2019-06-08
Il mercato dei giudici? Colpa di Renzi. Noi l'avevamo svelato cinque anni fa
Il 20 giugno del 2014 denunciammo il disegno dell'allora neo premier per mettere le mani sulla magistratura: infilare uomini fidati nel Csm e abbassare l'età pensionabile per far nominare procuratori graditi. Nessuno fiatò. E lui portò a termine il suo piano. Oggi l'ex procuratore Franco Roberti, eletto in Parlamento proprio con i dem, punta il dito sul disegno renziano per controllare la giustizia. Ed esorta i compagni: «Prendere le distanze da chi manovra sulle nomine».Ci voleva l'ex procuratore nazionale antimafia, oggi deputato del Pd, per rimettere le cose a posto nel cosiddetto caso Palamara. Franco Roberti, magistrato di lunga esperienza, con un post su Facebook e senza troppi giri di parole ha detto quello che tutti sanno, ma che fingono di non vedere, preferendo il silenzio alla denuncia. Lascio la parola direttamente all'ex numero uno della Procura anti-cosche. «Nel 2014 il governo Renzi, all'apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l'età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse». Non si può dire che già nella premessa Roberti non parli chiaro, ma guardiamo quali sarebbero stati i due obiettivi dell'ex presidente del Consiglio. Primo: «Liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia dell'indipendenza dei magistrati dalla politica)». Chiaro il concetto? Roberti rivela che l'allora capo del governo decapitò per decreto i vertici della magistratura, mandandoli in pensione per poter far posto a uomini nuovi, in qualche caso molto vicini al governo. Secondo obiettivo: «Tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili" di alcuni loro arcigni predecessori verso il sistema politico». Qui l'ex capo della Procura antimafia è ancora più esplicito: Renzi mandò in pensione i vertici dei tribunali per rimpiazzarli con persone che, a suo parere, fossero più malleabili, cioè si potessero condizionare. Continuo con il racconto messo nero su bianco dallo stesso Roberti. «Il disegno è almeno in parte riuscito, perché da allora, mentre il Csm si affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della “decapitazione" (siccome le toghe in Italia sono 10.000 vuol dire che il turn over riguardava il 10% di tutti i magistrati, ndr), si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle Procure. Il caso Palamara ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell'iceberg. Chiedo alla libera informazione (sperando che esista ancora) di non perdere l'attenzione su questo scandalo». Chapeau. Di solito cane non mangia cane, ma Roberti, che non conosco, non si è tirato indietro, rinunciando per quieto vivere alla denuncia. Anzi, per concludere si è rivolto anche al partito che lo ha portato in Parlamento e del quale alcuni suoi esponenti in questi giorni sono stati spesso citati per le cene notturne in cui si sarebbe decisa la spartizione delle nomine. «Chiedo al Partito democratico, finora silente, di prendere una posizione netta e inequivocabile di condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda, i cui comportamenti diretti a manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone sono assolutamente certi, se vuole essere credibile nella sua proposta di rinnovamento e di difesa dello stato costituzionale di diritto dall'aggressione leghista». Insomma, l'ex pezzo da novanta della magistratura - che come si vede non può certo essere tacciato di essere sovranista - sta dicendo senza ipocrisia che tutto ciò che abbiamo sotto gli occhi, ovvero il mercato delle vacche nella scelta dei vertici della magistratura, ha un'origine e dei responsabili, il principale dei quali si chiama Matteo Renzi. Inutile fingere indignazione dopo aver scoperto che due petali del Giglio magico si riunivano la sera con dei membri del Csm per decidere chi mettere alla guida del più importante ufficio giudiziario del Paese. Si sapeva che la politica, grazie a Renzi, era riuscita a mettere le mani sulla magistratura e ve ne do prova.Il 20 giugno 2014, primo anno di grazia del regno del Rottamatore, sulla prima pagina del giornale che allora dirigevo, Libero, uscì un articolo il cui titolo occupava tutta la prima pagina: «Il piano del premier: le tre mosse di Renzi per prendersi i giudici». In esso Giacomo Amadori riferiva di un progetto di riforma della giustizia che sarebbe passato attraverso la riorganizzazione dei tribunali dal punto di vista amministrativo. «Peccato», si leggeva nelle prime righe, «che le nuove norme contenute nel decreto legge sulla pubblica amministrazione abbiano un solo obiettivo: occupare manu militari il potere giudiziario come neanche nella Corea del Nord». Nell'articolo si parlava esattamente di ciò di cui parla ora Roberti, ovvero del prepensionamento di centinaia di giudici e procuratori, un ricambio generazionale che, per effetto delle proteste, non fu immediato, ma slittò di qualche anno. Tuttavia Renzi, dopo aver approvato per decreto la cacciata dei magistrati più anziani con la scusa del rinnovamento, attuò la seconda parte del suo piano, nominando cinque membri laici e il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. «Sarà questo Csm “matteizzato" a scegliere i nuovi procuratori e presidenti di tribunale», scrisse Amadori, il quale, riportando alcuni commenti registrati fra le toghe, aggiungeva: si tratta di «un piano che alcuni magistrati non allineati considerano scellerato». Adesso i politici, del Pd, fanno finta di scandalizzarsi e lo stesso fanno molti magistrati, i quali sembrano verginelle stupefatte di fronte allo scandalo delle nomine notturne. Ma la realtà era già stata scritta. Del resto, in privato, lo stesso Renzi dichiarava, senza imbarazzo, di voler fare una riforma della giustizia alla Berlusconi. Il problema è che lui, essendo di sinistra, ci è riuscito, il Cavaliere no.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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