
Il 5 marzo 2018, a 24 ore dal trionfo del M5s alle elezioni, l'università annunciò l'arrivo di un bonifico dall'isola. Si trattava di un fumoso aumento di capitale, poi non andato in porto, i cui dettagli restano avvolti nel mistero. C'era molta fibrillazione, agli inizi del marzo 2018, nei corridoi della Link campus university. In quei giorni Luigi Di Maio aveva appena presentato la sua «proposta di governo» M5s con ministri in pectore provenienti dal corpo docente del piccolo ateneo romano (Elisabetta Trenta andrà effettivamente alla Difesa nel Conte 1, mentre nel Conte 2 diventerà sottosegretario Angelo Tofalo, studente del master di Intelligence). Le elezioni del 4 marzo segnano la vittoria travolgente dei grillini e il tracollo del Pd. Si fa festa. E il giorno dopo, lunedì 5 marzo, Vanna Fadini, a capo della Global education management srl (Gem), la cassaforte della Link, corre in banca per comunicare l'imminente arrivo di un maxi-bonifico di 9 milioni di euro da Malta. Un accreditamento fantasma visto che non sarà mai registrato. Questi soldi aleggiano sul Casale San Pio V, sede dell'ateneo nei giorni in cui sulla stampa italiana divampa il Russiagate e iniziano a girare sui media i nomi del misterioso avvocato Stephan Claus Roh e dell'introvabile «professore» maltese Joseph Mifsud, assurto agli onori delle cronache già nell'autunno 2017 per il presunto ruolo di complottardo contro Hillary Clinton e, successivamente, come cospiratore anti Donald Trump. Sia Roh che Mifsud erano legati alla Link campus university e adesso li ritroviamo nella nostra storia.Torniamo a quel lunedì post elezioni. Superati i metal detector all'ingresso, la Fadini, amministratore e titolare del 77% della Gem (la signora detiene anche il 60% della Link consulting srl), si dirige con passo sicuro verso l'ufficio del direttore della banca. Con sé ha due delibere assembleari per giustificare la transazione dall'estero. «È l'aumento di capitale della società», spiega la donna al direttore dell'istituto. E annuncia che una sigla maltese, la Suite Finance Scc Plc, è stata cooptata come socio nella compagine che si occupa di gestire i servizi dell'università. Come detto, però, quel denaro non passerà mai sui conti della società. Perché?Per saperne di più abbiamo provato a contattare la Fadini. Ma la signora ha la stessa reperibilità di uno spettro. Nel tempo ha cambiato più volte il numero del telefono e non accetta di ricevere domande dalla viva voce dei cronisti. Solo quesiti scritti, filtrati dal cordone di sicurezza che protegge la sua privacy. Ma la Fadini non è un comune soggetto privato, bensì l'ad di una società che gestisce i servizi e fa da cassaforte di un'università che riceve diversi milioni di contributi pubblici per i suoi master.Purtroppo la trasparenza non è di casa alla Link e così ci dobbiamo accontentare dei verbali di assemblea della Gem, per fortuna pubblici. Il 19 aprile 2018, un mese e due settimane più tardi dal suo passaggio in banca, l'imprenditrice annuncia ai soci di «aver individuato nella società di diritto maltese Suite Finance Scc Plc, con sede in Malta, il profilo idoneo cui proporre la sottoscrizione». In che modo e tramite chi abbia scelto proprio questa ditta, la donna non lo rivela. Almeno ufficialmente.Nel corso della medesima riunione, specifica solo «che detta società (la Suite, ndr) ha già espresso, come oggi conferma, il proprio impegno a procedere in tal senso entro breve termine». E infatti, nell'ufficio romano di via Cesare Beccaria dove si sta svolgendo l'assemblea, entra un uomo. La manager lo presenta: si chiama Gabriele Carratelli ed è lì «nella dichiarata qualità di amministratore e legale rappresentante» della società maltese. Dunque, in quel momento, tra la Gem e la Suite finance, esiste solo una dichiarazione d'intenti. Che però non verrà mai formalizzata, come spiega lo stesso Carratelli al nostro giornale: «L'operazione finanziaria non è andata in porto perché non era fattibile, non c'erano i presupposti». E la sua presenza all'assemblea dei soci a Roma, allora? «Per me, era un incontro preliminare. Poi l'iniziativa non si è conclusa ed è decaduta». E sul bonifico annunciato dalla Fadini, l'uomo d'affari specifica: «Può aver detto quello che ha detto, la realtà è che non abbiamo concluso alcun accordo. Non c'era un contratto firmato, mi sembra». Insomma l'aumento di capitale che il 5 marzo la Fadini dava per fatto, per Carratelli, pur presente in assemblea, non era «finanziabile». È possibile una tale fraintendimento su un'operazione di questo calibro?«Alla Link erano in attesa di soldi russi che dovevano arrivare da Malta», rammenta un ex docente della Link per anni molto addentro alle segrete cose. «Si vociferava che lo stesso Mifsud fosse coinvolto in questa storia. Non erano finanziamenti dell'Università Lomonosov, con cui c'era una collaborazione accademica, ma denari di qualche gruppo imprenditoriale russo» continua la nostra gola profonda.Lo snodo per l'operazione avrebbe dovuto essere Malta. È utile, a questo punto, ritornare sulla figura di Carratelli. È un immobiliarista toscano che si è fatto le ossa tra Siena e Roma. A Malta è socio nella Suite finance insieme con tal Simone Rossi, un mediatore creditizio umbro. La loro società maltese compare nei Paradise papers, l'elenco di investimenti offshore effettuati in paradisi fiscali e attenzionati da un consorzio internazionale di giornalisti investigativi. L'azienda fa parte del Suite capital group, holding che «fornisce servizi finanziari alle imprese e una gestione degli investimenti su misura» con uffici nella Repubblica Ceca, in Svizzera e in Inghilterra, in pratica tutti Paesi a fiscalità agevolata. Da che cosa potesse nascere il loro interesse per la formazione universitaria in Italia non è dato sapere. Carratelli, con La Verità, si è limitato a ribadire che si è trattato di «operazione finanziaria non possibile».Il socio Rossi - da quanto risulta al nostro giornale - ha pregiudizi di conservatoria e fallimenti a proprio carico. Strascichi giudiziari che lo accomunano proprio a colei che, dalla società maltese, attendeva con ansia i 9 milioni di euro di aumento di capitale per la Gem subito dopo l'exploit dei grillini alle Politiche. Una storia interessante, quella di Vanna Fadini.Originaria di Ferrara, 64 anni, inizia la scalata con una pellicceria di lusso a Roma. Poi passa al settore della comunicazione e diventa esperta di promozione territoriale. Il passaggio agli ambienti della politica è naturale. Un contestato incarico a Ragusa da 70 milioni di lire, ratificato nel 1996 dal ministero della Funzione pubblica, all'epoca guidato da Franco Frattini, le costa un'aspra citazione in una interrogazione parlamentare; nel 2008 i giornali la segnalano nei viaggi ufficiali della Farnesina insieme al sottosegretario Scotti. Anni dopo, Frattini diventerà membro del Cda e professore straordinario della Link, e lei la manager che ha in pugno i destini finanziari dell'Ateneo di cui Scotti è rettore. Nel 2015, la Fadini finisce indagata in una inchiesta della Procura di Roma, con relativo sequestro preventivo, per omesso versamento delle ritenute alla fonte dal 2007 al 2009 per circa 839.000 euro sulla base dell'art. 10bis del d.lgs 74/2000. Ma ritorniamo ai verbali delle assemblee, gli unici documenti «certi» - nel senso che non spariscono come ha fatto Mifsud - di questa vicenda. L'aumento di capitale della Gem è un pensiero fisso della donna che già nella seduta del 4 agosto 2017 ne aveva parlato illustrando ai soci presenti il suo piano: passare da 18 milioni a 27 milioni e 652.000 euro, un allargamento da proporre «a terzi».Ad ascoltarla, quel giorno, c'è uno dei protagonisti del Russiagate, di cui la stampa italiana inizierà a occuparsi proprio nel marzo 2018: l'avvocato Roh. Attualmente è il legale di Mifsud (ha recentemente consegnato memoria e telefoni cellulari alle autorità Usa del suo assistito), ma in precedenza è stato ben altro. Natali tedeschi e residenza a Montecarlo con studi a Zurigo, Londra, Hong Kong e Berlino, fino al 2017 è stato consigliere della Link di cui è anche socio attraverso la londinese Drake global Ltd. Nel 2016 l'avvocato tedesco, che si occupa prevalentemente di relazioni petrolifere con Mosca e che viene citato anche nei Panama papers, acquista il 5% della Gem da un dirigente della Link, Achille Patrizi, che ne deteneva il 23% (il restante 77 è saldamente nelle mani della Fadini) per 250.000 euro appena; un prezzo di almeno un terzo inferiore al valore nominale (900.000 euro). In cambio dello sconto - hanno spiegato dalla Link al Fatto quotidiano - il professionista avrebbe dovuto impegnarsi a trovare nuovi investitori interessati a rilevare il 44% della società per 20 milioni di euro.Alla Link, Roh porta in dote le sue relazioni internazionali: promuove l'accordo tra l'ateneo romano con la prestigiosa università Lomonosov di Mosca, dove ha studiato Vladimir Putin, e predispone un ambizioso master di moda in collaborazione con la moglie, ex modella russa proprietaria di una catena di boutique.Esattamente dodici mesi dopo la riunione a cui partecipa Roh (agosto 2017), i tentativi infruttuosi di trovare all'esterno nuovi soci e il naufragio del patto con la Suite finance costringono la Gem a trovare un'altra soluzione per l'aumento del capitale da 18 milioni a 27. Incremento che, da visura camerale attuale, sembrerebbe andato a buon fine. Ma nella realtà è così. Come conferma l'ultimo bilancio societario, dove il capitale sociale è ancora fermo a 18 milioni, visto che l'aumento è sì stato deliberato, ma non è stato sottoscritto, né versato. «Devono ancora trovare i soldi», conferma con La Verità Scotti. E, riferendosi alla trattativa tra la Gem e la società maltese, anche lui ribadisce che «non si sono messi d'accordo sulle condizioni». Quindi aggiunge: «Ma non chieda a me, la società è privata e non deve spiegare nulla». Grazie a tanta trasparenza, il mistero del bonifico post elettorale resta, per ora, irrisolto.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.





