2018-05-13
La maledizione di Allegri: ha vinto come pochi ma nei cuori juventini per lui non c’è posto
Dopo quattro Coppe Italia arriva il quarto scudetto di fila. Eppure, metà del tifo bianconero lo manderebbe via. È come per Carlo Ancelotti, nessuno dimentica il suo passato da rivale della Vecchia signora, nonostante ci siano giocatori come Sami Khedira e Mario Mandzukic che salterebbero dal tetto per devozione.«Vi aspetto tutti lì». L'appuntamento di Massimiliano Allegri, lanciato in diretta Rai ai suoi detrattori dopo avere brindato nella Coppa Italia, non è davanti alla bacheca dei trionfi juventini, ma lungo il fiume dell'eternità. Dove lui è già seduto con un quadrifoglio in bocca ad attendere chi passa galleggiando sul pelo dell'acqua. È il rumore dei nemici di Josè Mourinho, è lo sfogo di un uomo che in quattro anni ha vinto quattro scudetti e quattro Coppe Italia, si è guadagnato due finali di Champions League e l'ammirazione di tutta l'Europa del calcio, ma che in Italia deve guardarsi le spalle ogni maledetta domenica. Tranne questa, quando parcheggerà il carroarmato bianconero dentro il perimetro del 34º titolo italiano e nessuno oserà, per un giorno, criticarlo.«Sono così complicati che arrivo a non capire le loro domande, eppure non sono analfabeta», rivela agli amici il tecnico livornese, che non si lascerà rovinare la festa dai giornalisti, ma che vorrebbe scappare da tutte le celebrazioni come fa al 90° di ogni partita, quando infila di corsa il sottopassaggio dello Stadium mentre i suoi corrono verso la curva. Allegri è stanco, la stagione è stata durissima, i suoi guerrieri hanno risposto ancora una volta. È stanco e non sopporta il balletto dei critici a vuoto, ai quali ha dedicato una doppia entrata come quella di Miralem Pjanic su Rafinha: prima a Lele Adani, commentatore di Sky, poi a Mario Sconcerti, guru calcistico della Rai, che la sera del 4-0 al Milan gli aveva chiesto - neanche fosse Victor Hugo davanti a Napoleone in esilio - se sentiva gli scricchiolii della fine. Allegri è diventato paonazzo in diretta, ha tuonato perdendo le staffe («In questo sport ci sono molti rischi come nel Monopoli, ma voi fate domande assurde. Io però ho pazienza da vendere») e se n'è andato scagliando l'auricolare fuoricampo. Il motivo è quello di sempre: i raffinati del pallone vorrebbero una Juventus filosofeggiante, un'orchestra che suona la Pastorale come il Napoli di Maurizio Sarri giocando a velocità supersonica e dominando sempre. Per poi ritrovarsi con la lingua fuori davanti al traguardo e «zero tituli» in tasca. Li chiamano modernisti, vivono per lo spettacolo anche se criticano il colpo di tacco. Ma Allegri sa che per vincere bisogna saper soffrire, perfino giocare male, speculare, lottare nel fango come sapeva fare lo stesso Milan di Arrigo Sacchi, ma nessuno se lo vuole ricordare. Tra l'altro quel Milan era micidiale in Europa, ma perse tre scudetti consecutivi (dall'Inter, dal Napoli, dalla Sampdoria) proprio perché non riuscì a gestire le forze. Vincente e spernacchiato. Attorno ad Allegri sta accadendo qualcosa di surreale e lui non riesce a spiegarselo. È la stessa situazione assurda nella quale era finito Giovanni Trapattoni, liquidato come un catenacciaro dalla critica infatuata di Sacchi, dopo avere vinto con l'Inter tedesca (Lothar Matthäus e Andreas Brehme) un campionato con il record di punti. Per Allegri come per il Trap il sistema di gioco conta poco. «A me dei moduli non me ne frega nulla, l'importante è che tutti i giocatori occupino gli spazi nella maniera giusta», ripete da un paio d'anni. Lui giocherebbe anche con il 2-6-2, basta