
- La ripresa degli sbarchi è dovuta all’instabilità politica di molti Stati mediterranei. Ma anche ai crescenti interessi di Russia e Cina che spingono a impiegare i migranti come arma di ricatto.
- L’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ora in Senato accusa il Dragone: sta colonizzando e depauperando le ricchezze naturali.
- Il direttore di «Analisi difesa» Gianandrea Gaiani: la Turchia gioca sporco, prende miliardi dall’Ue ma non argina le rotte dei disperati dall’Asia.
Lo speciale contiene tre articoli
Il fenomeno dei flussi migratori si intreccia con nuovi equilibri nel bacino del Mediterraneo. I migranti sono in taluni casi uno strumento di pressione politica. È il caso della Turchia che ha siglato con l’Ue un accordo per gestire le migrazioni in cambio di risorse ingenti: circa 6 miliardi di euro. E oggi la Turchia ospita 4 milioni di rifugiati.
La spinta a grossi spostamenti in Africa sta venendo dagli effetti dell’espansionismo politico di Russia e Cina tesa ad acquisire accordi privilegiati per lo sfruttamento della risorse locali. Le popolazioni, usate come manovalanza a bassissimo costo e in condizioni di lavoro disumane, sono spinte a muoversi verso Paesi che ritengono economicamente più promettenti. Gli accordi per mettere le mani sui giacimenti di materie prime in Africa tagliano fuori le popolazioni locali che non hanno alcun beneficio dalle attività estrattive.
I conflitti politici e l’instabilità dei governi che caratterizzano gran parte delle aree affacciate sul Mediterraneo favoriscono l’azione predatoria delle multinazionali russe e cinesi e amplificano le condizioni di povertà. A questi fattori si aggiungono le conseguenze dei cambiamenti climatici che stanno desertificando ampie regioni e inaspriscono le condizioni di vita, provocando esodi mai visti prima. Secondo il documento Strategic foresight report pubblicato dalla Commissione Ue, oltre il 40% delle importazioni agricole europee potrebbe diventare molto vulnerabile alla siccità entro il 2050, accrescendo la competizione globale tra Stati per l’utilizzo delle terre fertili e delle risorse idriche. La scarsità d’acqua, prosegue il rapporto Ue, diventerà particolarmente grave nei paesi extra Ue del bacino mediterraneo (Africa settentrionale, Medio oriente), potenzialmente aggravando i conflitti locali e i flussi migratori.
Questo fenomeno è già visibile. I migranti tunisini in Italia rappresentano oggi il 20% degli arrivi via mare. Secondo le autorità locali, intere famiglie, comprese donne e bambini piccoli, hanno ripreso la pericolosa traversata verso l’Europa, cosa che in precedenza riguardava prevalentemente i cittadini dei paesi sub-sahariani in transito dalla Tunisia. Tra coloro che cercano di raggiungere l’Europa, ci sono persone con diplomi e lavoro, indice della grave recente regressione e repressione tunisina dei diritti umani e della libertà. Questa è un’altra causa delle migrazioni. In Tunisia, nei primi 8 mesi del 2022, le autorità locali (anch’esse, come la Libia, sostenute finanziariamente dall’Italia e dall’Unione Europea per frenare gli esodi verso il continente) hanno impedito a 15.700 persone (7.000 tunisini e 8.700 sub-sahariani) di attraversare il Mediterraneo centrale, bloccando, sulle coste o in mare, 1.509 imbarcazioni. Dall’inizio del 2022 a fine ottobre, il flusso proveniente da questo Paese è cresciuto del 25,96% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
La Libia è una polveriera sull’orlo della guerra civile. Il Paese, ricco di petrolio, è da anni diviso tra amministrazioni rivali, ciascuna sostenuta da truppe e governi stranieri, soprattutto Russia e Turchia. Ad agosto Tripoli è stata teatro di violenti scontri armati tra milizie sostenute dalle due opposte fazioni rivali (da una parte i sostenitori di Dbeibeh e dall’altra i sostenitori di Bashagha), facendo presagire un ritorno alla violenza in un lungo stallo politico e ponendo fine al periodo di relativa calma nella capitale. Il Paese è il crocevia di interessi internazionali. Istanbul ha firmato con il governo di Tripoli accordi di cooperazione militare e sugli idrocarburi per sfruttare i giacimenti di petrolio e gas e il loro trasporto tramite metanodotti e oleodotti, in Turchia. Anche la Francia di Macron è moto attiva e ha rapporti con il generale della Cirenaica, Kalifa Haftar, che dialoga pure con Il Cairo e Mosca.
La Libia è tornata a essere il primo Paese dei flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale verso l’Italia.Il protrarsi della situazione di instabilità interna è un elemento determinante nella crescita della spinta migratoria (+75,8%).Nei primi otto mesi di quest’anno la guardia costiera libica ha respinto 14.157 persone. Importanti sono gli arrivi dalla Turchia che, dall’inizio dell’anno, hanno registrato un incremento del 43%. Un altro fronte caldo è quello dell’Egitto. Da questo Paese dall’inizio del 2022 sono arrivati 18.000 migranti su 88.100 sbarcati. Quasi un migrante su quattro è fuggito dal regime di Al Sisi, una quota in netto aumento rispetto agli ultimi anni.
