2020-04-08
La mancetta di Conte finirà tutta in tasse
Il premier vanta la «potenza di fuoco» del decreto liquidità, ma nelle bozze si parla di appena 1,5 miliardi stanziati, a cui se ne potrà aggiungere un altro. Quanto ai prestiti alle imprese, gli unici fondi certi serviranno a pagare le imposte che il governo ha rinviato.Miracoli della «potenza di fuoco», espressione non lontana dalla mitica «alabarda spaziale» di Goldrake. Sprezzanti del pericolo (e del ridicolo), questo è ciò che hanno raccontato Roberto Gualtieri e Giuseppe Conte varando il cosiddetto decreto liquidità, definito «poderoso» dal premier e dal suo ministro. Riprendiamo un'incredibile velina del Mef, che andrebbe segnalata alla task force anti fake news: «Trovata l'intesa sul pacchetto liquidità, in grado di mobilitare risorse per oltre 750 miliardi di euro, oltre 400 in più rispetto ai 350 miliardi già previsti nel Cura Italia». E ancora, rullo di tamburi: «Si liberano 200 miliardi per la liquidità con garanzie fino al 90% per tutte le imprese, e 200 miliardi per il sostegno dell'export». A livello micro, cioè dal punto di vista del singolo imprenditore o partita Iva, La Verità ha già raccontato ai lettori il reale stato delle cose, ben lontano dalle fanfare governative. L'unico treno che viaggia sicuro e veloce è quello dei microprestiti: per le Pmi, la garanzia al 100%, senza valutazione del merito di credito, sarà infatti solo per i prestiti più piccoli, fino a 25.000 euro. Per i prestiti fino a 800.000 euro la garanzia sarà al 100% (90% Stato e 10% Confidi), ma con una rigorosa valutazione bancaria della solvibilità. Per le imprese grandi e medie, è confermato il ruolo di Sace, con garanzie fino al 90% (comunque fino a 5 milioni), ma anche qui sulla base di una valutazione del merito di credito. Tradotto brutalmente: un imprenditore magari al limite, con qualche segnalazione o con qualche precedente ritardo di pagamento, rischia di cadere inesorabilmente vittima delle forche caudine delle valutazioni bancarie, del rating, del merito. Tutte cose in grado di ritardare o precludere l'accesso a una liquidità letteralmente vitale. Ma esaminando i dettagli, viene fuori che la fregatura c'è anche a livello macro. Una vera operazione di garanzia pubblica, cioè la reale apertura di un ombrello minimamente adeguato, avrebbe richiesto almeno uno stanziamento di 25-30 miliardi: tenendo presente che in genere si calcola un «effetto leva» circa venti volte superiore alle garanzie. E invece, dalle bozze che La Verità ha potuto esaminare, si parla di uno stanziamento di appena 1,5 miliardi (per l'anno 2020), a cui la mano di chi ha redatto la bozza annota di valutare l'eventuale «aggiunta di un ulteriore miliardo come da indicazioni politiche». Insomma, nella migliore delle ipotesi, 1,5 più 1, cioè la miseria di 2 miliardi e mezzo. Senza scomodare la moltiplicazione dei pani e dei pesci (sarebbe blasfemo), ci vuole davvero molta fantasia per immaginare che da questa base possano venir fuori 200 miliardi di liquidità. E in fondo, il pendant di questa operazione furbesca sul versante della liquidità, lo si ritrova anche nella parte del decreto che riguarda i rinvii fiscali. Qualcuno si è chiesto: per le tasse, perché seguire la strada dei mini rinvii, quando l'opposizione continua a chiedere (giustamente) un «anno bianco»? Elementare: perché questi piccoli rinvii di qualche settimana consentono al governo il gioco di prestigio contabile di non prevedere alcun indebitamento ulteriore per il 2020. Non sia mai che una mossa diversa possa far innervosire gli uomini di Bruxelles, ai cui umori Roberto Gualtieri è ultrasensibile…La realtà è dunque molto triste per imprenditori e contribuenti. E per scorgere i contorni della fregatura, occorre mettere insieme le due parti del decreto, quella sulla liquidità e quella sulle tasse. Alla fine della fiera, il governo dà semaforo verde solo ai microprestiti sufficienti a farci pagare le tasse, che nel frattempo si è limitato a spostare soltanto di poche settimane, fino a giugno. Ricapitolando: prima ti faccio chiudere, poi ti sposto le tasse di pochissimo, e poi ti faccio indebitare quasi solo nella misura sufficiente per pagarle. Stop. A ben vedere, il prestito (per pagare le tasse) è l'escamotage di aprile, dopo che a marzo Gualtieri ne aveva usato un altro ancora più rozzo, per massimizzare le entrate della scadenza fiscale del 16 marzo: rinviarla solo all'ultimo momento, cioè nel weekend (il 16 marzo era lunedì), con annuncio soltanto il venerdì sera precedente, a uffici dei commercialisti già chiusi e con ordini di pagamento già dati dai contribuenti e dai loro professionisti di fiducia. E quando diversi clienti hanno provato a revocarli, non ci sono nemmeno riusciti, perché il pagamento era già entrato nei canali telematici dell'Agenzia delle Entrate. A marzo, dunque, beffa attraverso un uso furbo della tempistica; tra aprile e giugno, beffa attraverso un microprestito che si risolverà in una partita di giro, destinata a concludersi con i tentacoli del fisco che si prenderanno tutto quel poco che c'è sul tavolo. Prevedibili «fallimenti a raffica e pagamenti saltati», ha annotato giustamente il leghista Massimo Garavaglia. E i mirabolanti annunci di Conte e Gualtieri? Ha ragione il direttore di Atlantico Federico Punzi: più «potenza di fumo» che «potenza di fuoco».
Jose Mourinho (Getty Images)