2019-05-18
La Lezzi vuole più tasse per chi abita al Nord
La ministra grillina del Mezzogiorno scrive alla deputata leghista Barbara Saltamartini riguardo le Zes, zone economiche agevolate: «Non devono essere estese a Settentrione, non fate l'emendamento». Il prossimo sgambetto sarà silurare Edoardo Rixi come Armando Siri. No, tra Movimento 5 stelle e Lega non c'è solo la guerra di parole, il conflitto verbale, lo scontro dei tweet e delle battute: tutte cose che potrebbero far pensare a un match di wrestling, in cui i lottatori fanno molto chiasso e intrattengono il pubblico, ma senza la reale intenzione di farsi male. Invece c'è pure una guerra vera, verissima, anche se non visibile. Altro che wrestling: qui siamo in presenza di un incontro di pugilato con l'obiettivo di colpirsi davvero e con violenza, in qualche caso perfino sotto la cintura. La Verità è venuta in possesso di una prova evidente - e inconfutabile, nella sua chiarezza - di questo stato di cose: si tratta di una lettera che la ministra per il Sud, la grillina Barbara Lezzi, indimenticabile «teorica» del ruolo dei condizionatori d'aria nella crescita del Pil nella stagione estiva, ha scritto a Barbara Saltamartini, deputata leghista, ma soprattutto presidente della commissione Attività produttive della Camera. E cosa scrive la ministra? Nell'imminenza della discussione e del voto in commissione degli emendamenti (non ancora numerati, peraltro) al decreto Crescita, fa sapere che darà parere contrario a ogni eventuale proposta che dovesse estendere le Zes (Zone economiche speciali, strumento di agevolazione fiscale e alleggerimento burocratico in origine pensato per il Sud) al Centro-Nord.Dopo alcune righe di excusatio per dire che esistono anche le Zls (Zone logistiche speciali, strumento più debole immaginato per il Nord), la ministra lascia nero su bianco il suo niet: no all'estensione a Nord del modello delle Zes, immaginate nel 2017 - scrive la Lezzi - come «strumento per colmare il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno». Morale: le norme del 2017 contenevano «misure dedicate esclusivamente a temi che potevano dare un impulso alle Regioni del Sud».Ma tutti sanno che c'è una bella differenza tra le Zls, che hanno solo semplificazioni burocratiche e accelerazione delle procedure, e le Zes, che hanno vantaggi più penetranti, a partire dal credito d'imposta per gli investimenti. Così, la sortita della Lezzi è due volte grave. In primo luogo, è uno sbrego istituzionale: il governo deve dichiarare in commissione, nel corso della discussione, il suo orientamento su ogni emendamento (favorevole o contrario, e peraltro l'esecutivo ha anche la terza opzione di rimettersi alla valutazione della Commissione). Che senso ha - invece - inviare una lettera preventiva, un richiamo politico, quasi per pregiudicare e condizionare il dibattito? E che questo avvenga da parte di un'esponente dei grillini, che di solito amano recitare giaculatorie sulla mitica «centralità del Parlamento», è un ulteriore tocco di doppiopesismo. Ma c'è anche un elemento di gravità sostanziale. Inutile girarci intorno: la Lezzi mette a verbale una surreale guerra «Sud contro Nord», con un ministro che esprime preventivamente contrarietà a emendamenti potenzialmente riferibili al Veneto o ad altre regioni del Settentrione. Si dirà: ma la Lezzi è ministra per il Sud. E però un conto è essere ministri per il Sud (bene), altro conto (male) è vestire i panni della sindacalista del Sud contro il Nord. Errore gravissimo.Ma questo è solo il primo indizio della guerra (vera) di cui dicevamo. In base all'antica regola di Agatha Christie, ce ne sono almeno altri due da trovare. Il secondo è la sparizione del tema dell'autonomia regionale. La ministra leghista Erika Stefani ha svolto un lavoro istruttorio lungo e accurato, lo stesso Matteo Salvini non ha tentato forzature rispetto a un testo moderatissimo, che non introduce il federalismo fiscale, ma si limita a fare chiarezza a proposito delle competenze «concorrenti», quelle che ballano tra Stato e Regioni creando confusione. Eppure, anche su questo, la melina dei grillini sta bloccando tutto. Terzo indizio: la sorte incertissima del decreto Sicurezza bis, sollecitato da Salvini, che ne vorrebbe il varo nel prossimo Cdm, mentre Giuseppe Conte e Luigi Di Maio giocano la carta della dilazione e del rinvio. E nessuno sa cosa accadrà lunedì 20, data teorica di convocazione della riunione del governo. E se non bastano tre indizi, c'è un quarto elemento che rischia di diventare esplosivo, ed è la sorte del sottosegretario leghista Edoardo Rixi (che attende una sentenza per una vicenda minore, le note spese in Regione) a cui il M5s vorrebbe far fare la fine di Armando Siri, e cioè buttarlo fuori dal governo. Qui siamo ai limiti della provocazione, perfino al di là di ogni discussione tra garantisti e giustizialisti: due giorni fa, sul Corriere della Sera, Di Maio aveva tenuto la porta socchiusa, mentre ieri, intervistato dal Fatto Quotidiano, ha cambiato posizione, indurendola improvvisamente ed esibendo il pollice verso. Ovviamente nessuno sa come finirà questa partita. Ma la sensazione è che Conte e Di Maio abbiano disseminato il campo di mine antiuomo. E, nonostante il lavoro degli sminatori, la possibilità che tutti si facciano male è sempre più alta.