2025-06-21
Sotto la Pergola non ci sono più soldi. Dem colpevoli, ma fanno la commedia
Il teatro fiorentino rischia di perdere la qualifica «nazionale». Il direttore artistico Massini, sindaco e stampa progressista se la prendono coi «fascisti» al governo. La realtà è fatta, però, di spese pazze e cattiva gestione.Sulla storia del Teatro della Pergola di Firenze bisognerebbe fare un film, possibilmente pagato con denaro pubblico. Il fatto è che non esiste vicenda migliore di questa per spiegare il funzionamento della macchina culturale italiana. Partiamo dalla fine e cioè dagli editoriali indignati di Repubblica e altra stampa progressista. Concita De Gregorio, immancabile, scrive che la destra ha sfregiato la Pergola, baluardo della cultura italica. Stefano Massini, direttore artistico del teatro, parla di «una pagina gravissima, senza precedenti. Una pagina che mi vede schifato sino agli urti di vomito». E poiché Massini è influente e famoso e sta nel giro progressista che conta, i colleghi s’indignano assieme a lui, il bel mondo intellettuale si rivolta e i giornali abbaiano. E al pubblico viene raccontato che i fascisti al governo vogliono demolire le Belle arti e il teatro perché sono stupidi e rancorosi, vogliono vendicarsi della sinistra e colpire Massini.Adesso, però, raccontiamo come sono andate davvero le cose, operazione complessa ma indispensabile al fine di comprendere come operi il circolino progressista. Il primo elemento da notare e che sin dall’inizio il Teatro della Pergola non era esattamente il candidato ideale a divenire teatro nazionale. Tale qualifica, di cui si fregiano solo altri sei teatri in Italia, si addice a strutture che svolgano «attività teatrale di notevole prestigio nazionale e internazionale». Il Teatro della Pergola fu incluso nella ristretta élite grazie a una congiuntura particolarmente favorevole: sindaco di Firenze del Pd, governatore della Toscana del Pd, ministro della Cultura del Pd, presidente del Consiglio del Pd (e fiorentino).Nulla di segreto, è scritto sul sito ufficiale del teatro: «Nel gennaio 2015, tramite la confluenza delle attività teatrali della Fondazione Pontedera Teatro all’interno della Fondazione Teatro della Pergola, quest’ultima si dà un nome e un’organizzazione nuovi, Teatro della Toscana, e presenta la domanda per il riconoscimento dello status di teatro nazionale, il più elevato tra quelli presenti nella riforma. L’esito positivo della valutazione della commissione fa sì che dal febbraio 2015 il Teatro della Toscana diventi teatro nazionale. Entrano nella fondazione la Regione Toscana e il Comune di Pontedera, poi anche il ministero della Cultura, la Città metropolitana di Firenze, la Fondazione Peccioli per l’arte. A partire dalla stagione 2022/2023 è il Teatro di Rifredi a entrare a far parte degli spazi gestiti dal Teatro della Toscana». Una volta ottenuto, il prestigioso riconoscimento il teatro fiorentino ha fatto le cose in grande. Nel 2016 ha scelto Pierfrancesco Favino come direttore della Scuola di formazione del mestiere dell’attore. Nel 2020 ha nominato direttore artistico Stefano Accorsi, fino al 2023. E qui c’è il primo problema. Lo statuto della fondazione che gestisce il teatro non prevede che ci sia un direttore artistico, ma soltanto un direttore generale. Per quest’ultimo incarico fu scelto Marco Giorgetti, persona molto competente e non certo arruolabile nelle file della destra politica, anzi. Fu proprio lui già nel 2023 a lanciare un allarme, spiegando che toccava ridurre i costi delle consulenze vip: «Tra gli obblighi ministeriali di un teatro nazionale c’è avere una scuola. Quella di Favino», disse Giorgetti, «costa 600.000 euro l’anno, più 200.000 euro di costi di struttura e affitto, mentre le altre scuole di teatro nazionali non costano meno di un milione di euro. La differenza è che le altre sono finanziate a parte, la nostra invece è dentro il bilancio». Insomma, già da qualche tempo era chiaro che, con i conti, qualche problema c’era eccome. Forse anche per questo nel 2024 la Fondazione Cassa di risparmio di Firenze, guidata da Bernabò Bocca, ha deciso di uscire dal cda della Fondazione Teatro della Toscana, rinunciando al ruolo di socio fondatore. Sempre per questioni di budget è stata prima bloccata e poi tagliata la scuola di recitazione diretta da Favino, che costava appunto oltre 800.000 euro per appena 16 allievi.Tutti questi scricchiolii finanziari sono rimasti a lungo sottotraccia, anche se le cronache locali toscane se ne sono occupate eccome. Ora, però, il bubbone è esploso. Motivo? Il sindaco di Firenze, l’ex assessore di Dario Nardella, Sara Funaro, ha deciso all’inizio del 2025 di dare la sua impronta al teatro, scegliendo come direttore artistico il