che i suoi ragazzi rispondano con intelligenza, corsa e tecnica. L'imprevedibilità è la sua forza, non lo convinceranno mai ad abbassare la cresta e adeguarsi a uno spartito unico, solo Juan Cuadrado terzino non si può vedere. Per capire Allegri bisognerebbe essere mosche e partecipare dall'alto a una cena con il suo maestro Giovanni Galeone davanti a una bottiglia di rosso. Lì non si parla di Juventus e di moduli, di sovrapposizioni e di gente che passeggia tra le linee. «Ti ricordi il nostro Perugia, il nostro Pescara? Si faceva tutto con semplicità, velocità e tecnica. Era un piacere vederli». Anche buona parte dei tifosi della Juventus dovrebbe assistere con una metamorfosi kafkiana a quelle conversazioni. Perché il colmo dell'assurdo è che Allegri non ha ancora convinto lo zoccolo duro degli orfani di Antonio Conte. Al primo pareggio sofferto - capitò in marzo a Ferrara con la Spal - i bianconeri da social lo hanno mandato a stendere, qualcuno ne ha chiesto la testa. «Sei una vergogna, sai solo speculare». «Con quella rosa vincerei tutto anch'io». Gente molto insensibile, per usare la definizione dell'anno, come quella che andò a contestarlo a Vinovo con la scusa di stimolare la squadra.Com'è possibile imbastire il processo a un tecnico che ha vinto quattro scudetti e quattro Coppe Italia in quattro anni? Nessuno se lo spiega. Chi sa di cose sabaude sostiene che Allegri non ha il sangue bianconero dalla nascita, non ha la patente invocata da Alberto Sordi e il giorno del gol annullato a Sulley Muntari stava sulla panchina sbagliata. Insomma, sarebbe affetto dalla sindrome che colpì Carlo Ancelotti. Faide senza senso che non si riverberano dentro lo spogliatoio, dove lui è qualche volta amato e sempre rispettato perché riesce a tenere in panchina Gonzalo Higuain quando lo vede male in allenamento, perché lascia il palcoscenico ai calciatori, perché ha la forza di indicare la porta a chi lo contesta, come fece con Leonardo Bonucci un anno fa. «Sami Khedira e Mario Mandzukic per lui si butterebbero dal decimo piano, ma la gente questo non lo capisce», spiega un addetto ai lavori che lo conosce bene. Non a caso sono i due giocatori di maggiore esperienza e respiro internazionale. Scudetto, brindisi, poi tutti in vacanza. Con un tormentone pronto: Allegri va o resta? Anche qui le congetture si affastellano, si parla di corte dell'Arsenal, di pressing del Chelsea, ma la realtà sembra più semplice di quella ipotizzata e non va nella direzione preferita dai contestatori. Allegri ha ancora un contratto di due anni e Andrea Agnelli non ha alcuna intenzione di scioglierlo. C'è un cambio generazionale in atto; la prossima stagione l'unico juventino nell'undici titolare - fra quelli che lui trovò quattro anni fa - sarà Giorgio Chiellini. Una mutazione genetica di questa portata non può essere gestita al buio, a meno che lo stesso Max stanco e irritabile non dica: «Mi dimetto e sto fermo un anno». Per poi ripartire da re. È molto difficile. Più probabile vederlo ancora su quella panchina a cercare di convincere tifosi diffidenti, nel tentativo supremo di polverizzare l'ossessione del club conquistando la coppa dalle grandi orecchie. Sarebbe il gesto supremo, quello che azzera tutto e davanti al quale lui diventerebbe un profeta come lo sono Sacchi per i milanisti e Mourinho per gli interisti. Se porti a casa il Santo Graal sei immortale. Allora, ma solo allora, questo livornese timido e testardo che si fa beffe dei moduli ma non degli uomini, si toglierà il quadrifoglio di bocca e smetterà di aspettare sul bordo del fiume.
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