2020-10-20
La sinistra non s’inginocchia mai per le vittime dell’odio islamico
Dopo gli attentati vediamo le solite sfilate con le candele e i «je suis», ma nel resto del tempo a dominare la scena sono le polemiche sull'islamofobia, la discriminazione e il razzismo. E il terrore continua a dilagare.«Anche il nostro Governo faccia sentire la sua voce per la libertà in Bielorussia». Lo ha twittato domenica Laura Boldrini, commossa dalle manifestazioni a Minsk contro Lukashenko. È la stessa Laura Boldrini che, lo scorso 9 giugno, si inginocchiò alla Camera assieme ad altri deputati del Partito democratico per commemorare George Floyd e protestare contro il «razzismo sistemico» che affliggerebbe l'Occidente tutto. Eppure, guarda un po', ora nessuno tra gli illustri progressisti di casa nostra s'inginocchia (o dà vita a simili, plateali manifestazioni) per Samuel Paty, il professore francese decapitato da un musulmano fanatico per aver mostrato le vignette su Maometto di Charlie Hebdo. La sinistra italiana s'appassiona a tutte le cause, si straccia le vesti perché Viktor Orbán prende i «pieni poteri» in Ungheria; s'indigna perché Vladimir Putin domina la Russia con pugno di ferro; s'infuria con Donald Trump per ogni intemerata. Ma nemmeno una volta si sogna di alzare la voce se a commettere un'atrocità è un musulmano oppure, genericamente, un migrante. Si preoccupano, gli illuminati democratici, di controllare gli «spargitori di odio online», ma su chi diffonde odio reale - fatto di lame, carne, sangue e vite distrutte - non emettono un fiato. La Boldrini, giusto per fare un altro esempio, ad agosto è stata tra i firmatari della proposta di legge 2634, riguardante la «promozione della diversità e dell'inclusione nei libri scolastici». Obiettivo del progetto è quello di creare un osservatorio che si occupi di inserire nei testi di scuola l'opportuna dose di propaganda pro gender e pro immigrazione (trascurando il fatto che la gran parte dei manuali scolastici italiani sono già un concentrato di ideologia, di islamofilia e di grottesco buonismo). È facile immaginare che la storia del killer islamico francese - come quella di tanti altri assassini in nome di Allah - non troverà posto nei tomi di educazione civica destinati ai ragazzini. A dirla tutta, le vicende di questo tipo non trovano nemmeno troppo spazio sui media. Se i casi di razzismo (vero e presunto) occupano le prime pagine e gli schermi per giorni e giorni, già ieri su molti quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, lo sgozzamento di Paty era già annegato fra le numerose notizie di cronaca. Certo, oggi rispetto a qualche anno fa si è un po' più risoluti nell'utilizzare la parola «islam», ma la tendenza a sottovalutare rimane, il vizio di scagionare la «religione di pace» aleggia ancora. E mentre intellettuali e giornalisti si distraggono, la politica fa il resto. Ad esempio (lo ha fatto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede) sigla protocolli per la deradicalizzazione dei musulmani in carcere con l'Ucoii, un'associazione islamica che pochi giorni fa ha cercato di minimizzare il rischio terrorismo in Europa. Vero, talvolta qualcuno che s'infiamma c'è. Ieri Ezio Mauro ha scritto un lungo editoriale su Repubblica contro la «sottomissione» culturale nelle scuole francesi. Un segno importante, senza dubbio. Tuttavia questi segni arrivano sempre a massacro compiuto. La battagliera difesa dei «valori d'Occidente» si manifesta dopo che il sangue ha macchiato il terreno, tiene banco un paio di giorni e poi svanisce, lasciando posto alle filippiche sull'accoglienza e i sovranisti che discriminano. In Francia vecchi catenacci rossi come Jean-Luc Mélenchon e Yannick Jadot adesso salgono sul carretto della commozione per l'insegnante ucciso, peccato siano sempre stati tra i primi a tuonare contro l'islamofobia dilagante ogni volta che qualcuno pronunciava la parola jihad. Oltralpe sono anche state organizzate le immancabili sfilate con candele e cartelli tipo «Je suis Paty» o «Je suis prof». Ne abbiamo già viste tante: ricordate «Je suis Charlie»? Ma che cosa è cambiato davvero nel Vecchio Continente? Nulla, in realtà. Al primo posto fra i «pericoli per la democrazia» ci sono sempre il razzismo, il populismo, il sovranismo... La critica al fanatismo è concessa soltanto se rivolta a tutte le religioni, indicate come portatrici di violenza e guerra. Persino parlare dell'atteggiamento aggressivo e violento di un certo islam nei confronti delle donne è diventato pericoloso. Si rischia di venire tacciati di «femonazionalismo», si viene cioè accusati di sfruttare «femminismo e uguaglianza di genere come strumenti al servizio dei discorsi nazionalisti e razzisti», pessima abitudine denunciata da Sarah Farris in un libro che ha suscitato un certo dibattito anche da noi. Oggi il politicamente corretto è più discreto, più sottile, cambia nomi e atteggiamento. Ma è sempre lì, pronto a essere usato per imporre la tirannia delle minoranze. Ed ecco i risultati: se c'è l'islam di mezzo ci si inginocchia soltanto quando si viene decapitati.