celebre e celebrato Stefano Massini. Curriculum ineccepibile, costo in linea con i precedessori: circa 80.000 euro l’anno più circa 24.000 per l’assistente. Il contratto di Massini è entrato in vigore a febbraio, quindi da subito. E prevede anche costi aggiuntivi. Qualora a Massini siano richiesti spettacoli da mettere in scena, il prezzario prevede: 45.000 euro per ideazione, regia, prove; 35.000 euro per la seconda produzione; 25.000 euro per riprese; 10.000 euro per ideazione testi e drammaturgie; 3.000 a recita (in qualità di attore) e 1.500 in caso di doppia recita; 3.000 euro per partecipazione a eventi, iniziative, conferenze e speech. Giusto pagare un bravo professionista, ma bisogna che un teatro si possa permettere costi simili. E così, attualmente, non è: i contributi pari a 7,5 milioni di euro per il mantenimento dello status di teatro nazionale non sono sufficienti a chiudere il bilancio in pareggio. Servirebbero almeno altri 1,1 milioni di euro.La scelta di Massini, poi, sembra non sia stata gradita dal direttore generale Marco Giorgetti che, nel corso degli ultimi mesi, è arrivato ai ferri corti con il Comune e, dopo 25 anni, ha lasciato l’incarico. Il dirigente ha raggiunto un accordo con le istituzioni che è rimasto segreto. Ma come hanno notato mesi fa i giornali locali, è possibile che per mettere Giorgetti alla porta - mancando giuste cause per la cacciata - sia stato necessario liquidargli l’intera cifra prevista dal contratto: 160.000 euro l’anno fino al 2027, quindi almeno 400.000 euro. O, nella migliore delle ipotesi, 200.000. E sono altri soldi.Poi c’è il problema - non irrilevante - costituito dal Teatro di Rifredi, la cui fusione con la Pergola è stata fortemente voluta da Nardella e dal governatore Eugenio Giani, i quali pensavano che, includendolo, avrebbero ottenuto più contributi pubblici. Così non è stato, anzi l’operazione sembra abbia comportato ulteriori 200.000 euro di costi. Il fatto è che il Teatro di Rifredi non funziona, ma costa un bel po’. Per dire: dei sei dipendenti contrattualizzati, due da soli costano 7.000 euro al mese ciascuno, 84.000 euro l’anno.Come è facile intuire, in buona sostanza, tutti i guai dei teatri toscani sono di natura economica e politica. E se già all’inizio il conferimento dello status di teatro nazionale era discutibile, a maggior ragione ora è lecito che l’apposita commissione di valutazione ministeriale avanzi perplessità. Eppure è scoppiato un mezzo scandalo e si urla alla oppressione fascista. Tre dei sette componenti della commissione per il finanziamento dei teatri (Alberto Cassani, Carmelo Grassi e Angelo Pastore) si sono dimessi con grande clamore per via della «scelta della maggioranza di voler declassare la Fondazione Teatro nazionale della Toscana». I media ovviamente ci sguazzano: ecco vedete, dicono, perfino i tecnici sono indignati e si dimettono. In realtà, non si tratta esattamente di tecnici, o almeno non tutti lo sono. Alberto Cassani, per dire, è un ex consigliere comunale Pds, ex assessore comunale Ds a Ravenna ed ex assessore del Pd. Carmelo Grassi è stato candidato per il Pd alle elezioni regionali pugliesi. Angelo Pastore, invece, non fa mistero delle sue legittime idee di sinistra sui social network.Riassumendo: la sinistra ha gestito come voleva i teatri grazie al denaro pubblico, ma non è riuscita a fare quadrare i bilanci. In più, è riuscita a creare dissidi interni tra i professionisti che lei stessa ha nominato. Però incolpa il governo facendo leva sulle dimissioni di tre commissari, due dei quali hanno fatto politica con il Pd.«Le responsabilità politiche», dice Paolo Marcheschi, senatore fiorentino di Fratelli d’Italia, «ricadono tutte sul sindaco Funaro, che non ha saputo gestire i rapporti personali all’interno della fondazione, aggravando la situazione con un esborso di denaro pubblico per liquidare il dg Giorgetti, appena rinnovato l’anno prima. Della questione del danno erariale se ne occuperà presto la Corte dei conti sollecitata dai consiglieri comunali Sirello e Chelli di Fdi. Vale la pena ricordare che chi oggi si nasconde dietro la visibilità di Massini è lo stesso gruppo che ha prodotto i buchi di bilancio al Maggio musicale fiorentino (nascondendosi dietro a Pereira) e che ha gravato il Teatro della Pergola con costi insostenibili». Marcheschi assicura che lavorerà affinché al teatro non siano tolti fondi ed è un impegno condivisibile dato che si parla di una istituzione culturale di grande rilevanza. Il punto non è tagliare i finanziamenti alla cultura, semmai impedire che a gestirli (male) siano i soliti sinistrorsi. I quali se la cantano e se la suonano, producono disastri a spese dei contribuenti e hanno pure la faccia tosta di fare le vittime.