2021-08-16
Tutti i buchi neri tra Pakistan, Qatar e Iran con cui i talebani si finanziano
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Armi, denaro, addestramento militare e sponsor esterni. I talebani godono di una rete di amicizie - più o meno velate - che assicurano loro i mezzi necessari a sgominare le forze governative afghane.Forze che in questi giorni stanno cedendo i maggiori capoluoghi dell'Afghanistan, a volte senza neanche provare a resistere. La rete dei finanziamenti e delle forniture militari è ormai nota e passa principalmente attraverso i Paesi che ospitano le varie shure talebane, in una guerra «per procura» nella quale gli attori internazionali sono innumerevoli. Lungi dall'essere un gruppo monolitico, infatti, i talebani sono frazionati e seguono le direttive dei Paesi che li appoggiano. I diversi centri di potere (shure) che costituiscono la realtà talebana fanno riferimento a differenti finanziatori «esterni»: Pakistan, Iran, Cina, Russia. Quando occorre, si coalizzano per partire nella battaglia per il ritorno al potere, come in questi giorni tragici per l'Afghanistan.La shura indubbiamente più influente nella spinta alla lotta armata è quella di Quetta, in Pakistan. Si tratta della «vecchia guardia», degli esponenti dell'Emirato islamico rovesciato dagli Usa nel 2001: hanno un rapporto stretto con il Pakistan che li ha accolti in quella occasione e godono dei suoi finanziamenti. I talebani vengono addestrati principalmente nel campo della stessa città, poi, attraverso i confini con l'Afghanistan, vanno a combattere il jihad. Il governo pakistano vede e non interviene. In alcune moschee di Peshawar, dove opera la seconda shura (quella, appunto, di Peshawar) vengono raccolti fondi per il sostegno alla causa dei talebani e i fedeli che dovessero rifiutare di versare un'offerta a ciò destinata vengono schedati, finendo spesso vittime di ritorsioni. Il flusso di denaro non è quantificabile, essendo ovviamente non ufficiale, ma diversi studi dimostrano che si parla di milioni di dollari. Infine c'è, sempre per il Pakistan, la shura Haqqani, una tra le più strettamente connesse coi finanziamenti internazionali. A fronte di questa realtà evidente e che, a sua volta, gode della connivenza di altri attori a livello globale, i giovani afghani hanno lanciato sui social l'hashtag «#sanctionPakistan», per chiedere all'Onu di fermare il flusso di armi e terrore tra il Pakistan e l'Afghanistan.Un discorso a parte merita la quarta shura, che ha sede in Iran. La shura di Mashad, inizialmente, doveva essere l'ufficio politico di quella di Quetta. In seguito a una serie di vicende (che hanno portato poi a dare sede in Qatar, a Doha, dove si sono svolti i fallimentari negoziati Usa, all'ufficio politico), è riuscita a rendersi indipendente e a crescere parecchio, grazie ai finanziamenti iraniani. Non devono dunque sorprendere i frequenti spostamenti, spesso segreti ma qualche volta anche pubblici, dei comandanti talebani in direzione di Teheran o di Mashad, come anche verso il consolato iraniano di Quetta. Quanto alle armi, i militari afghani, quando ancora lottavano al fianco della Nato, hanno più volte riferito che gli equipaggiamenti sottratti ai talebani sono molto moderni e costosi. La maggior parte è di produzione pakistana, iraniana e russa, anche se c'è da specificare che esiste un mercato clandestino delle armi al confine con il Pakistan, quindi non ci sono prove che gli armamenti vengano forniti in modo diretto ai combattenti da questi Paesi. Negli ultimi giorni, però, abbiamo visto tutti le immagini di talebani che imbracciano armi made in Usa. Si suppone siano i mezzi sottratti all'esercito afghano in fuga. Anche veicoli corazzati americani, camion Navistar International e mezzi di artiglieria pesante sono in mano ai talebani.A fronte di tutto questo, i componenti dell'esercito afghano capitolano senza neanche combattere, in alcuni casi. Addestrati dalle Forze Nato durante la missione «Resolute support», sembrano non aver voglia di morire per il loro Paese. Certamente sono orfani dell'appoggio aereo degli Usa, ma in molti casi i veri difensori delle città sono stati gli uomini di signori della guerra, come quelli di Ismail Khan a Herat. Gli Usa mostrano irritazione, su questo punto. «L'esercito di Kabul ha i mezzi per vincere», dicono dal Pentagono. Tra uomini presenti solo sulla carta (350.000, ufficialmente, ma in realtà non è dato sapere), sfiducia dovuta all'idea che l'avanzata dei talebani sia inarrestabile e defezioni in stile otto settembre italiano, le forze armate afghane soccombono a una velocità impressionante e sulla quale in futuro si dovrà riflettere.
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