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2019-06-01
La guerra sotterranea a Di Maio può innescare il rimpasto gialloblù
Ansa
In qualunque democrazia, dopo un voto che rovescia completamente gli equilibri di una maggioranza parlamentare, si apre la verifica di governo che porta, poi, a un riequilibrio degli assetti dell'esecutivo che rifletta in qualche modo la tendenza espressa dall'elettorato. Si chiama «rimpasto», che non è una parolaccia, ma semplicemente un modo per tenere il governo in sintonia con la volontà degli elettori. Tale pratica è ovviamente all'ordine del giorno anche qui in Italia, dove le ultime elezioni europee hanno completamente rovesciato gli equilibri di governo: attualmente il M5s ha il doppio dei ministri della Lega ed esprime anche il presidente del Consiglio, ma ha la metà dei consensi dell'alleato.
Sacrosanto sarebbe dunque il rimpasto: Matteo Salvini ha già messo nel mirino tre ministeri del M5s: quello della Difesa (guidato da Elisabetta Trenta), quello dell'Ambiente (Sergio Costa) e quello dei Trasporti (Danilo Toninelli); in più, c'è il ministero degli Affari europei, vacante dopo l'addio di Paolo Savona. «Non chiedo niente a nessuno, non chiedo mezza poltrona o mezzo ministro in più», ha ripetuto negli ultimi giorni Salvini, individuando senza citarli i dicasteri che a suo parere dovrebbero cambiare guida, «ma è chiaro che su alcuni settori ci sono problemi perché per difendere l'ambiente non puoi bloccare un intero Paese. I militari poi meritano copertura politica totale: ho come avuto l'impressione che non tutti si siano sentiti protetti e tagliare gli investimenti sulla difesa è suicida. Toninelli? Ho piena fiducia in lui», ha ironizzato Salvini, «si è dimostrato uno sbloccatore di cantieri senza uguali». Il M5s, però, tiene duro: Luigi Di Maio non ha nessuna intenzione di mollare poltrone di governo e cederle alla Lega. Bene: ma come faranno i pentastellati a resistere all'assalto del Carroccio? Lo spiega alla Verità un esponente di governo del M5s, tra i più vicini a Di Maio: «Salvini», sottolinea la fonte, «vorrebbe passare all'incasso, ma riusciremo a frenarlo perché lui stesso si è inchiodato alla retorica del “non chiediamo poltrone". Far saltare il governo per qualche ministero in più sarebbe un passo falso, e lui lo sa bene, quindi spera che all'interno del M5s qualcuno ponga il problema del ricambio. Se si apre una sola falla, se cambiamo anche un solo ministro per accontentare la minoranza interna, la Lega ne approfitterà per far valere le sue ragioni». Mi sta dicendo che in questo momento i migliori alleati della Lega sono gli avversari interni di Di Maio? «Certo! Guardi che ha combinato il nostro sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, un cavallo pazzo che non risponde a nessuno: criticando il ministro Trenta, ha offerto un assist a Salvini. In buona sostanza, se riusciamo a reggere al nostro interno, la Lega o esce allo scoperto chiedendo esplicitamente poltrone o deve accettare di andare avanti così. Se dall'interno del M5s», argomenta l'esponente del governo, «qualcuno insisterà per togliere qualche posizione all'ala più vicina a Di Maio, non sappiamo dove si andrà a finire. Il Carroccio, oltre ai nomi già usciti, punta anche al ministero della Salute, è stato fatto anche il nome di Giulia Grillo».
Dunque, almeno per ora, soltanto Roberto Fico e gli altri avversari interni di Luigi Di Maio potrebbero far saltare il tappo del rimpasto, chiedendo una più forte rappresentanza nell'esecutivo della minoranza interna del M5s. Intanto, c'è attesa per il prossimo Consiglio dei ministri, che dovrebbe essere convocato per venerdì prossimo: la Lega presenterà certamente il decreto Sicurezza bis, che prima delle europee era stato rinviato dopo 1.000 polemiche, ma si potrebbe anche già discutere di flax tax, mentre sull'autonomia Matteo Salvini ha dichiarato che il provvedimento deve passare in Cdm entro e non oltre il prossimo 21 giugno.
