2018-12-03
La «nostra» quinta mafia è nigeriana. Lo spaccio sta diventando cosa loro
Arriva dall'Africa centrale già l'11% dei condannati per reati di droga. Ecco la mappa dei clan di immigrati che da Torino a Potenza si stanno prendendo la «piazza». Magari in attesa di ricevere il diritto di asilo.In ordine di tempo, l'ultima gang di pusher nigeriani l'hanno sgominata i carabinieri di Potenza: nel centro storico della città un tempo controllata dalla cosca locale dei basilischi lo spaccio era diventato cosa loro, «mentre andava avanti la loro richiesta di asilo politico», ha commentato giovedì sera il ministro dell'Interno Matteo Salvini, complimentandosi con gli investigatori. In 13 sono finiti dietro le sbarre. Erano tutti richiedenti asilo, ospiti di centri di accoglienza. Avevano droga in quantità: eroina, hashish e marijuana. E, come in tutte le associazioni a delinquere, c'era un capo: Samuel Dumkwu. Uno dei tanti sparsi per l'Italia. Perché, stando alle stime della Direzione nazionale antimafia, la criminalità organizzata nigeriana, dopo Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra e Sacra corona unita (ossia le mafie tradizionali), è la quinta mafia. Inutile cercare ormai di infilarci la Stidda, altra consorteria siciliana, o, appunto, il clan dei basilischi (che negli anni Novanta era stato definito come quinta mafia). I dati parlano chiaro.Se i nigeriani detenuti in Italia per il reato di associazione a delinquere semplice, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, sono 60 (in totale gli stranieri detenuti per questo reato sono 775; in maggioranza sono albanesi e i nigeriani si piazzano al quarto posto), quelli dietro le sbarre per l'accusa di 416 bis, ossia l'associazione a delinquere di stampo mafioso, dedita anche al traffico di stupefacenti, portano la Nigeria al primo posto in assoluto. I nigeriani, sullo stampo mafioso, sono primi tra gli stranieri, con 21 detenuti su un totale di 77. E si impongono nella classifica della mala. Il numero cresce se si considerano gli indagati a piede libero. Per l'accusa di detenzione ai fini di spaccio, ad esempio, i nigeriani indagati sono 1.689, ossia il 12% del totale assoluto di pusher denunciati, italiani compresi. Numeri di tutto rispetto. Come quelli dei condannati con sentenza definitiva per reati di droga: i nigeriani sono l'11% dei condannati totali.I loro clan hanno caratteristiche ben precise, che i magistrati della Procura nazionale antimafia nella loro ultima relazione hanno descritto con queste parole: «Quanto ai sodalizi nigeriani, si tratta di gruppi fortemente caratterizzati dalla comune provenienza etnico tribale dei membri. Questi elementi garantiscono a ciascun sodalizio un'elevata compattezza interna che ne consente un'efficace operatività nonostante la ricorrente suddivisione in cellule, attive in diverse aree territoriali nonché il riconoscimento dei caratteri dell'associazione mafiosa in diversi procedimenti penali». Per forza criminale ed economica, grazie anche ai proventi del traffico di esseri umani (che poi vengono investiti negli stupefacenti), i boss nigeriani sono ormai in condizione di trattare direttamente con i cartelli della droga brasiliani e colombiani. Gli epicentri: «Le organizzazioni nigeriane presenti in Italia hanno basi solidissime nella provincia di Caserta, e, in particolare sul litorale domizio, dove la situazione emergenziale (se non da terzo mondo) che caratterizza costantemente quei territori da un punto di vista ambientale, urbanistico, civile, criminale, ha permesso la costituzione di comunità centro africane, spesso fuori controllo».Nel degrado di quelle comunità, «al fianco di una dolente e miserabile manodopera sfruttata in agricoltura dal caporalato», analizzano i magistrati, «convive una criminalità feroce, dedita alla tratta di esseri umani ed allo sfruttamento della prostituzione. E queste entità criminali mantengono legami criminali diretti proprio nel settore del narcotraffico, con le loro omologhe componenti presenti in molti paesi europei ed in Italia».A Castelvolturno, sempre in provincia di Caserta, ad esempio, si distingue un clan strutturato in modo piramidale. L'organizzazione è denominata degli Eye: ha la sua casa madre in Nigeria, dove sono inviati, almeno in parte, i proventi dell'attività criminosa ed è articolata in sottogruppi divisi per territori e attività illecite, tra le quali è prevalente il traffico di stupefacenti. La confraternita degli Eye aveva messo radici anche a Cagliari, dove lo scorso 21 novembre 20 nigeriani sono finiti in manette. L'accusa: associazione di stampo mafioso finalizzata al traffico di droga.Altra zona calda: «Perugia, sede di insediamenti nigeriani che», analizzano i magistrati, «si sono affermati prepotentemente come importatori di ingentissimi quantitativi di stupefacente, destinati allo spaccio a opera dei magrebini». Dalle indagini perugine, insomma, emerge che la droga arriva in Italia grazie ai trader nigeriani e poi viene venduta al dettaglio da pusher tunisini.La mappa territoriale, stando alle indagini coordinate dai magistrati della Dna, è questa: in regioni come Lazio, Campania, Calabria, Sicilia, Puglia, Piemonte, Veneto i tre nuclei storici della mafia nigeriana (Eye Confraternite, Eiye e Black Axe) assumono un ruolo egemone, monopolizzando in importanti città (Torino, Verona, Bologna, Roma, Macerata, Napoli, Palermo, Bari, Caserta) addirittura i mercati dediti a prostituzione, spaccio di droga, traffico di armi, usura, racket delle scommesse, tratta dei migranti e perfino truffe online. E per il contrasto? «La cooperazione giudiziaria con la Repubblica federale di Nigeria», sostengono dalla superprocura guidata da Federico Cafiero de Raho, «si basa principalmente sulla cortesia internazionale, in assenza di convenzioni bilaterali o multilaterali aventi ad oggetto l'intera materia dell'estradizione dell'assistenza giudiziaria o del trasferimento detenuti». Altro gap: le intercettazioni telefoniche, che si sono rivelate utili per identificare le figure apicali dei clan che, però, spesso si trovano in Nigeria. Purtroppo, commentano dalla Procura nazionale antimafia, «non consentono di fare il salto di qualità nelle indagini, in quanto ostacolate dalla mancanza di strumenti di cooperazione bilaterale». La mafia nigeriana, insomma, viene perseguita con determinazione e tra notevoli difficoltà solo da una delle due parti: quella italiana.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco