
L'addio, minacciato ma sempre rimandato con le scuse più varie, finora è stato usato dal Rottamatore per accaparrarsi poltrone. Nicola Zingaretti, dopo aver diviso le truppe del Bullo dando il ministero della Difesa a Lorenzo Guerini, vuole fargli mettere le carte in tavola.Scissione sì, scissione no, scissione forse. A metà pomeriggio, una fonte molto importante del Nazareno mi dice, sorridendo delle continue voci che danno i renziani sull'uscio di casa, pronti a traslocare: «Prova per un attimo a cambiare punto di vista. E se la scissione così tante volte annunciata fosse ormai solo un bluff?». È un esercizio interessante, ma bisogna provare a capire cosa significa.Da mesi, infatti, il tormentone della imminente divisione nel Pd - alimentata da dichiarazioni calcolate ad arte, mezze parole, indiscrezioni e annunci - riappare carsicamente nel dibattito politico. È accaduto anche ieri, e probabilmente accadrà anche domani. Solo che ogni volta la linea temporale in cui questo progetto dovrebbe collocarsi si sposta inesorabilmente in avanti. La prima volta Matteo Renzi fece circolare la voce che se ne andava prima delle europee, per potersi contare meglio nelle urne. Poi però i sondaggi sulla consistenza di un partito autonomo dell'ex premier erano disperanti (Swg non lo ha mai quotato sopra il 4%), e la voce dell'uscita imminente venne post datata a dopo il voto. «Ce ne andiamo dopo le europee» - dicevano a mezza bocca i renziani - e anche in questo modo, l'uomo di Rignano ottenne una candidatura molto pesante per Strasburgo (la capolista Simona Bonafè). E persino un secondo candidato piazzato - Nicola Danti - che nella battaglia delle preferenze è andato bene, arrivando subito dopo Roberto Gualtieri, ultimo degli eletti nel Lazio (con certezza di entrare in caso di dimissioni). Poi è esplosa la crisi del governo gialloblù e la posizione della corrente era questa: ce ne andiamo se fanno l'accordo con il Movimento 5 stelle. Poi c'è stata la svolta di Renzi, favorevole all'accordo, e non se ne è fatto nulla: restiamo perché è un'operazione nostra (ma Renzi chiedeva solo un governo di scopo di pochi mesi). Poi il tam tam, alimentato ad arte, ha iniziato a battere questo nuovo messaggio: nascono i gruppi parlamentari autonomi prima della formazione di un nuovo governo, per acquisire maggiore peso contrattuale. Ma i gruppi non sono nati neanche allora. Venerdì, nuovo cannoneggiamento sapiente, nuove dichiarazioni di guerra, e un nuovo casus belli: siamo indignati per l'assenza di sottosegretari toscani. Come se la toscanità fosse sinonimo dell'appartenenza alla corrente del premier. Non è un caso che ieri sia partito il fuoco di contraerea: «Bisogna allearsi alle regionali con i 5 stelle. Ma l'idea di una divisione da, o di Renzi», spiegava il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, «è folle. Tornare a Ds e Margherita, come alcuni nel Partito democratico immaginano da tempo, sarebbe la fine del Pd e forse anche del nuovo governo». E sulla stessa lunghezza d'onda c'era Andrea Orlando: «Il Pd deve discutere su come risolvere i problemi del Paese governando, non dividendosi». Così bisogna provare a porsi questa domanda: se fosse davvero un bluff, a cosa potrebbe servire?Prima risposta: a guadagnare peso contrattuale in un momento di grande difficoltà. Alla fine Renzi ha ottenuto due ministeri (l'Agricoltura e la Famiglia) e due sottosegretari (Anna Ascani e Ivan Scalfarotto). Questo perché, ormai, la sua corrente ha perso dei pezzi importanti. Il primo a mettersi in proprio è stato il neo ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha traslocato le sue truppe nei più comodi lidi della maggioranza zingarettiana. Guerini ha trattato, e bene, anche per coloro che lo hanno seguito, strappando tre sottosegretari: Alessia Morani, Simona Malpezzi e Salvatore Margiotta. Notare la sofisticata perfidia di Nicola Zingaretti, uomo che conosce molto bene le macchine politiche. A Base riformista, l'area che ormai sta tutta con Guerini, ha fatto avere una poltrona in più: premiare i renziani ravveduti, per punire gli irriducibili. Ed ecco il tema del bluff: non sei uscito prima delle europee, non sei uscito dopo le europee, non sei uscito prima del governo, e forse non esci dopo, e probabilmente non esci nemmeno fino alla Leopolda, perché quando poi alla fine ti conti, potresti scoprire di non avere alle tue spalle i numeri che pensi di avere. Senza contare il problema più grande: fuori dal Pd, ormai da giorni, sta nascendo intorno a Carlo Calenda e a Emma Bonino l'embrione di un partito. Il guaio, per Renzi, è che nessuno di questi due soci promotori lo vede con simpatia. Emma Bonino ruppe con lui, prima delle elezioni, sui temi dell'immigrazione. Calenda lo ha fatto prima, durante, e dopo, e si spinge fino a dire esplicitamente: «Le porte si sono aperte per tutti, ma sono chiuse per Matteo. Non per un problema personale, ma per una esigenza di linearità politica: troppe giravolte, troppe furbizia, troppi pasticci. Siamo europei si sta aggregando su una linea di chiarezza se c'è lui non ci posso essere io». Il che, per l'uomo di Rignano è un bel problema: ha raccolto i soldi, ha convocato una Leopolda, ha pensato a una mossa spericolata, ha accarezzato il sogno di costruire una propria milizia in Parlamento, ma adesso si trova chiuso da una insidiosa manovra a tenaglia: eroso dai gueriniani dentro il Pd, con la strada sbarrata fuori dal Pd nella corsa verso il centro, con la base della sua corrente che chiede da lui un'altra grande mossa, e i quadri che mal sopportano l'idea di abbandonare il grande e caldo ventre del partito. E che adesso, quando vengono sondati, ripetono il nuovo mantra: «Io resto a fare da pungolo da dentro». Che poi è un modo più elegante per dire: se lo fai non ti seguo. Se è un bluff, lo scopriremo alla Leopolda dal 18 al 20 ottobre. Se è un bluff serve a evitare di contarsi e poi scoprire di essere meno del previsto.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.
2025-11-07
Dimmi La Verità | Giovanni Maiorano (Fdi): «Una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine»
Ecco #DimmiLaVerità del 7 novembre 2025. Il deputato di Fdi Giovanni Maiorano illustra una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine.
Il governatore: «Milano-Cortina 2026 sarà un laboratorio di metodo. Dalle Olimpiadi eredità durature per i territori».
«Ci siamo. Anzi, ghe sem, come si dice da queste parti». Con queste parole il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha aperto l’evento La Lombardia al centro della sfida olimpica, organizzato oggi a Palazzo Lombardia per fare il punto sulla corsa verso i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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