Sulle fibrillazioni in maggioranza, ieri è intervenuto il premier Giuseppe Conte: «In questi giorni», ha sottolineato Conte, «ravviso ancora delle scorie della campagna elettorale che vanno smaltite. C'è ancora una super-eccitazione che riconduco ai postumi di una consultazione elettorale molto intensa e vivace. Lunedì sarà la prima, buona occasione per fare il punto della situazione. Voglio parlare agli italiani. Questo è il governo del cambiamento», ha aggiunto Conte, «abbiamo sempre rivendicato un cambiamento nel segno della chiarezza, della sicurezza del cammino, che sia strategico e che proceda in modo lungimirante e senza strappi. Dobbiamo afferrare queste premesse e queste condizioni per poter proseguire. Sto facendo delle consultazioni», ha proseguito il presidente del Consiglio, «con le forze politiche che sostengono la maggioranza. Ho già parlato con il vicepresidente Salvini e con il vicepresidente Di Maio. Continuo a parlare con loro, tornerò a parlare con loro. Poi ci riuniremo insieme. Voglio massima chiarezza, dobbiamo massima chiarezza agli italiani».
E tre ex generali disertano il 2 giugno demilitarizzato
Domani è il 2 Giugno, Festa della Repubblica, festa dell'«inclusione», annuncia Elisabetta Trenta per la sfilata ai Fori Imperiali. Sarà l'ennesima kermesse dell'«esclusione» dei valori militari.
Il manifesto ufficiale dell'evento pone in primo piano donne, cooperanti civili, vigili del fuoco e poliziotti. La sfilata ai Fori Imperiali rifletterà la melassa buonista del manifesto. Sfileranno per primi i civili della «riserva selezionata», nella quale ha operato la Trenta, e una rappresentanza di impiegati civili della Difesa; il tutto mescolato con bandiere Onu e Nato, per confondere le idee. Resta tuttavia forte e chiaro il messaggio al Paese e alle «classi subalterne»: le componenti marginali della Difesa sfilano prima dei parà, dei Comsubin, prima dei reparti combattenti.
L'ordine di sfilata del 2 giugno subordina le Forze armate vere - esercito, marina, aeronautica e carabinieri - alle formazioni civili, a favore delle quali è largamente sproporzionato a dispetto del contributo vero e sostanziale dei soldati alla sicurezza dello Stato.
A conferma del disagio serpeggiante, si sono alzate tre voci autorevoli, quelle di tre ex generali che hanno annunciato che diserteranno la cerimonia. Si tratta di Mario Arpino, già capo di stato maggiore della Difesa; Dino Tricarico, ex capo di stato maggiore dell'aeronautica e Vincenzo Camporini, anch'egli ex capo di stato maggiore della Difesa. «Non me la sento di avallare ipocritamente con la mia presenza una gestione che sta minando un'istituzione di cui il Paese deve essere orgoglioso», ha commentato Camporini. Sulla stessa linea i suoi ex colleghi, che hanno criticato anche l'atteggiamento ostile dei 5 stelle verso le pensioni dei militari di alto rango. «Non è tollerabile la gogna mediatica a cui sono stati sottoposti i pensionati», ha sottolineato Arpino.
Non è una degenerazione dell'ultima ora. La manifestazione ha vita difficile dal 1976, quando fu soppressa a causa del terremoto che un mese prima aveva colpito il Friuli, dov'erano impegnate vaste porzioni di esercito e di altre forze armate. Fu un provvedimento giustificato ma dette a qualcuno l'idea che si potesse iniziare un percorso. L'anno successivo furono schierati pochissimi reparti a Piazza Venezia, senza la sfilata. Poi fu soppressa del tutto dal 1978 al 1982; per risparmiare sui costi, fu la spiegazione ufficiale. In realtà si temeva che l'assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, innescasse reazioni incontrollabili nella piazza e nelle truppe. Fra il 1983 e il 1991 si fecero manifestazioni dimesse, come la sfilata nel 1983 a Porta San Paolo, oppure patetiche mostre fotografiche a piazza di Siena. Era iniziata una vasta e articolata operazione per separare le Forze armate dal popolo, mortificandone il senso di identità nazionale. Quando si palesò il pericolo di secessioni e di spaccature incontrollabili, causate dalle politiche che celavano la rapina dietro lo spirito europeista, Carlo Azeglio Ciampi riportò dal 4 giugno 2001 la manifestazione su via dei Fori Imperiali. Fu un grande successo, perché le «classi subalterne» hanno grande amore per la patria e volevano manifestarlo.
