu pubblicato nel 1955, e né l’autore né i lettori originari potevano immaginarsi che cosa ci aspettava. Dopo i libri di viaggio sono arrivati i programmi televisivi, che ti conducono per terre remote senza alzare il culo dal divano; e dulcis in fundo è arrivato Internet. Ci è stato detto che possiamo visitare musei rimanendo a casa, e visitarli anche meglio che andando sul posto, perché vediamo tutto meglio: più da vicino, più nel dettaglio. E, naturalmente, ci è stato detto che nelle terre remote non dobbiamo percorrere gli itinerari fissati da un programma televisivo ma possiamo «personalizzarli» con le risorse digitali: trasformarli in combinazioni assolutamente uniche. Nel momento in cui il pubblico è risultato rimbambito a dovere, è arrivata la prova del nove. Bisognava dimostrare che, anche se quel pubblico si sposta davvero, la realtà non vi influisce. In un mondo ridotto a immagini, continua a pascersi di immagini e a distribuire immagini. Non fotografa i pavimenti sconnessi o i muri anneriti, certo: le immagini devono essere splendide, e se possibile provocare un briciolo di invidia in chi le riceve. Si vive di simulacri, eterni come eterno è il contenuto della rete. La conclusione, per quanto riguarda noi - la nostra particolare coppia, intendo, - è stata paradossalmente positiva. In un ambiente più curato e accogliente, avremmo avuto la tendenza ad assestarci e goderne in modo passivo. Invece, scontenti come eravamo della nostra base, la abbiamo lasciata ogni giorno per una meta diversa, e abbiamo davvero viaggiato per l’isola. Scoprendo talvolta spiagge incontaminate e talvolta grovigli di barche a motore che neanche l’ora di punta a Milano; ma questo è appunto un viaggio. Senza alti e bassi, si finisce nel Paese dei balocchi, e dopo un po’ ci si sveglia con le orecchie d’asino.
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)