2018-10-16
La guerra fra razze ora si combatte al reparto dei prodotti di bellezza
I fondotinta «inclusivi» firmati da Rihanna e da Dior, le modelle «imperfette» scelte per spot e sfilate. Ormai il mondo della moda ha un nuovo feticcio: la difesa delle minoranze. Che cela un ricco business. Lo chiamano politicamente corretto, ma è semplicemente una nuova forma di marketing.Ormai il mondo dei prodotti di bellezza si è gettato anima e corpo a battere il ferro caldissimo del politicamente corretto. Il dogma, oggi, è l'«inclusività». Con la scusa di «includere» una minoranza (etnica, culturale, sessuale...) si crea un nuovo, ricco mercato di prodotti «inclusivi». Dunque inclusioni sì, ma nel novero dei clienti! Un celebre esempio della nuova tendenza è Fenty beauty, la linea di make up firmata da Rihanna, cantante originaria delle caraibiche Barbados che ha trovato successo, fama e miliardi negli Stati Uniti. Fenty è il suo cognome. I fan lo sanno e sanno anche - è scritto nelle sue biografie - che a scuola è stata oggetto di bullismo razzista poiché troppo poco nera rispetto ai compagni (suo padre è metà afro-barbadiano e metà irlandese, sua madre metà afro-americana e metà guianese). La sua storia personale, insomma, conferisce maggiore credibilità ai suoi prodotti, presentati come una sorta di strumento di lotta e di riscatto. I prodotti Fenty beauty sono venduti online e, in Italia, nei giganteschi store della multinazionale Sephora. Il loro slogan è di un demagogico che di più non si può: «Bellezza per tutti». Sul sito Web del marchio campeggia il dispaccio autoapologetico firmato direttamente da Rihanna: «Fenty Beauty è stata creata per tutti: per donne di tutte le carnagioni, personalità, caratteri e culture e razze» (in questo caso, le razze esistono). Ancora: «Volevo che chiunque si sentisse incluso. Questo è il vero motivo per cui ho creato questa linea».E così il fondotinta Pro Filt'R Foundation è disponibile in ben quaranta tonalità, un numero abnorme e del tutto superfluo: chiunque utilizzi i fondotinta (che hanno sempre avuto tonalità chiarissime, chiare, medie, scure e scurissime) ne ha contezza. Fa davvero ridere i polli l'idea che modelle, attrici, cantanti e Vip di colore (da Naomi Campbell a Oprah Winfrey e Michelle Obama) prima della comparsa dei prodotti Fenty non potessero truccarsi. Ve le immaginate a comparire in pubblico o sul set sempre struccate, con occhiaie chilometriche e volti sfatti come quello di Cenerentola dopo 18 ore filate a pulire pavimenti? Va bene che, nell'era del politicamente corretto, la verità è un orpello o addirittura una scocciatura. Ma qui si esagera. A sentire Rihanna, sembra che - prima della sua grande trovata - l'unica crema marrone in circolazione fosse il lucido da scarpe. La verità è che Rihanna, come molte vip - dalle statunitensi Kardashian e Madonna alla nostrana Chiara Ferragni - monetizza la celebrità creando un marchio che porti il suo nome. Dato che il mercato è decisamente affollato, è lo slogan a fare la differenza. E «bellezza per tutti» è uno slogan azzeccato. Infatti funziona: Fenty Beauty ha esordito in America nel settembre 2017, nel primo mese di vendita ha stabilito un giro d'affari di 72 milioni di dollari, Time l'ha inserita fra le 25 migliori invenzioni di quell'anno assieme all'iPhone X. E tutte le riviste di moda, comprese quelle italiane, sono impazzite, eleggendo Rihanna Wonder Woman dell'inclusione. Per Mdna Skin, il marchio di creme di Madonna (che per di più utilizza materie prime delle terme di Montecatini), nessuna redazione ha dato in escandescenze, al massimo rari cenni. A due delle sorelle Kardashian è andata anche peggio. Kim e i suoi fondotinta della linea «Kim Kardashian West Beauty» sono stati attaccati per non aver rispettato il «nuovo standard» buonista stabilito da Fenty Beauty. Kylie, invece, è stata crocifissa per la ragione opposta. Con la sua Kylie Cosmetics ha prodotto ben 30 tonalità di correttore, dunque ha rispettato i parametri inclusivi. Tuttavia, l'hanno accusata di voler solo copiare la linea di Rihanna. Insomma, se non si fanno duecento tonalità inutili non va bene, se le si fanno non va bene ugualmente.Rihanna deve comunque trionfare, è lei la vera liberatrice degli oppressi, la salvatrice degli esclusi. E tutto in virtù del suo colore della pelle: altre vip non sono abbastanza black. A Kim Kardashian - che sembra afroamericana e ha avuto spesso compagni di colore, tra cui il marito Kanye West - hanno perfino esaminato il Dna durante il George Lopez Show. Risultato: Kim, di padre armeno, è all'87,5% caucasica (bianca) e al 12,5% nativo americana. Su Internet - cercate - molti neri si sbracciano a specificare che la discendenza armena non include eredità africana, quindi Kim è una bianca. Quando ha sfoggiato pettinature afro, come le treccine, è stata perfino accusata di appropriazione culturale. Il vero nodo della questione, tuttavia, è che Fenty Beauty ha giocato per prima la carta del «make up politico», autoproclamandosi strumento militante, in chiave femminista, della nota inclusione. Per il lancio, Rihanna ha scelto modelle estremamente lontane dai canoni classici di perfezione: non donne «comuni», ma super modelle «diverse», ovvero feticci politici scelti con cura. Slick Woods è un'americana nera come il protagonista di Radici, capelli rasati come un soldato, assai tatuata come tutti i ribelli contemporanei, dichiaratamente bisessuale, dichiaratamente consumatrice di droghe, con un diastema (lo spazio tra gli incisivi che ha anche Madonna) largo come un'autostrada. Altra testimonial di Fenty è Halima Haden, modella americana nata in un campo per rifugiati in Kenya, la prima a sfilare sulle passerelle indossando burkini e hijab. Il velo islamico lo tiene ben incollato in testa in ogni scatto, e sceglierla come volto è una bella apertura al mondo musulmano, un bacino di milioni e milioni di persone. Tra le varie bellezze selezionate ci sono Leomie Anderson (britannica e nera nera nera), Indyamarie Jean (afroamericana), Paloma Elsesser (padre metà cileno e metà svizzero, madre afroamericana). Poi c'è Selena Forrest. Americana e nera, è stata notata da un talent scout all'inizio del 2015 a Huntington Beach in California: la sicurezza della spiaggia l'aveva fermata perché aveva alcolici nel frigo portatile. Per la serie: se non sono maudits non li vogliamo... Infine, c'è Duckie Thot. Nata in Australia di una famiglia di rifugiati sud-sudanesi, la sua carriera è decollata quando ha raccontato che a scuola compagni e insegnanti non riuscivano a pronunciare il suo nome, Nyadak, e perciò è stata costretta a cambiarlo in Duckie, e che a Melbourne non aveva successo come modella a causa della sua carnagione scura. Rihanna, naturalmente, ha attinto anche al mondo arcobaleno. A marzo 2018 è stato lanciato uno spot interpretato dalla star di Instagram Kway. Con una voce femminile e un corpo inequivocabilmente maschile (ha anche i baffi) e nerissimo, Kway ruggisce: «My Fenty, my mood!». Poi si atteggia a ragazza ipersessualizzata che seduce ovunque si trovi: nella giungla come in palestra. Il messaggio è che i prodotti Fenty Beauty sono fatti anche per gli uomini, in perfetto stile genderless. Non a caso, sono stati utilizzati anche da Daniel Kaluuya, attore protagonista del film Get out, che è comparso sul red carpet degli Oscar truccato col fondotinta Fenty beauty Pro Filt'R. Time, scodinzolante, ha scritto che l'attore era così «luminoso»... La verità è che dietro questa linea di bellezza ribelle, antagonista e contro le convenzioni c'è Kendo Brands, l'incubatore di marchi cosmetici di Lvmh, cioè Louis Vuitton Moët Hennessy, la multinazionale francese di prodotti di lusso nata nel 1987 dalla fusione tra Louis Vuitton e il Moët dello champagne. Da allora la società ha acquisito numerosi marchi: di alcolici (Veuve Clicquots, Krug, Dom Pérignon); di distribuzione specializzata (Le Bon Marché e, guarda caso, Sephora); di moda (Céline, Dior, Givenchy, Marc Jacobs e i nostri Emilio Pucci, Loro Piana, Fendi); di gioielleria (Bulgari). E poi di cosmetici, come Benefit Cosmetics, Marc Jacobs (uno dei primi marchi a lanciare il trucco per uomo benedetto dalla comunità gay) e Kate von D. Sarebbe interessante sapere se gli afroamericani clienti di Fenty Beauty - il marchio che promette loro il riscatto - siano a conoscenza della joint venture che Lvmh ha portato avanti a lungo De Beers, ovvero l'azienda dei diamanti che - sostengono molti - siano frutto del sangue africano. Non a caso anche Dior, sempre in mano a Lvhm, ha lanciato una linea di make up «inclusivo», con Bella Hadid come testimonial. Si chiama Backstage e uno dei soliti quaranta fondotinta costa «solo» 40 dollari invece che i 62 di Dior Airflash foundation. Lo chiamano politicamente corretto, ma è semplicemente una nuova forma di marketing.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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