2021-06-15
La Nato smentisce la guerra fredda ma va alla resi dei conti col Dragone
Joe Biden (Leon Neal - WPA Pool/Getty Images)
Per la prima volta l'Alleanza punta il dito contro le ambizioni militari dei cinesi. E condanna le repressioni e il controllo sociale attraverso la tecnologia. Ieri vertice cordiale tra Recep Erdogan e l'inquilino della Casa Bianca.Il presidente ha confuso Libia e Siria ed è apparso stanco. Donald Trump torna all'attacco.Lo speciale contiene due articoli.La Nato inizia a fare sul serio con la Cina. Nel summit tenutosi ieri a Bruxelles, l'Alleanza atlantica ha, per la prima volta, messo nel mirino le ambizioni militari del Dragone. «La Cina», si legge nel comunicato finale, «sta rapidamente espandendo il suo arsenale nucleare con più testate […]. È opaca nell'attuazione della sua modernizzazione militare e della sua strategia di fusione militare civile pubblicamente dichiarata. Sta inoltre cooperando militarmente con la Russia, anche attraverso la partecipazione a esercitazioni russe nell'area euroatlantica. Restiamo preoccupati per la frequente mancanza di trasparenza e l'uso della disinformazione da parte della Cina». Parole dure nei confronti di Pechino erano del resto state pronunciate poco prima dallo stesso Jens Stoltenberg. Pur avendo escluso una «guerra fredda» con la Repubblica popolare, il segretario generale dell'Alleanza atlantica aveva infatti rimarcato che il Dragone «non condivide i nostri valori». «Vediamo», aveva dichiarato, «come reprime le proteste democratiche a Hong Kong e perseguita anche le minoranze nel proprio Paese e utilizza la tecnologia moderna, i social media, il riconoscimento facciale per monitorare e sorvegliare la propria popolazione in un modo che non abbiamo mai visto prima». «Li vediamo nel cyberspazio, vediamo la Cina in Africa, nell'Artico, ma vediamo anche la Cina investire pesantemente nella nostra infrastruttura critica e cercare di controllarla», aveva aggiunto. Insomma, l'Alleanza atlantica sta guardando con crescente preoccupazione al Dragone, seguendo una tendenza che aveva iniziato a fare capolino già nel corso del summit Nato di Londra, tenutosi nel dicembre del 2019. Certo: alcuni dei Paesi membri della Nato intrattengono stretti legami commerciali con Pechino (a partire dalla Germania). E questo spiega l'uso, da parte di Stoltenberg, di toni non troppo bellicosi nei confronti del Dragone. Ma un mutamento comunque c'è. Ed è sostanziale: una svolta che è stata colta ieri da Mario Draghi, il quale ha connesso il dossier cinese (e quindi l'allineamento italiano a Washington) con gli interessi mediterranei del nostro Paese (a partire probabilmente dalla Libia). «La deterrenza e la posizione di difesa della Nato devono essere attuate attraverso un approccio ad ampio spettro», ha dichiarato. «Dovremmo guardare», ha aggiunto, «a tutte le direzioni strategiche, dalla regione indopacifica a un focus costante sull'instabilità della regione mediterranea». Ma il summit di ieri non si è fermato alla Cina. Una linea più dura è stata avanzata per la Russia, individuata come un «pericolo per la sicurezza euroatlantica». «La Russia», si legge nel comunicato, «continua a usare una retorica nucleare aggressiva e irresponsabile». In particolare, i dossier più problematici nei rapporti tra Nato e Mosca si sono rivelati quello ucraino e quello bielorusso. L'Alleanza ha ribadito di sostenere l'integrità territoriale dell'Ucraina e ha condannato il recente ammassamento di truppe russe al confine orientale del Paese. Stoltenberg ha inoltre dichiarato che Mosca non abbia il diritto di porre veti su un eventuale ingresso di Kiev nella Nato. Non sono comunque mancati dei malumori da parte ucraina. Sebbene venerdì il Pentagono avesse annunciato 150 milioni di dollari in assistenza militare a Kiev, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha mostrato ieri irritazione a causa dell'incontro tra Joe Biden e Vladimir Putin, previsto per domani. Il comunicato della Nato si è poi rivelato significativamente severo nei confronti della Bielorussia. «Le politiche e le azioni della Bielorussia», si legge nel documento, «hanno implicazioni per la stabilità regionale e hanno violato i principi alla base del nostro partenariato. La Nato rimarrà vigile e monitorerà le implicazioni per la sicurezza dell'Alleanza». In particolare, a finire nel mirino è stato il dirottamento aereo dello scorso maggio, che ha portato all'arresto del dissidente Roman Protasevich. Un dossier, quello bielorusso, che evidenzia, una volta di più, le forti divisioni che intercorrono tra la Nato e la Russia: Minsk è infatti saldamente collocata all'interno della sfera d'influenza di Mosca e Putin non ha al momento intenzione di abbandonare Aleksandr Lukashenko. Insomma, Biden si avvia al faccia a faccia con il capo del Cremlino in una situazione tesa. Non è quindi chiaro che cosa attendersi. Il vertice potrebbe risolversi in un nulla di fatto oppure aprire qualche spazio di cooperazione. Sotto questo aspetto, si può ritenere che Washington stia cercando la sponda di Mosca in riferimento al delicato