2020-10-27
La matematica del morbo è diventata quasi un’opinione: quanti miti da sfatare
Perù e Belgio i peggiori: circa 1.000 morti per milione di abitant.i In Cina invece appena 3. In Italia grave solo il 4% dei malati.Nel clima di generale impazzimento su Covid e dintorni, diamo i numeri anche noi. Perché se la matematica non è un'opinione, i numeri evidentemente invece sì: sono opinabili. È possibile però almeno provare a ragionare, senza sconti ma anche senza ansie, cercando di sfatare alcune credenze? Nel mondo, alle 17.30 (ora italiana) di ieri lunedì, eravamo - secondo il sito worldometer.info, che ha una sezione dedicata alla pandemia - più di 7.821.171.495 (il contatore si aggiorna in tempo reale, quindi nell'intervallo tra la mia scrittura e la vostra lettura il totale sarà cresciuto). Casi di coronavirus ufficialmente registrati a livello planetario: 43.506.237. Morti 1.161.185.Guariti, dato confortante, 31.983.739. La differenza, 10.361.313, sono i casi attivi (nella vulgata massmediatica apocalittica, «casi» è stato sostituito con il più impressionante «positivi», senza che venga mai aggiunta l'avvertenza: «positivo» non significa «malato», ma tant'è). Ora: qual è il Paese con più casi e più decessi? Gli Stati Uniti: rispettivamente 8.892.111 e 230.515.Ma non è la nazione messa peggio. Se si analizza la graduatoria del «numero di morti per milione di abitanti» (331.621.597 negli Usa), con 695 vittime si colloca all'ottavo posto.Il poco invidiabile record è del Perù (l'unico paese a infrangere la barriera dei mille: 1.031, con 34.149 scomparsi su 33.116.739 abitanti), seguito dal Belgio, il paese europeo messo peggio: 931 morti per milione (10.810 su una popolazione di 11.605.739 persone; attenzione però: in Europa quanto a casi è la Russia al primo posto, 1.531.224, poi c'è la Francia, 1.138.597). Dietro al Perù, nella sezione «morti per milione», ci sono nell'ordine Spagna, Brasile, Bolivia, Cile, Ecuador, appunto gli Usa, Messico, Gran Bretagna, Argentina e Italia (noi ci fermiamo a 620, 37.479 morti su una popolazione di 60.433.211 cittadini).E Cina e India, gli unici due paesi sopra il miliardo di anime, 1.441.121.498 i cinesi, 1.384.430.818 gli indiani (pensate che terzi sono gli Stati Uniti, a più di un miliardo di persone di distanza)? L'India è secondo dopo gli Usa quanto a casi, 7.909.959, ma con 86 morti su milione (119.030 in totale).La Cina, la madre di tutti i focolai, addirittura 3 (avete letto bene: 3 morti per milione), 4.634 morti in tutto, e 85.810 casi, che la pongono al 54esimo posto in classifica (noi siamo al 14esimo, con 542.789).Ma l'India si può consolare: è il paese in cui si guarisce di più, 7.137.228, gli Usa si fermano a 5.772.717.«Quasi la metà dei nuovi contagi del mondo, domenica 25, è registrata nel vecchio Continente», è stato scritto ieri.Bene, anzi: male, in generale.Però se si va a controllare quali siano i primi 15 paesi quanto a casi, si nota come il virus, ad oggi, è in 7 paesi del Nord e Sud America che ha fatto i danni maggiori.Nei primi 15 posti, sommando infatti i numeri di Usa, Brasile, Argentina, Colombia, Messico, Perù e Cile, arriviamo a 18.672.117. Gli altri 8 paesi sono cinque in Europa (Russia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Italia, 5.179.685 in totale) e tre no: India, Sud Africa (715.868) e Iran (574.856).Come si vede, ai numeri si possono far dire cose diverse. Anche a casa nostra.Alla fine di aprile, quando - al termine del lockdown - ci fu una conferenza stampa dell'Iss, Istituto superiore di sanità, nelle persone del presidente Silvio Brusaferro e del direttore del dipartimento Malattie infettive Gianni Rezza, furono forniti due dati. I positivi asintomatici - fu detto - «potrebbero essere tra il 4 e il 7% della popolazione» (quindi tra 2.400.000 e 4.200.000 persone: verrebbe da dire che non servono i tamponi, lo sapevamo già). Non basta: il 10% delle trasmissioni - fu aggiunto - «si stima da persone che non hanno sintomi». Tradotto: solo il 10% degli asintomatici sono contagiosi.Oggi come siamo messi? Graziano Onder, direttore del dipartimento di malattie cardiovascolari endocrino-metaboliche e dell'invecchiamento dell'Iss, ha reso noto che se «a marzo il 62% dei deceduti soffriva di tre malattie, la percentuale è salita al 73%» (ergo: quelli con meno patologie si salvano di più). Inoltre, se prima l'età mediana dei morti era più alta di 15 anni rispetto a quella di chi aveva contratto l'infezione, ora la differenza è salita a 25 anni, tenendo conto che rispetto a marzo l'età media degli scomparsi (29,4% donne) era di 80 anni, quella fotografata all'inizio di ottobre è salita a 82 (42,7% donne).Il che non significa che sia giusto o consolante così, ovviamente, o che non ci siano morti tra i giovani. Solo che per quanto riguarda gli under 50, la percentuale dei decessi è rimasta invariata: l'1,1%.Intendiamoci: i numeri vanno attinti dalle fonti qualificate, e non sparati a casaccio.Il professor Giorgio Palù, già presidente della Società italiana ed europea di virologia, ha sostenuto con il Corriere della sera che il 95% dei positivi al tampone è asintomatico. Peccato che il bollettino dell'Iss affermi invece che «gli asintomatici sono il 55%, i paucisintomatici il 17%, i lievi il 24%, i critici il 4%». Lettura che randella Palù, ma anche gli anatemi dei catastrofisti: il 55% non ha sintomi, il 41% pochi e leggeri, solo 4 su 100 è messo davvero male. Ed è una cosa che addolora, pensando a loro e alle loro cari, ma non sarebbe ora di ripetere con Franklin Delano Roosevelt: «L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa»?
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)