
Walter Veltroni spaccia una «memoria condivisa» del missino ucciso dai rossi. Ma nel suo racconto era soltanto un «nero» per caso.Non si può non riconoscere a Walter Veltroni il coraggio di averci provato: sul Corriere della Sera l'ex segretario dem ha dedicato ben due pagine al brutale omicidio di Sergio Ramelli, militante missino a cui un commando di Avanguardia operaia spaccò il cranio a colpi di chiave inglese. Lo assaltarono sotto casa, a tradimento, e lo linciarono: morì dopo quasi 50 giorni di strazio il 29 aprile del 1975. Veltroni lo ha ricordato ieri: un nobile tentativo di creazione di una memoria condivisa. Leggendo il suo articolo, tuttavia, non si può non pensare che questa famigerata «memoria condivisa» sia sempre quella «condivisa» dalla sola sinistra.«Vale la pena usare la memoria», scrive Veltroni, «oggi che vediamo l'odio riemergere sui muri delle case di deportate morte da tempo e impazzare incontrollato su schermi tecnologici e moderni». E già lascia perplessi l'equiparazione tra la violenza politica di cui fu vittima Ramelli e gli atti dementi di chi imbratta i muri o i marciapiedi con simboli nazisti. È già questa una prima, piccola mistificazione: perché l'odio che uccise Ramelli oggi è ancora vivo, ed è molto più diffuso rispetto alla cretineria di chi usa la bomboletta spray per ribadire la propria ignoranza, magari nella speranza di finire sui giornali sfruttando in maniera perversa la psicosi sul «nazismo di ritorno».Ai nostri giorni, almeno per ora, non si contano aggressioni sanguinose ai danni di militanti di destra come negli anni Settanta. Ma le radici ideologiche della violenza che colpì Ramelli ancora adesso pompano linfa nell'organismo macilento di un'intera cultura politica. L'idea che colpire un fascista non sia reato è, a tutt'oggi, viva e vegeta. Che non sia stata eliminata lo si comprende proprio leggendo il testo veltroniano. Walter sembra cercare in tutti i modi di «defascistizzare» Ramelli. Il titolo del suo pezzo è: «Il Ciao e i capelli lungi. Quando Sergio fu ucciso perché era “fascista"». La parola «fascista» è tra virgolette. Perché la caratteristica principale di Ramelli, sembra di capire, era che avesse «i capelli lunghi» e dunque fosse identico a un qualsiasi ragazzo di sinistra. Veltroni cita Pasolini sull'«omologazione» dei giovani degli anni Settanta: «Dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l'edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani». Ma Ramelli - e tanti altri - furono colpiti proprio perché non erano «omologati», e l'edonismo consumista lo rifiutavano. Anche adesso chiunque rifiuti di inchinarsi al pensiero dominante (e, di nuovo, al consumismo imperiale) viene offeso, minacciato, vilipeso.Veltroni ci tiene a ribadire che Ramelli «non era un fanatico», che la sua iscrizione al Fronte della gioventù era recente. Un po' come a dire che le idee di destra non lo avevano ancora contaminato fino in fondo. Nell'articolo Walter cita un amico di infanzia del ragazzo: «Non eravamo di destra, ma non eravamo di sinistra». Poi riprende ancora Pasolini quando spiegava che i giovani di destra «non sono nati per essere fascisti». Il senso del ragionamento di Pasolini è che i giovani di destra non andavano stigmatizzati e non andavano considerati antropologicamente diversi perché si poteva ancora parlare con loro e convincerli a passare a sinistra. Veltroni sembra ribadire lo stesso concetto: Ramelli era solo un ragazzo come tanti, le idee di destra non erano nemmeno così radicate. Si poteva ancora salvarlo, insomma.Questo non è rispetto dell'avversario, accettazione del fatto che esistano idee diverse ma comunque legittime e degne di cittadinanza. La «memoria condivisa» imposta dalla sinistra prevede che esistano idee per definizione «sbagliate», inaccettabili, e altre «giuste», a cui eventualmente si può convertire chi ha scelto il sentiero errato.Eccola, la matrice dell'odio verso la destra. La superiorità morale e intellettuale che, seppure mitigata (come nel caso di Veltroni) sembra inestirpabile. Finché non sarà eliminata, l'odio politico non sarà vinto. La violenza intellettuale di sinistra continuerà a dominare la scena. E infatti, proprio mentre sul Corriere appariva l'articolone di Walter, L'Espresso usciva con una copertina intitolata «Il fascista alla porta» e con un'«inchiesta» surreale in cui, per l'ennesima volta, si mettevano sullo stesso piano gli attentatori come Breivik e i sovranisti italiani. L'Espresso parla di «una spirale di violenza che non sembra sopita. Anzi, negli ultimi tempi è sospinta dal vento nazionalista. Legittimata da leader che hanno messo in cima alla lista nera i migranti». Chiaro: chi vota a destra è un odiatore, dunque merita odio. Salvini e la Meloni, in fondo, sono come lo stragista neozelandese che uccide gli islamici.Questo è l'odio che regna ancora incontrastato. Si fanno titoloni di giornale per le scritte antisemite. E va bene, benissimo. Poi però si fa finta di niente quando i militanti di Fdi vengono aggrediti perché criticano un convegno che nega le foibe. Si continua a invocare la censura per libri e convegni «di destra». Si compilano su illustri giornali liste di proscrizione dei giornalisti sgraditi. Si creano commissioni per limitare la libertà di pensiero. Si tace su scritte e minacce ricevute da esponenti della destra più o meno istituzionale (l'ultimo caso, recentissimo, è avvenuto a Bolzano, ovviamente ignorato dai più).I morti non devono essere «rivendicati, usati per protrarre l'odio», dice Veltroni. Devono restare «uniti nella memoria collettiva». Quale memoria, di grazia? Bene, benissimo ricordare finalmente Ramelli. Ma, purtroppo, i bei gesti veltroniani confermano la sensazione che - oggi come ieri - l'unico destrorso buono sia il destrorso morto.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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