e spinoso dossier del processo di pace in Afghanistan. E proprio di Afghanistan si parlato ieri al summit Nato: i partecipanti hanno infatti discusso del ritiro definitivo delle truppe americane e dello stesso processo di pace. Non solo: si è anche concordato uno stanziamento di fondi per far sì che l'aeroporto internazionale di Kabul continui a funzionare. L'Afghanistan è insomma uno di quei fronti su cui Biden e Putin potrebbero trovare un'intesa, nonostante l'elevata presenza di attori in gioco (dalla Turchia alla stessa Cina) renda la situazione piuttosto nebulosa (ieri Biden ed Erdogan hanno avuto un colloquio definito «ottimo», ma di cui non sono stati forniti dettagli). Più in generale, bisognerà capire se il presidente americano cercherà di trovare dei punti di contatto con Putin per tentare di sganciare Mosca da Pechino. Un'ipotesi che resta sul tavolo, ma che, come abbiamo visto, si scontra con numerosi dossier divisivi. E che potrebbe costare caro allo stesso Biden in termini di politica interna. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-nato-smentisce-la-guerra-fredda-ma-va-alla-resi-dei-conti-col-dragone-2653374793.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-gaffe-di-biden-interrogano-gli-usa-e-vecchio-o-inadeguato" data-post-id="2653374793" data-published-at="1623695740" data-use-pagination="False"> Le gaffe di Biden interrogano gli Usa: è vecchio o inadeguato? Che Joe Biden sia incline a gaffe e lapsus non è esattamente una novità. E, stavolta, il problema si è posto nel corso di una conferenza stampa che il presidente americano ha tenuto l'altro ieri in chiusura del G7, svoltosi in Cornovaglia. Parlando dei margini di cooperazione tra Stati Uniti e Russia, l'inquilino della Casa Bianca ha per tre volte consecutive confuso Libia e Siria, mentre - come riferito da Fox News - «gli assistenti di Biden in seguito hanno spazzato via l'apparente gaffe, dicendo che intendeva dire Siria quando diceva Libia». Ciò non ha potuto comunque evitare la reazione dei social media, che hanno messo in evidenza il (ripetuto) lapsus. Andrebbe tra l'altro aggiunto che, nel corso della suddetta conferenza stampa, Biden si sia mostrato particolarmente affaticato, dando segni di evidente stanchezza (soprattutto difficoltà a parlare). È quindi chiaro che, al di là delle polemiche politiche, questo episodio sia destinato a rimettere sotto i riflettori la vecchia questione della fibra fisica di Biden: una questione che fu cavalcata dai repubblicani in campagna elettorale, non solo per le sue notorie gaffe, ma anche in forza dell'età avanzata. Non va del resto trascurato che, a 78 anni, Biden sia a oggi il presidente americano al primo mandato più anziano della storia. Non sarà quindi un caso se la questione è tornata a perseguitarlo anche dopo l'entrata in carica, lo scorso 20 gennaio. Ricordiamo, per esempio, la sua triplice caduta, a marzo, mentre saliva la scaletta dell'Air Force One. Tutto questo mentre la settimana scorsa ha definito l'aviazione militare britannica «Rfa» invece di «Raf». In un simile quadro, soltanto giovedì scorso, Donald Trump aveva irriso Biden, appena partito per il suo tour europeo: un viaggio al temine del quale, domani, avrà un faccia a faccia a Ginevra con il presidente russo, Vladimir Putin. «Buona fortuna a Biden nel trattare con il presidente Putin: non addormentarti durante l'incontro e per favore dagli il mio più caloroso saluto!», aveva dichiarato l'ex presidente repubblicano in una nota. Una chiara reminiscenza dell'ultima campagna elettorale, quando Trump era notoriamente solito bollare il rivale democratico come «Sleepy Joe». D'altronde, a complicare la situazione, sta proprio il fatto che la gaffe su Siria e Libia sia avvenuta durante il primo viaggio all'estero dell'inquilino della Casa Bianca: alla vigila del summit Nato di Bruxelles e dello stesso vertice con Putin. Va da sé che la questione si pone su due piani. Il primo riguarda la narrazione mediatica che, sempre occhiuta per qualsiasi gaffe del precedente presidente, in questo caso almeno per ora ha sorvolato sull'accaduto. Il secondo piano è di carattere politico e, al di là delle beghe tra repubblicani e democratici, riguarda il fatto che gli Stati Uniti hanno oggi un comandante in capo molto anziano e fisicamente fragile. Si tratta di un tema riproposto ieri anche dal giornalista Federico Rampini, secondo cui «l'età di questo presidente è un problema». Un problema piuttosto serio, perché chiama in causa non soltanto l'efficienza interna del governo americano, ma anche, se non soprattutto, l'immagine che gli Stati Uniti danno di sé stessi davanti alla platea mondiale. È d'altronde per tale ragione che storicamente, durante le campagne elettorali statunitensi, la questione dell'età e della salute dei candidati risulta un argomento posto al centro dei riflettori. Questo perché proprio la salute del comandante in capo è anche, e forse specialmente, una questione di sicurezza nazionale. Soprattutto quando i tuoi avversari internazionali, a partire dalla Cina, non aspettano altro che sfruttare le tue debolezze.