Questa crescita di flussi dall’Egitto è un palese fallimento delle politiche di cooperazione adottate dall’Ue con Il Cairo, costate decine di milioni di euro. Il rapporto con l’Egitto è delicato dal momento che l’Italia è il primo partner commerciale. Secondo un dossier di Recomm, all’ombra delle piramidi si trova «il volume maggiore delle riserve di gas di Eni, oltre il 20% del totale. La produzione nel Paese del big energetico rappresenta il 60% del totale nazionale». L’Unione Europea ha siglato un accordo con Il Cairo, che prevede lo stanziamento di 80 milioni di euro da parte di Bruxelles per un programma di gestione delle frontiere.
«Pechino sfrutta le risorse ma non dà lavoro»
«La transizione ecologica così come è interpretata dalla Cina, con lo sfruttamento dissennato delle risorse minerarie africane, contribuisce a condizioni di lavoro inumane e contrarie alle convenzioni internazionali, allo spopolamento di aree agricole e in generale all’impoverimento di vasti territori. Sono fattori che negli ultimi dieci anni hanno contribuito ad aumentare i flussi migratori verso l’Europa». L’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, senatore di FdI e presidente della commissione Politiche della Ue, mette l’accento su un aspetto degli esodi migratori dall’Africa poco esplorato: la strategia di espansione cinese in Africa.
In che misura la politica di Pechino influisce sull’immigrazione?
«La presenza della Cina in Africa, attuata in modo più intenso dal presidente Xi, avviene tramite una tipologia di cooperazione allo sviluppo che unisce finalità economiche, logistiche e militari. La presenza civile è sempre accompagnata da una presenza militare che condiziona i governi locali. È quanto sta accadendo a Gibuti, per fare un esempio. Inoltre i programmi di sviluppo non hanno le garanzie del rispetto dei diritti umani e dei lavoratori. I contratti di partnership hanno condizioni che rimangono segrete e i prestiti erogati non seguono le regole delle istituzioni internazionali. In Congo e in Etiopia, grandi società estrattive che fanno capo allo Stato cinese hanno stipulato contratti a lunghissimo termine per lo sfruttamento minerario con clausole oscure».
È quella che viene definita la trappola del debito?
«Pechino presta denaro a condizioni capestro che prevedono lo sfruttamento delle ricchezze dei giacimenti di materie prime, quelle necessarie alla transizione ecologica. Intere aree agricole vengono riconvertite dalle multinazionali estere in coltivazioni intensive senza periodi di transizione utili ai coltivatori locali per apprendere le nuove tecnologie. Il risultato della trasformazione del tessuto economico e sociale è la fuga della gente del posto e lo spopolamento di vaste regioni. Si creano così migrazioni interne e verso Paesi con condizioni di lavoro garantite dai trattati internazionali e che offrono prospettive economiche migliori».
Come si può arginare questa forma di colonizzazione che spinge le migrazioni?
«Il tema va affrontato tramite politiche di sviluppo sostenibile e politiche con partenariato secondo i principi delle tutele dei diritti umani e dei lavoratori sanciti dai trattati internazionali. Ma bisogna anche attuare una gestione dei finanziamenti che preveda interventi di monitoraggio e ispettivi per evitare che i fondi prendano la via dei paradisi fiscali e vadano a ingrassare la corruzione. Basta con l’alibi del rispetto della sovranità degli Stati».
Il problema dei migranti può diventare un’arma di ricatto politico?
«Sicuramente. Le migrazioni possono diventare un’arma micidiale per ottenere effetti destabilizzanti nei Paesi ritenuti avversari. Sta accadendo in Ucraina, con 7 milioni di rifugiati migrati in Europa e 15 milioni di sfollati. Un peso che crea problemi all’Unione e complica la possibilità di accogliere chi arriva dai Paesi affacciati sul Mediterraneo».
Qual è l’influenza della geopolitica su questo tema?
«L’instabilità politica in numerosi Paesi africani spinge la popolazione a varcare i confini. Penso ai conflitti ai confini di Etiopia e Eritrea, agli eritrei vittime dei traffici di migranti. Le tensioni in Libia sono destabilizzanti. Quando si interviene con la cooperazione, la priorità è affermare lo stato di diritto e la legalità. La Convenzione di Palermo sui traffici di migranti specifica le misure da prendere per dissuadere, contrastare e lottare all’origine il fenomeno. Un Rapporto dell’Onu sui flussi illegali riguarda proprio la Libia. C’è un’indagine aperta dalle Nazioni Unite che si sta occupando di questo problema».
«Fermarli è possibile. L’accoglienza dev’essere richiesta nei Paesi d’origine»
«La Turchia è il propulsore di gran parte dei flussi illegali. Nonostante i 6 miliardi di euro che la Ue versa ad Ankara, dalle frontiere terrestri e per mare continuano ad arrivare migranti illegali che penetrano lungo le rotte balcanica e mediterranea al centro dell’Europa e in Italia. La novità di quest’ultimo anno è l’alto numero di egiziani oltre a tunisini e bengalesi». Lo dice Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi difesa e già consigliere dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini.
Sono cambiate le nazionalità degli immigrati?
«In sostanza no, ma aumentano egiziani, tunisini e bengalesi che insieme rappresentano il 54% degli ormai 90.000 giunti illegalmente in Italia dal mare tra gennaio e inizio novembre, quasi il doppio dell’anno scorso, il triplo del 2020 e 9 volte di più del 2019. Sono persone che hanno governi relativamente stabili e non sono diseredati: dal Bangladesh partono in aereo per la Libia dove si imbarcano. I tunisini usano spesso piccole imbarcazioni private».
Sono quindi migranti economici?
«Esatto. Si muovono dal loro Paese alla ricerca di migliori condizioni economiche e di un welfare generoso. E al largo le Ong sono pronte a imbarcarli».
Quindi l’incontro con le Ong è programmato?
«Attraversare il mare su barconi o barchini comporta sempre rischi, come dimostrano naufragi e annegamenti. L’agenzia Ue Frontex ha riconosciuto già da tempo il ruolo determinante delle navi delle Ong come fattore attrattivo che determina l’incremento dei flussi illegali e quindi del business dei trafficanti, favoriti anche dalla difficoltà della Libia di avere il pieno controllo delle acque costiere e contigue. A fine ottobre il Viminale registrava un calo dei flussi dall’Algeria (-7%) e un forte incremento da Libia (+76%), Turchia (+43%) e Tunisia (+26%) rispetto al periodo gennaio-ottobre 2021».
Come mai l’Europa continua a finanziare la Turchia nonostante i pochi risultati?
«Ankara ha troppa influenza nel Mediterraneo, Europa e Italia non possono ignorarlo. Il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, a proposito delle accuse di strumentalizzare i migranti rivolte da Atene alla Turchia, ha ammesso che Ankara non è sempre diligente a sorvegliare flussi migratori che coprono lunghe distanze su grandi barche dirette verso l’Italia. Schinas ha ricordato che la Turchia ha l’obbligo di fermare questi flussi. Peraltro dispone di una delle più grandi flotte di motovedette del Mediterraneo».
Anche la Grecia ha rivolto pesanti accuse alla Turchia.
«Atene ha detto che Ankara ammassa migranti al confine. La Turchia a sua volta ha accusato Atene di aver militarizzato le isole dell’Egeo e in particolare Lesbo, vicina alle coste turche, diventata un grande hotspot per i migranti, in violazione delle convenzioni internazionali. Tra i due Paesi il tema dei migranti si inserisce nella diatriba per il controllo degli spazi marittimi ricchi di risorse energetiche che sta innescando una pericolosa crisi».
La Turchia ha un legame con le organizzazioni criminali?
«Difficile provarlo; di certo è il punto di partenza e il propulsore di gran parte dei traffici dei migranti illegali che si muovono verso l’Europa. Le rotte terrestri attraverso i Balcani partono dal territorio turco, così come quelle marittime dirette verso le isole greche e verso l’Italia. I flussi libici salpano dalla Tripolitania, regione sotto diretta influenza turca. Nonostante i miliardi versati ad Ankara, l’Europa non è in grado di condizionare la politica turca sui flussi».
Quindi mancando una regia europea ogni Paese interviene in autonomia?
«Per mettersi al riparo, due anni fa Malta ha stipulato un accordo con Tripoli e con la Turchia, riconoscendo così l’influenza di Ankara, e da allora le imbarcazioni dei migranti illegali vengono riportate indietro dalle motovedette libiche. La Grecia attua respingimenti riportando le imbarcazioni nelle acque turche. Mentre greci e maltesi hanno preso provvedimenti per non essere travolti dai flussi illegali, l’Italia negli ultimi anni ha riaperto i porti garantendo libero e incondizionato accesso a chiunque pagasse criminali. Come aveva riferito già nel giugno scorso Frontex, i flussi di immigrati illegali verso l’Europa sono ai massimi dal 2016 e la rotta marittima dove si registrano i maggiori incrementi è quella del Mediterraneo centrale diretta in Italia.
Come arginare l’intensificazione degli sbarchi?
«Andrebbe rafforzata la capacità di controllo delle coste e delle acque nordafricane con accordi e sostegno tecnico ed economico alle nazioni di questa regione. Inoltre Bruxelles dovrebbe premere sulle agenzie dell’Onu presenti in Libia per attivarsi maggiormente nel rimpatriare i migranti nei Paesi d’origine. Infine sarebbe utile che i singoli stati membri o l’intera Ue varino provvedimenti che impongano ai migranti di presentare domanda di accoglienza e asilo esclusivamente presso le ambasciate o gli uffici Ue nei Paesi di residenza o limitrofi, negando ogni forma di accoglienza a chiunque si rivolga ai trafficanti per raggiungere l’Europa».






