2019-11-23
La maggioranza va in pezzi sul Mes e Conte fugge dal padrone francese
Vertice teso: M5s e Leu attaccano la riforma, Pd e Iv sono pro. Ma al momento di tirare le somme il premier va da Pierre Moscovici.Se le contraddizioni dei gialloblù esplosero sull'Alta velocità, questo esecutivo potrebbe invece deflagrare sul nodo europeo.Lo speciale contiene due articoli.Nulla di fatto e palese divaricazione nella maggioranza sul Mes, con un vertice a Palazzo Chigi che doveva essere decisivo e invece si è rivelato meramente interlocutorio, lasciando intatta la distanza tra le parti. Vertice - aspetto surreale della vicenda - interrotto sul finire perché Giuseppe Conte doveva incontrare il commissario Ue che in questi giorni era a Roma a lanciare avvertimenti, il francese Pierre Moscovici. Tra i partecipanti, oltre a Conte e a Luigi Di Maio (affiancato dai deputati Raphael Raduzzi e Alvise Maniero) gli altri ministri Enzo Amendola, Roberto Gualtieri, Federico D'Incà e Dario Franceschini (anche nella veste di capodelegazione del Pd al governo), mentre per i renziani di Italia Viva c'era Luigi Marattin e per l'ala sinistra della coalizione Stefano Fassina. La versione fatta circolare dal Mef dopo la riunione è a dir poco edulcorata: «A Palazzo Chigi si è svolta una riunione utile e costruttiva, durante la quale il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha illustrato i contenuti della riforma del Mes, difendendone i punti di forza ed i miglioramenti che interessano l'Italia». Sempre secondo questa versione, vi sarebbe stata «forte sintonia sulla necessità che, riguardo al terzo aspetto del pacchetto richiesto dall'Italia a giugno che riguarda l'introduzione della garanzia sui depositi nell'ambito del completamento dell'Unione bancaria, la roadmap sia sufficientemente ambiziosa e salvaguardi gli interessi del Paese». Su queste basi, dicono ancora fonti del Mef, «nei prossimi giorni si terranno ulteriori approfondimenti sugli aspetti più tecnici del trattato». A dare manforte a Gualtieri, anche il racconto dei renziani, in tutto e per tutto convergente. Per Marattin, «la maggioranza non ha ancora raggiunto una soluzione, ma si continua a ragionare. Oggi c'è stato uno scambio di opinioni per approfondire», poi la riunione è «stata aggiornata perché ognuno aveva degli impegni». Sempre secondo Marattin, c'è stata «una buona discussione sul merito», per quanto sia «evidente che ci sono ancora valutazioni diverse»: ci sono «problemi tecnici importanti, anche appassionanti, su cui la maggioranza sta ragionando bene sul merito. Continuiamo a ragionare e troveremo sicuramente una linea comune».Ma La Verità è in grado di raccontare tutta un'altra storia, testimoniata da fonte diretta, da chi cioè ha pure partecipato al vertice. La spaccatura è stata netta: da una parte la chiara contrarietà al Mes sia dei grillini (Di Maio ha tenuto il punto) sia di Fassina, che ha avanzato numerose obiezioni politiche e tecniche; dall'altra, il Pd, i renziani e Gualtieri sulla barricata opposta, solo con sfumature tra chi ritiene irrilevanti le modifiche al funzionamento del Fondo salvastati, e chi addirittura le giudica positive per l'Italia.Gualtieri, in particolare, sarebbe un pasdaran del sì, e non potrebbe essere diversamente considerando l'uomo che aprì per lui la campagna elettorale ala vigilia del rinnovo dell'ultimo Parlamento europeo: proprio Pierre Moscovici, che ieri attendeva Conte nell'altra stanza. Ciò che allarma i contrari alla riforma del Mes, anche nella maggioranza, è il fatto che Gualtieri abbia evocato -non solo nella nota citata prima ma anche nella riunione - un concetto vago come quello della «roadmap». Come se l'Italia potesse accontentarsi di un testo completo sul Mes e di un mero indice (magari corredato da una cronologia) sugli altri punti. Di mezzo, ma di fatto convergente con Gualtieri, un Conte amletico, che per tutta la riunione si è limitato a ripetere lo scioglilingua del «pacchetto», fingendo di non sapere che la parte sull'Unione bancaria sarebbe altrettanto pericolosa per l'Italia di quella sulla riforma del Mes. Da UnoMattina, intanto, Matteo Salvini non ha risparmiato colpi: «Organizzate un confronto qui a Unomattina con Conte sul Mes? Se lui viene qua o fa la figura del bugiardo o dello smemorato. Non vorrei che Conte avesse venduto la nostra sovranità per tenersi la poltrona. Se fosse andata così, allora saremmo di fronte ad alto tradimento. E, in pace come in guerra, è un reato punibile con la galera». Del resto, già la sera prima erano partiti colpi pesanti da ambo le parti. In modo abbastanza scontato, Conte aveva cercato di chiamare la vecchia maggioranza in correità politica: «Lo stesso partito che partecipava a vertici di maggioranza sul tema scopre l'esistenza del Mes e grida allo scandalo: questo è un atteggiamento irresponsabile. Come i cittadini pretendono dal governo un atteggiamento responsabile, così io pretendo un'opposizione seria». Salvini aveva reagito pesantemente: «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. Se fosse onesto direbbe che a quei tavoli, così come a ogni dibattito pubblico, compresi quelli parlamentari, abbiamo sempre detto di no al Mes. Non è difficile da ammettere e del resto, se necessario, ci sono numerose dichiarazioni a testimonianza della contrarietà espressa da tutti i componenti della Lega, ministri compresi, su questo argomento. Cosa teme il presidente del Consiglio? Ha forse svenduto i risparmi degli italiani?»