2018-07-22
La Ong fa causa all’Italia e alla Libia. Il Viminale: «Sfruttano i naufraghi»
Dalla Spagna, Open Arms accusa Roma e Tripoli con una versione dei fatti già smentita dai testimoni Le autorità verificheranno se la donna superstite è stata imbeccata. Matteo Salvini: «Cosa avete da nascondere?».Gli immigrati della tendopoli calabrese di San Ferdinando venivano schiavizzati dalla mafia. Sequestrate 26.000 piante di canapa.Lo speciale contiene due articoliHanno chiuso le attività di sbarco in fretta e furia, poi sono entrati nel commissariato di Palma di Maiorca e hanno denunciato la Guardia costiera libica per omicidio colposo e quella italiana per omissione di soccorso. «Spero che la Procura spagnola indaghi», ha detto il fondatore della Ong Open Arms, Oscar Camps. Già stabilire la competenza territoriale, però, non sarà un'impresa facile, perché i fatti sono accaduti in acque territoriali libiche. Ulteriori difficoltà saranno poi legate anche alla verifica della versione che fornisce la Ong spagnola, che è stata già contraddetta dai testimoni e contestata da libici e Viminale.A Palma di Maiorca, insieme a Josefa, la donna indicata da Open Arms come testimone chiave (partita dal Camerun e rimasta per due giorni in mare tra i resti di un gommone), sono sbarcati anche i due cadaveri, tra i quali quello del bambino di circa cinque anni, recuperati in mare martedì scorso, su un zattera di legno, a circa 80 miglia dalle coste libiche. Secondo il Diario de Mallorca, uno dei principali quotidiani dell'isola, anche Josefa avrebbe intenzione di presentare una denuncia.Ora gli uomini della Proactiva Open Arms si sentono in un porto sicuro e lo dicono a chiare lettere con proclami sui social e tramite i megafoni dei media amici. Ma l'hanno scoperto solo ora. Prima che Matteo Salvini chiudesse i porti, ingaggiando così il braccio di ferro con le Ong e dichiarando guerra agli scafisti trafficanti di esseri umani, l'unico porto che la Open Arms conosceva era quello italiano.Ora Camps si arrampica sugli specchi: «Andiamo in Spagna perché dopo aver messo in discussione il nostro comportamento e aver definito una fake news il fatto che i libici avessero abbandonato in mare una donna e il suo bambino, l'Italia non è per noi un porto sicuro».Pensava di rispondere così alla provocazione di Salvini che su Facebook si chiedeva se la scelta di ripiegare in Spagna era legata a qualcosa da nascondere. «Non è stata una navigazione di piacere, anche per la presenza a bordo dei deceduti, ma il mare per fortuna è stato tranquillo», ha detto all'arrivo Riccardo Gatti, portavoce di Proactiva Open Arms. Gatti, che è anche capitano della Astral, l'altra nave di Open Arms che seguiva la scia di navigazione della Proactiva, ha spiegato che dopo lo sbarco, le autorità spagnole hanno preso in carico Josefa che «è stata ricoverata in ospedale e sarà protetta in quanto testimone oculare del naufragio». La donna, a quanto ha riferito Gatti, «si sta lentamente riprendendo dal punto di vista fisico», mentre non si può quantificare quanto tempo servirà a superare lo choc psicologico. Ma ha la lucidità, a dire di Open Arms, per presentare una denuncia. «Josefa ancora non cammina», ha continuato il comandante, «ma ieri ha mangiato per la prima volta da sola, senza che la imboccassimo». Saranno le autorità ora a verificare se alla vittima del naufragio sia stata imboccata anche un'interpretazione di quanto accaduto.Anche perché l'ultima versione libica è questa: «Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita, dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva senso, ma non c'era nessun altro in acqua». È il contenuto di una relazione ufficiale della Guardia costiera di Misurata, resa nota nel corso di un'intervista alla Stampa dal colonnello Tofag Scare. E le motovedette che avrebbero distrutto il barcone di migranti e lasciato in mare chi si rifiutava di salire a bordo? La ricostruzione libica contraddice completamente quella fornita dalla Ong: «Lunedì 16 luglio all'ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades che ci segnalava un'imbarcazione in difficoltà tra Khoms e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165, uomini e donne. Non avremmo avuto alcuna ragione di abbandonare in acqua delle persone vive».Il deputato di Leu Erasmo Palazzotto, che ha viaggiato con la Proactiva e ha sposato la causa, chiede a Salvini di scusarsi «davanti alle agghiaccianti dichiarazioni del comandante della Guardia costiera libica», che, secondo il deputato, «nei fatti conferma la versione di Open Arms». E per cercare di creare il caso politico, oltre a chiedere le dimissioni del ministro, definisce criminale l'autorità libica: «Non è accettabile che davanti a una tragedia come questa il ministro dell'Interno dia credito a criminali che hanno già fornito quattro versioni diverse sostenendo insieme al governo italiano che vi era stato un solo intervento di recupero». Il deputato di Leu per alzare il tiro sostiene che ci sia un accordo tra Libia e Italia per «depistare». Dalla Libia intanto fanno sapere anche di essere fermamente contrari a ospitare hotspot europei. Proposta europea bocciata. Parola di Fayez Al Sarraj. Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-ong-fa-causa-allitalia-e-alla-libia-il-viminale-sfruttano-i-naufraghi-2588733489.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="richiedenti-asilo-per-coltivare-campi-di-marijuana" data-post-id="2588733489" data-published-at="1757694193" data-use-pagination="False"> Richiedenti asilo per coltivare campi di marijuana Il capo chino e la schiena curva sui campi. A lavorare per dieci ore al giorno, sotto il sole cocente. È l'immagine degli immigrati della tendopoli di San Ferdinando, in Calabria, simbolo del caso migranti e della campagna buonista dell'opposizione al governo. La fotografia del caporalato, questa volta, consegna una realtà diversa. Già perché le decine di stranieri impiegati come manodopera nei campi non erano impegnati a raccogliere arance o pomodori. Il prodotto della terra era la marijuana. È quanto emerso da un'inchiesta della direzione distrettuale di Catanzaro che ha fatto luce su un'organizzazione criminale che utilizzava rifugiati politici e richiedenti asilo come manovali nella coltivazione di canapa indiana e nella manutenzione delle piantagioni di marijuana. «Questa tendopoli è una eredità pesante e dimostra che l'immigrazione fuori controllo porta solo il caos». Così due settimane fa parlava il ministro dell'Interno, Matteo Salvini. L'intervento avvenne a margine di una visita alla tendopoli dove viveva Soumaila Sacko, il migrante ucciso a fucilate mentre asportava lamiere per la costruzione di baracche. Gli inquirenti della Dda di Catanzaro hanno messo nero su bianco quale fosse una delle principali attività degli «ospiti» della struttura: la coltivazione di marijuana. Il bilancio del blitz scattato alle prime luci dell'alba di ieri è notevole. Sequestrate 26.000 piante di marijuana, per la cui coltivazione veniva impiegata manodopera extracomunitaria; 21 persone iscritte nel registro degli indagati e 18 destinatarie di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip distrettuale di Catanzaro, Paola Ciriaco, ed eseguita dalla polizia di Stato di Vibo Valentia. Sullo sfondo una strategia commerciale altamente tecnologica che metteva in campo anche i droni. È quanto ha portato allo scoperto l'operazione della polizia Giardini segreti. Per otto persone è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per nove gli arresti domiciliari e, per uno, l'obbligo di dimora. Altre 21 persone sono indagate, a vario titolo, per associazione a delinquere dedita al narcotraffico e detenzione ai fini di spaccio di droga. Il blitz, al quale hanno partecipato circa 200 agenti, rappresenta l'epilogo di una attività investigativa, avviata già dal 2015, che ha permesso di smantellare un'associazione a delinquere finalizzata alla produzione, coltivazione e vendita di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana, capeggiata da Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone, alias «l'Ingegnere», esponente apicale dell'omonima consorteria criminale della 'ndrangheta di Limbadi. Le attività investigative nascono dal sequestro di appezzamenti di terreno adibiti a piantagioni di marijuana, situati a Nicotera, Joppolo e Capistrano. L'indagine ha consentito di evidenziare, anche grazie ad attività tecniche e al supporto della polizia scientifica, la capacità dell'organizzazione di provvedere a tutte le varie fasi del ciclo di produzione della sostanza stupefacente. In particolare, con l'acquisto online di semi di canapa indiana e di concime, effettuati direttamente dal capo del sodalizio Emanuele Mancuso, l'organizzazione realizzava la costruzione delle strutture dove piantare i semi, curare la germinazione e la fioritura delle piante, la crescita, la lavorazione e, infine, l'immissione sulle «piazze» di spaccio. Le varie attività erano assicurate da sodali di Mancuso, ma soprattutto da manodopera reclutata tra extracomunitari della tendopoli di San Ferdinando. Nel corso delle indagini è stato accertato come Mancuso, tramite l'utilizzo di droni, controllasse i terreni destinati alla coltivazione della droga. La questura di Vibo Valentia spiega come le risultanze delle indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Dda Annamaria Frustaci, siano state recentemente suffragate dalle dichiarazioni dello stesso Emanuele Mancuso che ha avviato un percorso di collaborazione con i magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Inoltre, con la collaborazione delle squadre mobili di Alessandria, Brescia, Caltanissetta, Catanzaro, Chieti Genova, Imperia, Lecce, Milano Napoli, Salerno e Savona sono anche state effettuate perquisizioni a carico delle sedi di una società, attiva nella vendita online di semi di canapa indiana, situate in quelle province, a carico delle quali verrà anche notificato un provvedimento di sequestro preventivo. Giancarlo Palombi