Tutta la vita tormentata della Festa della Repubblica si dipanò senza alcuna reazione da parte dei militari. Nessuno mai protestò per le umiliazioni inflitte alle Forze armate. Certe timide proteste che udiamo in questi ultimi tempi arrivano tardi. Chi voglia comprendere che cosa sia un tale evento, scorra le immagini della sfilata sull'avenue des Champs-Élysées, a Parigi, il 14 luglio di ogni anno, anniversario della presa della Bastiglia. Sfilano forze combattenti, senza alcuna concessione a inclusioni e contaminazioni. Manifestazione militare, di forza militare. Punto.
Il sovranismo francese non necessita di proclami né di approvazioni da parte delle nostre classi illuminate. Non di meno quel sovranismo è visibilmente crescente nei fatti e nelle manifestazioni, col plauso delle nostre classi illuminate. Il sovranismo italiano, al contrario, appena nascente, rischia la morte nella culla per i veleni edulcorati col buonismo. Come mai?
Sergio Mattarella aprirà la manifestazione partendo dal Quirinale, dove garrisce lo stendardo, adottato da Francesco Cossiga e imposto da Napoleone, primo Console e presidente della Repubblica Italiana del 1802-1805. Italia e Senegal sono stati gli unici Paesi al mondo - con la Francia, si capisce - a celebrare il bicentenario della Rivoluzione Francese, nel 1989. Quell'anno non si celebrò il 2 Giugno.
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Rousseau ha salvato il vicepremier ma l'ala sinistra del M5s ribolle. E se chiederà cambi nei ministeri farà un clamoroso assist alla Lega. Che, oltre alla Difesa, ha messo nel mirino Salute, Trasporti e Affari europei.E tre ex generali disertano il 2 giugno demilitarizzato. Nella sfilata di domani i veri protagonisti saranno cooperanti e civili. Vincenzo Camporini: «Il governo mette a rischio un'istituzione cruciale». Lo speciale comprende due articoli.In qualunque democrazia, dopo un voto che rovescia completamente gli equilibri di una maggioranza parlamentare, si apre la verifica di governo che porta, poi, a un riequilibrio degli assetti dell'esecutivo che rifletta in qualche modo la tendenza espressa dall'elettorato. Si chiama «rimpasto», che non è una parolaccia, ma semplicemente un modo per tenere il governo in sintonia con la volontà degli elettori. Tale pratica è ovviamente all'ordine del giorno anche qui in Italia, dove le ultime elezioni europee hanno completamente rovesciato gli equilibri di governo: attualmente il M5s ha il doppio dei ministri della Lega ed esprime anche il presidente del Consiglio, ma ha la metà dei consensi dell'alleato.Sacrosanto sarebbe dunque il rimpasto: Matteo Salvini ha già messo nel mirino tre ministeri del M5s: quello della Difesa (guidato da Elisabetta Trenta), quello dell'Ambiente (Sergio Costa) e quello dei Trasporti (Danilo Toninelli); in più, c'è il ministero degli Affari europei, vacante dopo l'addio di Paolo Savona. «Non chiedo niente a nessuno, non chiedo mezza poltrona o mezzo ministro in più», ha ripetuto negli ultimi giorni Salvini, individuando senza citarli i dicasteri che a suo parere dovrebbero cambiare guida, «ma è chiaro che su alcuni settori ci sono problemi perché per difendere l'ambiente non puoi bloccare un intero Paese. I militari poi meritano copertura politica totale: ho come avuto l'impressione che non tutti si siano sentiti protetti e tagliare gli investimenti sulla difesa è suicida. Toninelli? Ho piena fiducia in lui», ha ironizzato Salvini, «si è dimostrato uno sbloccatore di cantieri senza uguali». Il M5s, però, tiene duro: Luigi Di Maio non ha nessuna intenzione di mollare poltrone di governo e cederle alla Lega. Bene: ma come faranno i pentastellati a resistere all'assalto del Carroccio? Lo spiega alla Verità un esponente di governo del M5s, tra i più vicini a Di Maio: «Salvini», sottolinea la fonte, «vorrebbe passare all'incasso, ma riusciremo a frenarlo perché lui stesso si è inchiodato alla retorica del “non chiediamo poltrone". Far saltare il governo per qualche ministero in più sarebbe un passo falso, e lui lo sa bene, quindi spera che all'interno del M5s qualcuno ponga il problema del ricambio. Se si apre una sola falla, se cambiamo anche un solo ministro per accontentare la minoranza interna, la Lega ne approfitterà per far valere le sue ragioni». Mi sta dicendo che in questo momento i migliori alleati della Lega sono gli avversari interni di Di Maio? «Certo! Guardi che ha combinato il nostro sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, un cavallo pazzo che non risponde a nessuno: criticando il ministro Trenta, ha offerto un assist a Salvini. In buona sostanza, se riusciamo a reggere al nostro interno, la Lega o esce allo scoperto chiedendo esplicitamente poltrone o deve accettare di andare avanti così. Se dall'interno del M5s», argomenta l'esponente del governo, «qualcuno insisterà per togliere qualche posizione all'ala più vicina a Di Maio, non sappiamo dove si andrà a finire. Il Carroccio, oltre ai nomi già usciti, punta anche al ministero della Salute, è stato fatto anche il nome di Giulia Grillo».Dunque, almeno per ora, soltanto Roberto Fico e gli altri avversari interni di Luigi Di Maio potrebbero far saltare il tappo del rimpasto, chiedendo una più forte rappresentanza nell'esecutivo della minoranza interna del M5s. Intanto, c'è attesa per il prossimo Consiglio dei ministri, che dovrebbe essere convocato per venerdì prossimo: la Lega presenterà certamente il decreto Sicurezza bis, che prima delle europee era stato rinviato dopo 1.000 polemiche, ma si potrebbe anche già discutere di flax tax, mentre sull'autonomia Matteo Salvini ha dichiarato che il provvedimento deve passare in Cdm entro e non oltre il prossimo 21 giugno. Sulle fibrillazioni in maggioranza, ieri è intervenuto il premier Giuseppe Conte: «In questi giorni», ha sottolineato Conte, «ravviso ancora delle scorie della campagna elettorale che vanno smaltite. C'è ancora una super-eccitazione che riconduco ai postumi di una consultazione elettorale molto intensa e vivace. Lunedì sarà la prima, buona occasione per fare il punto della situazione. Voglio parlare agli italiani. Questo è il governo del cambiamento», ha aggiunto Conte, «abbiamo sempre rivendicato un cambiamento nel segno della chiarezza, della sicurezza del cammino, che sia strategico e che proceda in modo lungimirante e senza strappi. Dobbiamo afferrare queste premesse e queste condizioni per poter proseguire. Sto facendo delle consultazioni», ha proseguito il presidente del Consiglio, «con le forze politiche che sostengono la maggioranza. Ho già parlato con il vicepresidente Salvini e con il vicepresidente Di Maio. Continuo a parlare con loro, tornerò a parlare con loro. Poi ci riuniremo insieme. Voglio massima chiarezza, dobbiamo massima chiarezza agli italiani».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-guerra-sotterranea-a-di-maio-puo-innescare-il-rimpasto-gialloblu-2638619937.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-tre-ex-generali-disertano-il-2-giugno-demilitarizzato" data-post-id="2638619937" data-published-at="1766335701" data-use-pagination="False"> E tre ex generali disertano il 2 giugno demilitarizzato Domani è il 2 Giugno, Festa della Repubblica, festa dell'«inclusione», annuncia Elisabetta Trenta per la sfilata ai Fori Imperiali. Sarà l'ennesima kermesse dell'«esclusione» dei valori militari. Il manifesto ufficiale dell'evento pone in primo piano donne, cooperanti civili, vigili del fuoco e poliziotti. La sfilata ai Fori Imperiali rifletterà la melassa buonista del manifesto. Sfileranno per primi i civili della «riserva selezionata», nella quale ha operato la Trenta, e una rappresentanza di impiegati civili della Difesa; il tutto mescolato con bandiere Onu e Nato, per confondere le idee. Resta tuttavia forte e chiaro il messaggio al Paese e alle «classi subalterne»: le componenti