2020-05-20
La sanatoria truffa non è sufficiente. Vogliono far fuori i decreti Sicurezza
La regolarizzazione dei migranti non servirà all'agricoltura, ma Teresa Bellanova già pensa a peggiorarla: «In Parlamento allarghiamola a edilizia e logistica». E Luciana Lamorgese torna alla carica: via le leggi di Matteo Salvini. Hanno fatto tutto per le fragole, o almeno così vogliono farci credere. La sanatoria (anzi il condono) per i clandestini origina da lì. Teresa Bellanova, che sappiamo essere facile alla commozione, ha visto i bei frutti rossi gonfi di succo abbandonati nei campi, e le si è spezzato il cuore. «Se oggi le fragole le paghiamo di più non è per una pratica sleale ma perché se ne raccolgono meno, non ci sono persone sufficienti per la raccolta. Un rischio che avremo anche per le prossime raccolte a partire dalle albicocche», ha detto un paio di giorni fa. E allora forza, salviamo il soldato Albicocca, è questione di ore, anzi di minuti. Però così qualcosa non torna. Dall'ultimo consiglio dei ministri che ha partorito la regolarizzazione sono passati ben sette giorni: tempo di una strage di fragole, altroché. A parte la infinita attesa prima dell'approdo in Gazzetta ufficiale, la sanatoria presenta almeno un'altra stranezza riguardo i tempi. Gli stranieri potranno regolarizzarsi fino al 15 luglio: quante albicocche marciranno nel frattempo? Non che ci fosse bisogno di ulteriori prove a sostegno del fatto che le necessità del settore agricolo siano solo una scusa. Sappiamo ormai che di cittadini italiani disponibili a lavorare nel settore sarebbe stato possibile reclutarne parecchi, e in fretta. Sarebbe bastato soltanto mettere a disposizione delle aziende gli strumenti adeguati. Invece si è preferito ricorrere ai migranti, come se lavorare la terra fosse cosa disonorevole, roba da schiavi. Comunque sia, la partita sui clandestini non è ancora finita. Ora il decreto contenente la sanatoria dovrà passare al vaglio del Parlamento. È da escludere, tuttavia, che ci siano sorprese (positive): l'accordo tra le forze di maggioranza è stato siglato con le lacrime della Bellanova, tornare indietro sarebbe sostanzialmente impossibile. È possibile, invece, che la norma venga ulteriormente peggiorata. Non sono in pochi, infatti, a volerne ampliare la portata. Ieri, a Napoli, hanno protestato i centri sociali, parlando di una regolarizzazione truffaldina. Gli antagonisti, su un punto, hanno in parte ragione. «Il provvedimento», dicono, «si dimostra essere molto simile alla sanatoria del 2009 varata dall'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni, una sanatoria che generò un giro di truffe di qualche decina di milioni d'euro». Il rischio che un bel po' di gente ne approfitti è più che concreto, e pure l'estrema sinistra se ne rende conto. C'è poi un'altra critica avanzata dai centri sociali: «Il permesso di soggiorno promesso dalle ministre Bellanova e Lamorgese esclude diverse categorie lavorative, ha una durata irragionevole di 6 mesi». Ecco, su questo punto i due ministri dell'Agricoltura e dell'Interno sono particolarmente sensibili, anche perché a lamentarsi non sono solo gli antagonisti, ma anche varie altre organizzazioni immigrazioniste. Bellanova&Lamorgese, dunque, stanno già pensando di correre ai ripari. La prima, parlando a Radio Uno, ha dichiarato: «Io avrei esteso la regolarizzazione anche ai lavoratori dell'edilizia, dove c'è un caporalato altrettanto violento, così come nella logistica. Su questo c'è stata un'opposizione delle altre forze politiche». Nulla è perduto, però: «Io spero si possa recuperare nel percorso parlamentare», ha aggiunto la Bellanova. «Perché noi dobbiamo riconoscere a tutte le persone che sono in Italia e che lavorano in nero la possibilità di lavorare in modo regolare. Il caporalato indebolisce i lavoratori italiani perché l'impresa malata schiaccia quella sana». Insomma, una volta tanto che una legge si degna di Passare dal Parlamento, se ne può approfittare per peggiorarla ulteriormente, allargando la platea degli schiavi da assoldare. Il che è piuttosto curioso: la Bellanova, infatti, fa parte di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. Cioè lo stesso Renzi che, nel 2017 (allora stava nel Pd) dichiarò a proposito degli immigrati: «Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». Certo che dare a tutti il permesso di soggiorno è un ottimo modo di aiutare gli stranieri a casa loro. Subito a ruota, ecco arrivare la Lamorgese. Ieri, in un'intervista a Repubblica, la responsabile del Viminale ha ripescato l'ormai annosa questione dei decreti Sicurezza. A quanto risulta, la sua ferma intenzione sarebbe quella di modificarli, cioè di cancellarli: «Il lavoro svolto fino a febbraio qui al Viminale per predisporre un testo», ha detto il ministro, «non andrà certo perduto. Spetta ora alle forze di maggioranza e al governo decidere tempi e modalità per riprendere in mano anche questo tema». Ma certo, considerato l'aumento degli approdi di stranieri non c'è nulla di meglio da fare che togliere di mezzo l'unica ragionevole forma di autodifesa esistente. Tanto per citare qualche cifra, al 19 maggio di un anno fa gli arrivi erano stati 1.265. Ieri erano già 4.307. Niente male, come risultato. Vedremo poi cosa accadrà nelle prossime settimane, con il peggioramento delle condizioni in Libia e l'arrivo della stagione estiva. Matteo Salvini intanto annuncia battaglia: «Vogliono cambiare i miei decreti? E noi li fermeremo grazie all'aiuto, alle firme, al voto e all'orgoglio degli italiani, che questo governo non ascolta. Anche per questo il 2 giugno porteremo il Tricolore in 100 piazze, da Nord a Sud». In effetti, il sospetto che ci siano tanti italiani non esattamente entusiasti della sanatoria sorge. Ma al governo sembra non interessare. Si vede che gli esponenti dell'esecutivo, quando parlano di «ripresa» intendono la ripresa degli sbarchi.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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