2025-09-02
La Lagarde fa sempre politica: sfida a Trump
Il presidente della Bce accusa l’inquilino della Casa Bianca per gli attacchi a Powell (Fed): è un pericolo grave se prende il controllo della banca centrale Usa. Non dice però che sia all’Fmi che a Francoforte la sua linea è stata a favore dell’asse franco-tedesco.«Se Donald Trump dovesse prendere controllo della politica monetaria americana porrebbe un pericolo molto serio per l’economia Usa e mondiale». Così, con voce grave e accento da governante del destino altrui, Christine Lagarde ha ammonito il presidente degli Stati Uniti in un’intervista all’emttente francese Radio Classique. Poi ha spiegato: «Se la politica monetaria dipendesse dal diktat di questo o quello, l’equilibrio dell’economia americana, e di conseguenza gli effetti che ciò avrebbe in tutto il mondo, sarebbero molto preoccupanti». Per fortuna, conclude la signora Lagarde «sarà molto difficile per Trump arrivare a una tale situazione, perché la Corte Suprema degli Stati Uniti, che è ampiamente rispettata nel Paese e che spero sarà rispettata anche da lui, ha chiaramente indicato che un governatore della Fed può essere revocato solo per colpa grave». Applausi. Lacrime. Standing ovation. Peccato che a parlare sia la stessa Christine Lagarde che, quando si tratta di politica monetaria europea, ha sempre avuto un concetto molto relativo dell’indipendenza. La più politicizzata presidente della storia della Bce: basta ascoltarla un paio di volte per accorgersi che per lei non esistono confini fra politica monetaria, geopolitica, lotta al cambiamento climatico e perfino la moda del momento. A volte sembra più un ministro del Green deal che una guardiana dei tassi d’interesse.La sua carriera nasce, non a caso, sotto l’ombrello di Nicolas Sarkozy. È il presidente francese, nel 2011, a spingerla con forza al Fondo Monetario Internazionale, dopo la caduta spettacolare di Dominique Strauss-Kahn. L’Europa si congratula, la Francia brinda: una donna elegante, di mondo, con l’accento giusto e le amicizie giuste. Lagarde viene presentata come la «garante della stabilità». In realtà sarà la garante di Parigi. Poi, nel 2019, l’approdo al trono vero: la presidenza della Banca Centrale Europea. Qui il concetto di indipendenza diventa un optional. Perché la Bce, se si ascoltano i suoi discorsi e si guardano le sue decisioni, sembra avere due capitali ufficiali: Berlino e Parigi. Germania e Francia hanno sempre dettato la linea, e Lagarde non ha mai dato l’impressione di voler contraddirli. Al massimo, con un sorriso, ha ricordato agli altri Paesi che il loro compito era di adeguarsi.Gli italiani, per esempio, ricordano bene la sua prima conferenza stampa da presidente della Bce. Era il 12 marzo 2020, in piena tempesta pandemica e con i mercati già in panico. Bastava una parola rassicurante per calmare la speculazione sui titoli di Stato. Bastava dire ciò che Mario Draghi aveva scolpito nella memoria collettiva: «whatever it takes» (faremo tutto quello che serve) dichiarò che «il compito della Bce non è quello di chiudere gli spread». Boom: i mercati crollarono, lo spread italiano volò, e milioni di risparmiatori capirono in un istante che la nuova presidente non avrebbe mai avuto la stoffa del predecessore.Oggi, però, si erge a paladina dell’autonomia della Federal Reserve. Avverte Trump che la politica monetaria non può finire «sotto il diktat di questo o quello». Giustissimo. Peccato che per anni, sotto il suo comando, la Bce sia sembrata il diktat della coppia franco-tedesca contro i Paesi più fragili del Sud Europa.E non basta. Perché oltre ai tassi e agli spread, la presidente della Bce ama occuparsi di clima, sostenibilità e transizione verde. Ha fatto della «lotta al cambiamento climatico» una delle missioni della Banca Centrale, come se comprare o meno titoli di Stato fosse la stessa cosa che piantare alberi in Amazzonia. Interventi che nulla hanno a che vedere con la stabilità dei prezzi, ma che mostrano una Bce trasformata in una succursale della Commissione europea, più attenta agli obiettivi del Green deal che all’inflazione che erode i salari. La verità è che Christine Lagarde predica l’indipendenza degli altri, non la propria. Si preoccupa dell’America perché lì esiste un vero sistema di contrappesi, con una Corte Suprema pronta a difendere la Fed. In Europa, invece, i contrappesi non li ha mai voluti: meglio obbedire a Parigi e Berlino, distribuire sermoni su clima ed energia, e ricordare agli italiani che gli spread sono un loro problema.Insomma, oggi Lagarde scopre l’importanza dell’autonomia delle banche centrali. Benvenuta. Peccato che la lezione, per noi, sia arrivata con anni di ritardo, qualche centinaio di miliardi in più di interessi sul debito e una Bce trasformata in pulpito politico, dove la stabilità dei prezzi è diventata solo una delle tante voci all’ordine del giorno, accanto al riscaldamento globale e alla transizione energetica.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
Continua a leggereRiduci