2019-05-23
La grande abbuffata di Sala per amici e M5s
Il sindaco di Milano fa fuori i professionisti meneghini dalle partecipate. E occupa i posti con i suoi fedelissimi, graditi anche ai pentastellati. In prima fila la regina degli incarichi, Michaela Castelli, già scelta da Virginia Raggi per Acea. Ed è solo l'antipasto.Milano è sempre più all'avanguardia. Per essere al passo con una città che corre verso nuovi orizzonti e nuove soluzioni, il sindaco, Giuseppe Sala, ha preso una decisione postmoderna: quella di tenere lontani i professionisti milanesi dalle aziende partecipate dal Comune. Una scelta originale e in controtendenza, visto che gli studi metropolitani di commercialisti, avvocati e revisori legali sono considerati tra i migliori d'Italia. In città il malumore è diffuso, ma in questa primavera di nomine e rinnovi il sindaco prosegue nella sua politica di feroce spoil system, privilegiando giri di valzer di amici e sodali di partito. E comincia a testare trame amorose con il Movimento 5 stelle. Sala moraleggia a livello nazionale, ma in casa sua non lascia che briciole. Del resto, colui che fu city manager ai tempi di Letizia Moratti, non manca di alternative solide o fantasiose. Con qualche imbarazzante intoppo. È andato quasi tutto liscio in Sea, la società aeroportuale del Comune e di F2i che gestisce gli scali di Linate e Malpensa e ha una quota in quello di Orio al Serio, con la nomina di Michaela Castelli, presidente. La professionista romana è una collezionista compulsiva di incarichi molto vicina al sindaco di Milano, che si fida a tal punto da proporla per qualsivoglia poltrona. Poiché ha seguito il progetto di restyling e rifacimento della pista di Linate (il city airport rimarrà chiuso da fine luglio a ottobre), è rimasta per dare continuità alla delicatissima fase di spostamento voli a Malpensa.Fra un anno dovrebbe lasciare il posto a Davide Corritore, altra vecchia conoscenza nell'inner circle di Sala, passato alla Sea come consigliere da un'altra partecipata, la MM di acqua (acquedotti, fognature, depurazione), ingegneria e case popolari, dove era presidente. Bocconiano con una gioventù in Fgci (la federazione dei giovani comunisti), fu nel pool dei consiglieri economici di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi nel 1998, poi di Enrico Letta premier nel 2013 e partecipò alla rivoluzione arancione di Milano con Giuliano Pisapia. Insomma, un fedelissimo in doppiopetto Caraceni a sinistra del mondo.A conferma che la competenza settoriale e la milanesità non sono un vantaggio, nel collegio sindacale di Sea (aerei) sono stati nominati un fiscalista di Bergamo, il chiacchierato Andrea Manzoni, citato nel rapporto di Bankitalia sui fondi della Lega, e un professore di Firenze esperto di enti locali, Stefano Pozzoli, docente all'università di Napoli, che fu tra l'altro presidente del collegio dei revisori del Comune di Firenze dal 2009 al 2014 durante il mandato del sindaco Matteo Renzi. La facile obiezione che in quel ruolo non devono pilotare un Boeing 747 ma vigilare sulla corretta gestione non sta in piedi, perché i sistemi finanziari legati al business aeroportuale hanno specificità e modalità del tutto particolari. E ancora, in Atm, Sala ha designato nel collegio sindacale una commercialista di Bergamo e una funzionaria dell'Agenzia delle entrate. È andato quasi tutto liscio in Sea, non in MM dove la sostituzione di Corritore sta creando più di un imbarazzo. Il presidente ideale per Sala sarebbe Alessandro Russo, fedelissimo del Pd, ex presidente e amministratore delegato di Cap holding Spa, società in house che gestisce il servizio idrico integrato nella città metropolitana di Milano. Il giro di valzer è stato interrotto dall'Anac, l'anticorruzione di Raffaele Cantone, che ha ricordato all'entusiasta primo cittadino che non si possono attribuire deleghe operative in due partecipate di seguito, senza che il candidato sia stato fermo almeno un anno. Sala non si è scomposto: fedele alla sottile linea rossa ha comunque nominato Russo consigliere e aspetta con pazienza il tredicesimo mese.La campionessa degli incarichi è Michaela Castelli, senza la quale sembra che Sala entri in depressione. Due mandati in A2A, poi l'impegnativo ruolo di presidente in Sea, che da solo dovrebbe assorbire tempo e dedizione, ricoperto dall'uscita di scena di Pietro Modiano, andato in Carige. La Castelli, 48 anni, è avvocato specializzato in diritto finanziario, ha lavorato per nove anni alla Borsa italiana e non ha paura delle sfide plurime come i campioni di scacchi, visto che è titolare di cariche e qualifiche in 14 società. E non si tratta di autolavaggi o pizzerie, con tutto il rispetto. Stiamo parlando dell'industria chimico-farmaceutica Recordati (consigliere e presidente del comitato rischi), del circuito di carte di credito Nexi quotato in Borsa (presidente), della società Autogrill dei Benetton (sindaco e nell'organismo di vigilanza), del gruppo di pelati e succhi La Doria (consigliere), del gruppo d'abbigliamento Stefanel (consigliere). Avendo ancora tempo disponibile, dopo le dimissioni di Luca Lanzalone (indagato per il nuovo stadio della Roma) è stata nominata dalla giunta pentastellata di Virginia Raggi presidente di Acea, la municipalizzata multiservice del Comune di Roma, dove siede anche nel comitato esecutivo. Da una parte Sea a Milano, dall'altra Acea a Roma, due colossi da gestire assieme a tutto il resto. Un impegno titanico che le società e la Consob hanno avallato senza battere ciglio sull'evidente cumulo, forse perché nella «Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari del 2018» di Acea, alla voce «altri incarichi», Castelli si è dimenticata di citare proprio Sea. È singolare la consonanza manageriale nella gestione di aziende strategiche fra Milano e Roma, fra il Pd di Sala e il Movimento 5 stelle della Raggi. Oggi hanno in comune i manager, domani forse le strategie politiche.Un'altra professionista fedelissima di Sala e prossima ai grillini è Alessandra Perrazzelli, che a inizio maggio ha dato le dimissioni da vicepresidente di A2A per diventare vicedirettore generale di Bankitalia. La Perrazzelli, 58 anni, ha lavorato con Carlo De Benedetti in Olivetti, con Corrado Passera in Banca Intesa. È il classico profilo equivicino: amica di Francesca Bazoli (compagna di Sala), è al tempo stesso in sintonia con Arturo Artom, imprenditore di riferimento di Davide Casaleggio. Il suo approdo a Bankitalia non è stato indolore, la Lega lo ha contrastato fino all'ultimo, definendo la candidata «troppo vicina al Pd». Le prossime nomine strategiche in Fiera Milano e Trenord ci diranno se questo valzer delle candele è solo casuale.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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