2021-08-08
La rosa cinese, sempre in fiore e senza spine
Coltivata nel Paese asiatico fin dal 500, la varietà «Banksiae» fu scoperta nel XIX secolo da Joseph Banks e importata in Europa In Italia trovò sistemazione nelle ville signorili. Rampicante e molto resistente, è spesso usata per creare pergolati o gazebiLe rose campestri e spontanee sono sempre piaciute ai poeti, basti pensare a questi versi di Issa Kobayashi, uno dei quattro maestri dell’haiku giapponese: «Circondata da una siepe / di rose selvatiche / la mia casa in montagna». Oppure possiamo rinverdire uno dei nostri vati nazionali, Giovanni Pascoli: «Rosa di macchia, che dall’irta rama / vedi non vista a quella montanina, / che stornellando passa e che ti chiama / rosa canina». Le rose sono piante fiorite che mantengono una certa rusticità: il vigore che le caratterizza, gli arbusti che si raddoppiano o triplicano da una stagione all’altra, le potature severe sanate e anzi dimenticate, le nuove fioriture. Quindi è abbastanza spontaneo immaginarsele in ambienti rurali, cascine o roccoli o baite, arrampicarsi lungo una muretto, su una pergola, o sbocciare in radiosi arbusti densi di colore, quanto nei giardini delle case di scrittori di altri tempi, come un Walt Whitman, come una Emily Dickinson, come i coniugi Woolf, Leonard e Virginia, o addirittura capovolgendoci nei secoli come una Saffo. Emily Dickinson si immedesimò proprio in una rosa, in un celebre componimento, And I’m a rose, Ed io sono una rosa:A sepal, petal, and a thorn/ Upon a common summer's morn/ A flash of dew, a bee or two, A breeze A caper in the trees, - And I'm a rose!Un sepalo, un petalo, e una spina/ in un comune mattino d’estate/ un fiasco di rugiada, un’ape o due/ una brezza/ una capriola in mezzo agli alberi - ed io sono una rosa!Le domeniche scorse abbiamo visto come alcune delle rose più antiche del pianeta siano sbocciate nei territori dell’impero celeste, la Cina; gli studiosi tendono a connotare i diversi periodi storici anche nel rapporto con la coltivazione delle rose, la cui capostipite, la Rosa chinensis, fioriva in natura ben prima che nascessero le prime città e i primi grandi palazzi e, ovviamente, ben prima che ricevesse un nome dagli umani. Ai tempi delle prime dinastie ci si limitava a raccoglierne i fiori, ma è sotto i Tang (618-907 d.C.) che le rose iniziano ad essere trapiantate e coltivate; questa, come sappiamo, è stata l’epoca in cui la famiglia regnante ha momentaneamente abbandonato il confucianesimo ed elevato a filosofia e religione di stato il taoismo, alimentando una fioritura artistica senza precedenti, tanto che alcuni dei più noti poeti della storia cinese vivranno proprio in questo periodo: Tu Fu, Li Po (o Li Bai) e Wang Wei ne sono tre clamorosi esempi. In seguito, fra l’XI ed il XVI secolo, iniziano le selezioni, gli innesti, le ibridazioni, l’abbellimento sistematico dei giardini. Nel Seicento un appassionato incrocia questa rosa con una varietà che produce fiori molto grandi, la Rosa gigantea, avviando la fortuna di una serie di rose che raggiungono le civiltà europee nel corso del XVIII secolo; da allora vengono perfezionate decine di varietà che si adattano ai nostri climi e terreni, quelle che comunemente vengono chiamate Tea Roses, le rose del tè. Ne sono esempi la Old Blush, la Mutabilis, la Sanguinea, la Hermosa, ottenute nei vivai inglesi, italiani e francesi tra Ottocento e prima metà del XX. Si crede che le rose cinese siano comunque state oggetto di commerci anche ai tempi dell’impero romano quanto nelle stagioni delle Repubbliche marinare. Le rose cinesi sono piante che si adattano a terreni asciutti e siccitosi, producono molti rami sottili, foglie piccole e fioriture abbondanti, che coprono diverse stagioni, tanto che nella letteratura cinese si favoleggiava di una rosa mensile, detta Yueji, capace di sbocciare una volta al mese per l’intera durata dell’anno, e proprio grazie a questo prodigio vegetale veniva chiamata fiore o rosa della primavera eterna. In verità le rose cinesi agresti fioriscono prima di altre rose e manifestano una fioritura persistente ma niente miracoli. La classica rosa cinese ha boccioli piccoli con cinque petali rossi o magenta, ma le specie derivate oggi mostrano sfumature diverse, dal rosa pallido al giallo al bordeaux. Non è facilissimo vederle nei nostri giardini, visto anche il successo delle rose inglesi, delle rifiorenti, di varietà molto richieste, come le Iceberg, le Cristoforo Colombo, le alba, le galliche o French roses. Una loro caratteristica essenziale è che sono senza spine. Queste rose vengono definite sarmentose, poiché rampicanti e capaci di produrre lunghe ramificazioni, veri e propri tralci, che possono raggiungere i dieci metri. Una