marginali della Difesa sfilano prima dei parà, dei Comsubin, prima dei reparti combattenti. L'ordine di sfilata del 2 giugno subordina le Forze armate vere - esercito, marina, aeronautica e carabinieri - alle formazioni civili, a favore delle quali è largamente sproporzionato a dispetto del contributo vero e sostanziale dei soldati alla sicurezza dello Stato. A conferma del disagio serpeggiante, si sono alzate tre voci autorevoli, quelle di tre ex generali che hanno annunciato che diserteranno la cerimonia. Si tratta di Mario Arpino, già capo di stato maggiore della Difesa; Dino Tricarico, ex capo di stato maggiore dell'aeronautica e Vincenzo Camporini, anch'egli ex capo di stato maggiore della Difesa. «Non me la sento di avallare ipocritamente con la mia presenza una gestione che sta minando un'istituzione di cui il Paese deve essere orgoglioso», ha commentato Camporini. Sulla stessa linea i suoi ex colleghi, che hanno criticato anche l'atteggiamento ostile dei 5 stelle verso le pensioni dei militari di alto rango. «Non è tollerabile la gogna mediatica a cui sono stati sottoposti i pensionati», ha sottolineato Arpino. Non è una degenerazione dell'ultima ora. La manifestazione ha vita difficile dal 1976, quando fu soppressa a causa del terremoto che un mese prima aveva colpito il Friuli, dov'erano impegnate vaste porzioni di esercito e di altre forze armate. Fu un provvedimento giustificato ma dette a qualcuno l'idea che si potesse iniziare un percorso. L'anno successivo furono schierati pochissimi reparti a Piazza Venezia, senza la sfilata. Poi fu soppressa del tutto dal 1978 al 1982; per risparmiare sui costi, fu la spiegazione ufficiale. In realtà si temeva che l'assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, innescasse reazioni incontrollabili nella piazza e nelle truppe. Fra il 1983 e il 1991 si fecero manifestazioni dimesse, come la sfilata nel 1983 a Porta San Paolo, oppure patetiche mostre fotografiche a piazza di Siena. Era iniziata una vasta e articolata operazione per separare le Forze armate dal popolo, mortificandone il senso di identità nazionale. Quando si palesò il pericolo di secessioni e di spaccature incontrollabili, causate dalle politiche che celavano la rapina dietro lo spirito europeista, Carlo Azeglio Ciampi riportò dal 4 giugno 2001 la manifestazione su via dei Fori Imperiali. Fu un grande successo, perché le «classi subalterne» hanno grande amore per la patria e volevano manifestarlo. Tutta la vita tormentata della Festa della Repubblica si dipanò senza alcuna reazione da parte dei militari. Nessuno mai protestò per le umiliazioni inflitte alle Forze armate. Certe timide proteste che udiamo in questi ultimi tempi arrivano tardi. Chi voglia comprendere che cosa sia un tale evento, scorra le immagini della sfilata sull'avenue des Champs-Élysées, a Parigi, il 14 luglio di ogni anno, anniversario della presa della Bastiglia. Sfilano forze combattenti, senza alcuna concessione a inclusioni e contaminazioni. Manifestazione militare, di forza militare. Punto. Il sovranismo francese non necessita di proclami né di approvazioni da parte delle nostre classi illuminate. Non di meno quel sovranismo è visibilmente crescente nei fatti e nelle manifestazioni, col plauso delle nostre classi illuminate. Il sovranismo italiano, al contrario, appena nascente, rischia la morte nella culla per i veleni edulcorati col buonismo. Come mai? Sergio Mattarella aprirà la manifestazione partendo dal Quirinale, dove garrisce lo stendardo, adottato da Francesco Cossiga e imposto da Napoleone, primo Console e presidente della Repubblica Italiana del 1802-1805. Italia e Senegal sono stati gli unici Paesi al mondo - con la Francia, si capisce - a celebrare il bicentenario della Rivoluzione Francese, nel 1989. Quell'anno non si celebrò il 2 Giugno.
Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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