2024-04-09
        La maternità nascosta in un ospedale. Sala cede all’ideologia e avalla la «bella idea»
    
 
La statua con la madre che allatta al Mangiagalli? Così si tradisce il senso dell’opera. Ma il primo cittadino si gasa.«Mi è sembrata una bella idea». Gli è sembrata una bella idea, che ci volete fare? Il sindaco Beppe Sala se n’è subito innamorato: non avendo un’idea sua da un pezzo, e non avendo dunque una grande dimestichezza con la materia, il fatto solo di averne sentita una, l’ha mandato in estasi. Il fatto poi che questa idea arrivasse da Enrico Mentana ha fatto il resto: può il direttore del Tg La7 avere un’idea che non sia geniale? Quindi avanti, si proceda. Il sindaco Sala non ha perso un attimo e si è buttato a capofitto sulla «bella idea». Così ha potuto annunciare: «Ora so dove mettere la statua della donna che allatta». E dove, di grazia? In piazza Eleonora Duse come richiesto dalla famiglia della scultrice Vera Omodeo che l’ha donata al Comune? In un’altra piazza della città? Magari in centro per valorizzarla ancora di più? In uno spazio aperto, in un giardino, in un parco? Macché: alla clinica Mangiagalli. Cioè in un ospedale. E così l’idea bellissima si è rivelata subito per quel che è: una boiata pazzesca. Forse persino il sindaco Sala potrebbe accorgersene, a patto che sia Mentana a spiegarglielo. Enrico, ecco: non è che hai tempo per una telefonata? Per capire perché questa proposta è una boiata pazzesca basta ricapitolare rapidamente i fatti. La statua della maternità, con la mamma che allatta il figlio a seno scoperto, è stata donata alla città di Milano dalla famiglia di Vera Omodeo per essere collocata in una piazza. Era stata indicata, come si diceva, piazza Eleonora Duse, a due passi da porta Venezia. In subordine un’altra piazza. Ma la commissione tecnica del Comune, incaricata di valutare queste proposte, ha bocciato l’idea dicendo che quella statua non può essere messa in una piazza pubblica perché «non rappresenta valori condivisibili da tutti i cittadini e le cittadine» (proprio così) e dunque deve essere collocata in un luogo più nascosto come «in un istituto religioso o in un ospedale». Appena uscita la notizia, ed esplosa la polemica, Beppe Sala è insorto conquistandosi i titoli dei giornali: «Sala chiede dietrofront» (il Giornale), «Sala: va esposta» (Corriere), «Sala riabilita la statua» (Repubblica), «Sala: scelta da rivedere» (Il Giorno)… Dunque, riassumiamo: la commissione dice che va messa «in un istituto religioso o in un ospedale» e il sindaco Sala si oppone a questa decisione. Benissimo: e allora perché, dopo appena 24 ore di fiera opposizione alla commissione, al sindaco appare una «bella idea» fare esattamente quello che vuole la commissione, cioè collocare la statua in ospedale? Questo sarebbe il dietrofront? La riabilitazione? La scelta da rivedere? Scusa Mentana, forse eri un po’ distratto, capita a tutti noi. Ma sono sicuro che se lo chiami tu il sindaco Sala capisce: se ti vuoi opporre alla decisione della commissione, poi non devi fare esattamente quello che la commissione dice. Se dici che la «scelta è da rivedere», poi non puoi sottoscrivere proprio quella scelta. Se dici che la statua va esposta in una piazza, poi non puoi dire che va esposta in un ospedale. Perché c’è una certa differenza fra le due cose, come ha spiegato anche la scrittrice Daniela Padoan sulla Stampa: la statua, ha scritto, «non dev’essere consegnata alla clinica della maternità medicalizzata». Perché il senso di quella statua, e di quel dono, voleva essere esattamente il contrario della clinica Mangiagalli, con tutto il rispetto che abbiamo per essa: voleva infatti rappresentare il valore simbolico della maternità, che non è un fatto medico, non è una malattia, non è un qualcosa da rinchiudere nel recinto di un ospedale. È il senso della vita. È la bellezza del nascere. È la forza rigeneratrice dell’esistenza. Tutto quello che rende vivo e umano il nostro mondo. E che non va nascosto. Va messo in piazza con orgoglio. Ma il punto è proprio questo. Il punto è che nessuno oggi è orgoglioso della vita che nasce. Nessuno la tutela. Nessuno la difende. Anzi della nascita oggi si pensa incredibilmente di poter fare a meno. Tutti siamo nati, tutti siamo stati allattati. Eppure arriviamo al punto di stabilire dentro un municipio che una donna che allatta, come dice la commissione del Comune di Milano, «non rappresenta valori condivisibili». Che cosa c’è di non condivisibile in un gesto che accumuna tutta l’umanità, da quando esiste fino a quando esisterà? Difficile da capire se non si colloca la decisione della commissione nel mondo che disprezza la vita nascente. Nel mondo che vuole mettere l’aborto fra i diritti fondamentali della Costituzione (l’ha già fatto la Francia e giovedì a Bruxelles si vota una risoluzione per introdurlo nella Carta Ue). Nel mondo che, dunque, che non considera un valore essenziale la difesa della vita, ma la sua soppressione. Nel mondo che vuole abolire il concetto di mamma e papà, che mette l’egoismo degli adulti davanti ai diritti dei nascituri (si pensi alle adozione gay e all’utero in affitto), che non tutela i figli naturali pensando che un figlio si possa costruire in laboratorio, perché la provetta è normale e l’allattamento invece no. Un mondo così, dove dire che si è Pro Vita è considerato un affronto da lavare col fuoco e se una parlamentare va in Tv a dire che le ragazze devono avere l’aspirazione di far figli viene lapidata. In questo mondo è ovvio, la maternità, cioè la cosa più bella, più naturale, e più santa del mondo, non ha spazio in pubblico. Deve essere nascosta. Deve finire in ospedale. Come una malattia da curare. È questa la «bella idea» di Beppe Sala, ispirata da Enrico Mentana. Di meglio non si poteva fare. O forse sì, che dite? Io suggerirei di chiedere a Lilli Gruber: magari, per quella statua, propone la soffitta. O meglio: la cantina. E al sindaco di Milano sembrerà di sicuro anche questa una «bella idea». Anzi di più: geniale. Manco ne avesse avuta una lui.
        Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
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