varietà fortunata è stata la cosiddetta rosa di Banks (Rosa Banksiae), dal suo importatore, il botanico Joseph Banks, accompagnatore scientifico del primo viaggio di James Cook, laddove scoprì e importò diverse specie di piante, oltre a lasciarsi dietro nomi e classificazioni, in seguito direttore della Royal Society per ben 42 anni. Le rose di Banks crescevano in Cina da diverso tempo, il celebre botanico ne importò una varietà nel 1807, aveva fiori doppi e bianchi, mentre una diversa varietà, a fiori semplici, era già stata importata sul finire del secolo precedente in Scozia. La fortuna di un fiore può dipendere anche da chi lo importa e dove questo fiore viene diffuso, e infatti Banks fece piantare le sue rose nei giardini reali Kew dove divenne un’attrazione, mentre Robert Drummond, in Scozia, non fece notizia poiché il fiore non ebbe quella ricca fioritura che aveva in patria, a causa di un clima più rigido. Le mode d’altronde si lanciano quando molti occhi possono apprezzarne la novità. In Italia le rose di Banks hanno trovato sistemazione in diverse ville signorili, come ad esempio nei giardini botanici della Mortola o di Villa Orengo, a Ventimiglia, i giardini fondati da Thomas e Daniel Hanbury, dove vengono attestate già nel 1870. Molto diffuse la varietà Lutea, capace di produrre una vera e propria cascata di fiori doppi e gialli, e la alba plena, fiori doppi a pompon.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Giornata cruciale per le relazioni economiche tra Italia e Arabia Saudita. Nel quadro del Forum Imprenditoriale Italia–Arabia Saudita, che oggi riunisce a Riyad istituzioni e imprese dei due Paesi, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Simest e la Camera di commercio italo-araba (Jiacc) hanno firmato un Memorandum of Understanding volto a rafforzare la cooperazione industriale e commerciale con il mondo arabo. Contestualmente, Simest ha inaugurato la sua nuova antenna nella capitale saudita, alla presenza del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.
L’accordo tra Cdp, Simest e Jiacc – sottoscritto alla presenza di Tajani e del ministro degli Investimenti saudita Khalid A. Al Falih – punta a costruire un canale stabile di collaborazione tra imprese italiane e aziende dei Paesi arabi, con particolare attenzione alle opportunità offerte dal mercato saudita. L’obiettivo è facilitare l’accesso delle aziende italiane ai mega-programmi legati alla Vision 2030 e promuovere partnership industriali e commerciali ad alto valore aggiunto.
Il Memorandum prevede iniziative congiunte in quattro aree chiave: business matching, attività di informazione e orientamento ai mercati arabi, eventi e missioni dedicate, e supporto ai processi di internazionalizzazione. «Questo accordo consolida l’impegno di Simest nel supportare l’espansione delle Pmi italiane in un’area strategica e in forte crescita», ha commentato il presidente di Simest, Vittorio De Pedys, sottolineando come la collaborazione con Cdp e Jiacc permetterà di offrire accompagnamento, informazione e strumenti finanziari mirati.
Parallelamente, sempre a Riyad, si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo presidio SIMEST, inaugurato dal ministro Tajani insieme al presidente De Pedys e all’amministratore delegato Regina Corradini D’Arienzo. L’antenna nasce per fornire assistenza diretta alle imprese italiane impegnate nei percorsi di ingresso e consolidamento in uno dei mercati più dinamici al mondo, in un Medio Oriente considerato sempre più strategico per la crescita internazionale dell’Italia.
L’Arabia Saudita, al centro di una fase di profonda trasformazione economica, ospita già numerose aziende italiane attive in settori quali infrastrutture, automotive, trasporti sostenibili, edilizia, farmaceutico-medicale, alta tecnologia, agritech, cultura e sport. «L’apertura dell’antenna di Riyad rappresenta un passo decisivo nel rafforzamento della nostra presenza a fianco delle imprese italiane, con un’attenzione particolare alle Pmi», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. Un presidio che, ha aggiunto, opererà in stretto coordinamento con la Farnesina, Cdp, Sace, Ice, la Camera di Commercio, Confindustria e l’Ambasciata italiana, con l’obiettivo di facilitare investimenti e cogliere le opportunità offerte dall’economia saudita, anche in settori in cui la filiera italiana sta affrontando difficoltà, come la moda.
Le due iniziative – il Memorandum e l’apertura dell’antenna – rafforzano dunque la presenza del Sistema Italia in una delle aree più strategiche del panorama globale, con l’ambizione di trasformare le opportunità della Vision 2030 in collaborazioni concrete per le imprese italiane.
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