
Ancora nessun commento ufficiale sulla vicenda del presunto aiuto per i test di medicina al figlio del consigliere Marco Mancinetti. Ma nella mailing list dell'Anm il caso esplode: «Perché tanto silenzio?». Un collega lancia il sondaggio: «Per voi può rimanere?»Gli alti papaveri della magistratura devono aver preso sulla parola il filosofo Ludwig Wittgenstein che, saggiamente, affermava: «Nella vita, come nell'arte, è difficile dire qualche cosa che sia altrettanto efficace del silenzio». Ecco che né il vicepresidente del Csm David Ermini, né il capo dell'Associazione nazionale magistrati Luca Poniz, né il solitamente prodigo di giudizi acuminati Pier Camillo Davigo hanno voluto commentare il caso, sollevato dal nostro giornale, riguardante una presunta raccomandazione al figlio del consigliere del Csm Marco Mancinetti favorita dall'ex golden boy di Unicost, Luca Palamara.Ma tanto arcigno silenzio ha indispettito la base delle toghe, che si è scatenata sulle proprie chat. In particolare lo hanno fatto i magistrati fuori dai giochi delle correnti, lontani dalle comode poltrone. Come Andrea Reale, gup a Ragusa, che è in queste ore sta riempiendo di messaggi la mailing list dell'Anm, «in attesa di conoscere le giustificazioni del Consigliere chiamato in causa». Reale stigmatizza «il silenzio assoluto dell'Anm (il presidente Poniz era impossibilitato a rispondere al giornalista in quanto si trovava in viaggio in un “vagone affollato", si legge sulla Verità di oggi) e di qualsivoglia altro componente del Csm». Quindi aggiunge: «Stupisce anche il silenzio dei singoli gruppi, specialmente di quelli più impegnati in questi mesi a risolvere la questione morale interna. Mi riferisco in particolare ad Area e ad Autonomia e indipendenza, ma anche alla stessa Unicost, così pronta a isolare e a fare le pulci a un suo componente dissidente, allontanato in malo modo dal gruppo per le sue idee distoniche». Ancor più dirette sono le stilettate che arrivano da Andrea Mirenda, ex presidente della Fallimentare di Verona e oggi giudice di Sorveglianza a Venezia. E protagonista di un clamoroso atto d'accusa contro il Consiglio superiore raccolto nel libro di Riccardo Iacona «Palazzo d'ingiustizia» (2018), dove sosteneva che il parlamentino dei giudici «è diventato una minaccia, perché non vi siedono soggetti distaccati, ma faziosi che promuovono i sodali e abbattono i nemici utilizzando metodi mafiosi».Nella mailing list, Mirenda tiene il conteggio dei giorni di silenzio. Il 7 gennaio (in occasione dell'uscita del nostro primo articolo) scrive: «Attendiamo chiarimenti dal Consigliere Mancinetti e, in mancanza, le sue dimissioni». Il 9 gennaio rincara: «Passano i giorni e nessuno parla. Tace inspiegabilmente il Consigliere togato Mancinetti la cui voce, invece, avrebbe dovuto subito alzarsi chiara e forte per smentire la vergognosa notizia attribuitagli. Tace la di lui moglie, magistrato di Cassazione, che, a quanto si legge, parrebbe parimenti coinvolta nella vicenda. Tace la nobilissima Associazione Nazionale Magistrati, e con essa il suo illuminato Presidente, ancorché sempre pronto a intervenire sui massimi sistemi copernicani (tanto lì non dai mai fastidio a nessuno). Tace il vice presidente del Csm, quello per intenderci che esaltava il rinnovamento del Lauto Governo dopo l'ignobile traffico notturno per pilotare le principali nomine delle Procure italiane. Tacciono capi e capetti delle correnti». Poi arriva l'affondo: «E tace addirittura il Presidente della Repubblica, che del Csm è il Capo e a cui solo dobbiamo la simpatica scelta di far eleggere in tre rate quell'organo anziché scioglierlo per ridare ai magistrati il diritto di pronunciarsi fino in fondo sui miasmi emersi. A questo punto ogni cittadino ha diritto di pensare ciò che vuole di un sistema siffatto, di certi modi di intendere la magistratura e la toga ed infine, come non guasta, di invitare ciascuno dei sunnominati a darsi l'insulto che preferisce». Sulla chat dell'Anm hanno commentato anche molti altri magistrati. Il sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo prova a difendere Mancinetti: «Il comportamento riportato dalla Verità come riferito da Palamara è certamente disdicevole, ma è evidente a tutti che è affermato da una sola fonte, tra l'altro interessata da indagini disciplinari e penali come dice lo stesso articolo». Ribatte Milena Balsamo, consigliere della Cassazione: «Il quotidiano non riporta un'intervista a Palamara, ma un'intercettazione in cui si fa riferimento a un episodio specifico, a nomi precisi (…) e poi nessuno dei magistrati coinvolti ha smentito. Se fosse capitato a me avrei smentito e avrei querelato il quotidiano». Maria Tiziana Balduini, presidente di sezione del Tribunale di Roma e segretario romano di Magistratura indipendente giustifica il suo silenzio perché non riesce a «gioire per le disgrazie altrui» e allora Maria Angioni, pm a Sassari, le risponde per le rime: «Non avevo voglia di scrivere niente sulla vicenda Mancinetti, perché è fin troppo ovvio che si tratta di una vicenda disdicevole e inaccettabile. Lo sappiamo tutti. (…) Chi segnala e critica, al pari di chi condanna, non sta “gioendo" delle disgrazie altri, sta facendo il suo dovere, di cittadino che cerca nel suo piccolo di combattere il malaffare» e che «si sarà cominciato a preoccupare del silenzio altrui».Chiude Giuliano Castiglia, giudice del Tribunale di Palermo: «Nel mondo formale Mancinetti avrebbe due scelte: smentire categoricamente o dimettersi». In tale mondo anche gli altri consiglieri e l'Anm «non potrebbero non pretendere» che Mancinetti scelga una delle strade. «Ma noi non siamo nel mondo formale, siamo nel Paese della costituzione materiale. E ddddaaaai». E qui Castiglia, citando Costantino Mortati, sembra lamentarsi, al pari di Mirenda, del pessimo esempio offerto dai vertici dello Stato. Il giudice alla fine lancia un sondaggio tra le toghe: «Alla luce di ciò che è stato pubblicato dalla stampa Mancinetti è tenuto a smentire o, in alternativa, a dimettersi da componente del Csm? Sì o no? (…) Io penso che sia necessario che smentisca o, in alternativa, si dimetta».
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