2021-02-06
La sfida della Lombardia: «Ristoranti aperti la sera»
La richiesta trova l'ok del viceministro Pierpaolo Sileri ma il Cts dice no, mentre Francesco Boccia non risponde. Eppure è una misura senza senso. Il pasticcio in salsa Boccia è servito; è il giallo della cena in zona gialla. Alla Lombardia che avanza una richiesta, il governo degli affari correnti e con i ministri scontenti neppure risponde. Così il servizio della sera per i ristoranti resta proibito. Continua esasperante il braccio di ferro sui pubblici esercizi e pur in assenza di qualsiasi evidenza scientifica la cena al tavolo resta un miraggio e nel frattempo sono saltati per aria circa la metà dei ristoranti e un terzo dei bar italiani. La Fipe stima una perdita nel 2020 di almeno 38 miliardi di fatturato, le aziende che hanno chiuso per sempre a dicembre erano 90.000 e la botta dei mancati incassi di Natale e Capodanno - per non parlare delle città d'arte e della montagna - ha quasi raddoppiato questa cifra. A riaccendere i riflettori sul dramma di ristoranti, bar e tavole calde che sono insieme allo spettacolo e alle palestre gli unici che ormai da un anno non lavorano è stata la Regione Lombardia. Il presidente Attilio Fontana e l'assessore allo Sviluppo economico della Regione Guido Guidesi - entrambi della Lega - hanno inviato ieri una lettera formale al governo per chiedere che i ristoranti possano riaprire a cena e lavorare fino alle 22 quando scatta ancora il coprifuoco. Fontana e Guidesi per appoggiare questa richiesta dicono in sostanza all'esecutivo: guardate che i dati dell'osservatorio epidemiologico disegnano un quadro che è compatibile con la riapertura dei locali. Si intraprenda - chiedono - «ogni utile azione affinché sia concesso al mondo della ristorazione questa ulteriore facoltà, nel rispetto, ovviamente, delle misure di contenimento e contrasto dell'epidemia». Dunque niente fughe in avanti, ma la ferma esortazione a guardare in faccia la realtà. E a stretto giro il vicepresidente e assessore al Welfare, Letizia Moratti, si accoda e chiede di riaprire anche cinema e teatri, nel rispetto delle regole e entro il coprifuoco delle 22. Un film, si potrebbe dire, già visto, come quando la Lombardia ha chiesto di uscire dalla zona rossa perché i dati che la «condannavano» erano parziali e sbagliati. Peraltro lo stesso viceministro alla Salute, il pentastellato «critico», Pierpaolo Sileri, nei giorni scorsi aveva affermato e lo ha ribadito ieri: «Lo sostengo da molti mesi, credo che i ristoranti possano essere riaperti, in zona gialla, in sicurezza e con controlli rigidi fino alle 22». E così si è fatta strada l'ipotesi che anche per salutare l'arrivo di Mario Draghi, che ha già posto l'accento sull'urgenza di mettere mano alla difficilissima situazione economica in cui versa l'Italia, ci si potesse attovagliare anche la sera. Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, si è affiancato alla Lombardia facendo trapelare che dal Cts (il mitologico Comitato tecnico scientifico che tutto può e nulla spiega in fatto di virus cinese) erano pronti a il via libera alla cena in zona gialla e il Corriere della Sera lo dava per certo. Invece - senza che il ministro per le Regioni, Francesco Boccia, detto lo sceriffo del Pd, si degnasse neppure di una risposta - è arrivata la secca la nota stampa dei saggi del virus cinese: «Non c'è alcun via libera del Comitato tecnico scientifico alla riapertura della ristorazione nelle zone e negli orari che attualmente ne prevedono la chiusura». Al buon Sileri che rincarava «sicuramente per le zone gialle credo che l'indirizzo sarà quello di tenere i ristoranti aperti la sera», il Cts ha duramente risposto: «Anzi nel verbale del 26 gennaio vi sono indicate alcune considerazioni sul rafforzamento delle misure restrittive adeguandole alle caratteristiche strutturali dei locali e della tipologia del servizio reso». Come dire: cari ristoratori vi avevamo detto di sanificare, distanziare e di spenderci dei soldi? Ebbene non basta. Per stare chiusi dovete adeguare ancora di più le misure di sicurezza. Fontana e Guidesi hanno lanciato il loro appello sottolineando che «è importante prendere la decisione di riaprire i ristoranti al di là della crisi politica in relazione alla situazione di estrema emergenza in cui versa una intera categoria», che peraltro è il terminale di un settore - quello dell'agroalimentare - che vale un quarto del Pil italiano. La misura davvero colma è la pazienza dei ristoratori. Dice Francesco Cerea - Da Vittorio a Brusaporto, 3 stelle Michelin: «È un anno che ci tengono sull'altalena, così non si può andare avanti, credo che abbiano deciso di colpire la Lombardia nonostante sia la locomotiva economica. Abbiamo tirato avanti con l'asporto, ma non è dignitoso per la storia e la qualità del nostro lavoro e non è economicamente sostenibile». Luca Vissani - maître e figlio di Gianfranco il cuoco più famoso d'Italia che da mesi guida la protesta dei ristoranti - aggiunge due considerazioni: «È ovvio che i ristornati di qualità che stanno in provincia devono per forza stare chiusi, ma anche in città soffrono tutti. Questa però è storia vecchia: ora ci sono due nuovi problemi. Il primo è che con il reddito di cittadinanza noi non troveremo più manodopera se mai dovessimo ripartire; quella qualificata ormai è dispersa e quella che si dovrebbe formare non trova conveniente lavorare finché c'è il sussidio, ma il secondo aspetto è ancora più grave. Con la decisione dell'Europa di dichiarare pericolosi il vino, i salumi, la carne viene allo scoperto il gioco: vogliono distruggere la tradizione gastronomica, la cultura del nostro cibo, il lavoro degli artigiani per fare spazio alle multinazionali del food. E questo continuo richiamo all'Europa dei nostri governanti è la prova che vogliono penalizzare i ristoranti per far cambiare il mercato dell'alimentare». Se le cose stanno così è difficile da dire, una cosa però è sicura: né le trattative né i festeggiamenti per Mario Draghi a palazzo Chigi si potranno fare a cena.
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.