<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-maggioranza-va-in-pezzi-sul-mes-e-conte-fugge-dal-padrone-francese-2641436517.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sui-giallorossi-il-trattato-puo-replicare-leffetto-tav" data-post-id="2641436517" data-published-at="1758239247" data-use-pagination="False"> Sui giallorossi il trattato può replicare l’effetto Tav E ora che succede sul Mes? Dopo l'esito contraddittorio e incerto del vertice politico di ieri, come si è lasciata la maggioranza? Quando e come i rappresentanti dei partiti torneranno a discutere? I partecipanti al summit hanno concordato di rivedersi la prossima settimana (ma la data non c'è ancora), né si vede quale compromesso sia possibile tra posizioni politiche così divaricate. La stessa natura della materia non si presta a compromessi lessicali o a pasticci politici: il 13 dicembre, in occasione del vertice europeo, l'Italia è chiamata o a dire sì o a dire no. Tertium non datur. E - a meno che qualcuno non si sia già impegnato e incatenato con Berlino, Parigi e Bruxelles - l'Italia avrebbe tutto l'interesse quanto meno a ventilare sin da ora l'arma del veto, trattandosi di un tema su cui occorre l'unanimità. Ma, oltre agli incontri politici, occorre mettere in agenda due appuntamenti istituzionali che avranno un peso. Il primo sarà il 27 novembre, quando il ministro Roberto Gualtieri si recherà davanti alle commissioni riunite del Senato Finanze e Politiche Ue. E non sarà facile per il titolare del Mef aver a che fare - oltre che con gli altri commissari - con uno dei presidenti delle due commissioni, il leghista Alberto Bagnai, che da giugno scorso ha in ogni sede marcato una posizione limpidamente contraria alla riforma del Fondo salvastati, sia nel merito sia nel metodo, richiamando il governo (quello di allora e quello di adesso) al rispetto del preciso obbligo di preventiva informazione del Parlamento sui temi che impegnino l'Italia in sede internazionale o che configurino sostanziali cessioni di sovranità.Il secondo appuntamento sarà in Aula il 10 dicembre, alla vigilia del Consiglio europeo. E qui c'è un aspetto di elevatissima valenza istituzionale e politica che va sin d'ora preso in considerazione. Prima dei vertici europei, è prassi che il premier si rechi in Parlamento non solo per anticipare i temi in discussione e la posizione che terrà in sede Ue, e ovviamente per ascoltare il relativo dibattito parlamentare, con sua replica finale ai discorsi dei rappresentanti dei gruppi. Ma attenzione, in quelle sedute accade di più, e non ci si limita soltanto a una discussione orale e non impegnativa: alla fine vengono messe ai voti delle risoluzioni, che vincolano il governo a un certo atteggiamento. La formula di quelle risoluzioni prevede infatti delle premesse (l'esposizione delle considerazioni svolte dai gruppi) seguite da una parte impegnativa («la Camera» oppure «il Senato impegna il governo a...»), con l'elenco dei punti vincolanti per il governo, una volta approvati. Da quel momento in poi, il governo non può recarsi a Bruxelles a dire e a fare altro: sarebbe uno strappo clamoroso.Di solito, i gruppi di opposizione presentano documenti che vengono respinti dal governo e dalla maggioranza, mentre i gruppi che compongono la coalizione di governo firmano un documento comune, che di fatto esprime - insieme - la loro posizione e quella dell'esecutivo. La domanda è: come faranno i capigruppo di Pd e Italia viva da una parte (pro Mes) e quelli di Leu e M5s (anti Mes) dall'altra a scrivere e a firmare il medesimo documento? Morale: o viene trovata (esercizio ai limiti dell'impossibile) una convergenza di cui ad oggi non si vede alcun segno, oppure rischia di verificarsi per i giallorossi la stessa deflagrazione che si verificò ai tempi dei gialloblù sulla Tav. E se qualcuno pensa di cavarsela con testi in politichese, concepiti per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, stavolta fa male i suoi calcoli. Non solo perché le opposizioni sono compatte, ma perché ormai l'attenzione dell'opinione pubblica è altissima su questo dossier. Basterà attendere qualche giorno e ne capiremo di più.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
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